Quella di Mission Impossible è una saga cinematografica che oramai, nel bene o nel male, tutti conoscono. Di fatto, non sarebbe neanche riduttivo affermare che il nome di Tom Cruise abbia fatto breccia nel cuore di molti proprio grazie a quel Mission Impossibile del 1996 che sotto la regia di Brian De Palma seppe imporsi nel panorama degli action-movie a tinte thriller venendo spesso identificato ancora oggi come massimo esponente del genere. Con il proseguo della serie e il sopraggiungere di J. J. Abrambs alla regia, eccoci quindi infine arrivati al sesto capitolo di questa fortunata storia fatta di spie ben addestrate, battutine sempre pronte, pericolosi criminali, inseguimenti al cardiopalma ed esplosioni in ogni dove. Proprio in ragion di ciò, giunti ormai nel cuore del 2018, vien quasi da chiedersi come mai questi film continuino a generare così tanto interesse a fronte di una palpabile prevedibilità di fondo fattasi sempre più marcata di anno in anno. Ancor di più, però, sarebbe lecito domandarsi come mai Mission Impossible: Fallout non solo sia stato in grado di tenermi incollato alla poltrona per tutta la sua durata, bensì si sia anche rivelato capace di surclassare tutti i suoi fratelli maggiori.
Già dalla prima scena si capisce molto di quello che il nuovo lungometraggio di J. J. Abrams vuole presentare come colonna portante. Paure, dubbi e rimpianti sono all’ordine del giorno per il nostro caro vecchio agente Ethan Hunt (Tom Cruise), oramai sempre più sofferente per le scelte prese in passato – alias, Mission Impossible: Rogue Nation -, e ogni possibile alleato viene sempre visto con grande sospetto e circospezione. Invero, com’era prevedibile aspettarsi, il pretesto che darà vita alle vicende di Mission Impossible: Fallout è quantomeno classico nelle sue dinamiche. Solomon Lane (Sean Harris) è stato finalmente catturato e si trova in custodia, costretto a dover muoversi di governo in governo per poter rispondere dei suoi crimini, ma i suoi fedeli seguaci – identificatisi come “Gli Apostoli” – sono ancora a piede libero, sempre pronti a scatenare nuove pericolose crisi su scala globale. È però al sopraggiungere del genio criminale John Lark che Gli Apostoli decideranno di compiere il grande passo indirizzando tutti i propri sforzi verso l’ottenimento d’ingenti quantità di plutonio necessarie per realizzare l’agognato sogno di Lane, la concretizzazione di un disastro nucleare potenzialmente capace di cambiare per sempre il volto dell’intero pianeta. Ovviamente, compito di Hunt e della sua fidata squadra, ancora una volta interpretata dai capaci Ving Rhames e Simon Pegg, sarà proprio quello d’impedire con tutti i mezzi a propria disposizione che gli ordigni possano venire ultimati e infine utilizzati. Se già queste poche righe bastano per comprendere come l’intero intreccio narrativo si mantenga in linea con i capitoli passati, è impossibile non ammettere che il tutto funzioni più di quanto ci si potrebbe aspettare, in parte grazie alle grandi capacità recitative di tutto il cast, dall’altro lato per merito del lavoro posto per accentuare il lato più propriamente umano che si è voluto concedere ad Hunt, proposto questa volta in una forma che ricorda ben poco di quell’agente senza macchia e senza paura che tutti noi abbiamo imparato ad amare. Scene d’azione estremamente movimentate lasciano così maggior spazio a situazioni dove sono i dialoghi a farla da padrone, piccoli ma importanti e intensi momenti capaci di donare ai personaggi quel pizzico di spessore caratteriale aggiuntivo che non guasta mai. Sia chiaro, l’opera non manca certo di tutte quelle fasi più caciarone in cui spegnere il cervello e godersi l’avventura tra scazzottate e simpatiche battutine, ma il risultato finale non risulta mai forzato e anzi, contribuisce in parte a far scorrere ancor più piacevolmente le quasi due ore e mezza di pellicola.
Proprio questi momenti più squisitamente hollywoodiani, da sempre rappresentanti il marchio inconfondibile dell’intera saga di Mission Impossibile, vanno a simboleggiare la proverbiale ciliegina sulla torta. La perfetta cooperazione venutasi a creare tra scene attentamente riprese da ogni angolazione possibile, scrupolose coreografie studiate fin nei più piccoli dettagli e un attento editing portato avanti in fase di montaggio, hanno contribuito al concretizzarsi di un’opera dove ogni singolo evento è perfettamente seguibile. Non importa che si parli di un intenso inseguimento in auto tra le strade di Parigi, un eccitante scontro tra elicotteri in volo o di un incredibile combattimento a mani nude nei bagni di un locale notturno, tutto funziona sempre magnificamente e nulla risulta mai lasciato al caso, in parte anche grazie a un sapiente uso della CGI che si amalgama perfettamente nelle scene che vanno succedendosi una dietro l’altra in rapida successione. La presenza di alcune scelte registiche estremamente azzeccate dove, ad esempio, gl’incessanti rumori di proiettili ed esplosioni lasciano posto a soavi musiche capaci di far venire i brividi, chiudono un cerchio talmente idilliaco che anche nei momenti più irrealistici, lì dove risulta impossibile non lasciarsi scappare un flebile sorriso nel mentre che il nostro protagonista riesce a evitare morte certa per dozzine di volte, si può tranquillamente chiudere un occhio.