Quando Microsoft ha confermato che Gears of War Reloaded – remaster in 4K a 120 fps del capostipite firmato Epic – arriverà il 26 agosto 2025 anche su PlayStation 5, il primo scossone non è stato tecnico, ma culturale: un intero pantheon di ricordi xboxari che improvvisamente si ritrova ostaggio dell’ecosistema PlayStation. La domanda che però è saltata nella testa di tutti è stata: si è davvero chiusa l’era delle esclusive o, al contrario, stiamo assistendo alla nascita di un nuovo, subdolo fronte di battaglia?
A voler seguire la narrativa ufficiale, questa mossa dovrebbe essere un ramoscello d’ulivo per sancire la “fine della console war”. Il marketing, dopotutto, ci coccola con l’utopia del play anywhere: Gears su PS5, Sea of Thieves pure, Forza già in pista, mentre Sony riversa le proprie gemme su PC. Eppure l’illusione pacifista dura il tempo di un titolo clickbait: perché la guerra non si spegne quando cade un impero, ma quando cade l’ultimo dei crociati. E qui, come nel finale di Loki con Colui che Rimane, la decapitazione dell’unico reggente non porta pace, bensì un’infinita moltiplicazione di varianti. Uccidi l’esclusiva, e avrai mille test di confronto: quale versione ha il ray tracing più pulito? Chi gestisce meglio il DualSense? Più platee, più fazioni, più zuffe.
Prendete i social, territorio in cui la tossicità germoglia al primo screenshot comparativo. L’algoritmo spingerà video con analisi frame‑by‑frame, i commenti esploderanno in flame e i like premieranno i giudizi più trancianti. La console war 2.0 non è più una disputa su “dove posso giocare”, ma su “dove lo gioco meglio”. E siccome Gears Reloaded promette VRR, HDR, texture ricostruite e caricamenti inesistenti, il paradosso è servito: Microsoft mette piede sul suolo avversario, ma lo trasforma nel proprio banco di prova, costringendo Sony a dimostrare di saper far girare Gears “al massimo”. A quel punto, se la versione PS5 risulterà identica a quella Series X, i tifosi blu esulteranno per la vittoria morale; se invece dovesse emergere un divario, i verdi grideranno al sabotaggio. Chi vince? L’engagement.
C’è poi l’aspetto economico. Questa remastered costerà 39,99 euro: sarà gratis su Game Pass, ovvio, ma su PS5 non esiste alcun abbonamento targato “Spartacus” che dia accesso al day‑one senza sovrapprezzo. Risultato: l’utenza Sony pagherà per un titolo che “altrove” è inserito nel buffet. Il fatto che il prossimo grande capitolo, Gears of War: E‑Day, sia ancora avvolto nel mistero amplifica l’hype tossico: i fan PlayStation assaporeranno Reloaded come un antipasto, salvo poi scoprire di dover attendere un eventuale day‑one multipiattaforma (nessuno lo ha promesso), mentre gli aficionados Xbox useranno quell’attesa come clava per ribadire la supremazia storica del brand.

Eppure, proprio in questa zona grigia risiede la bellezza del medium. La console war non muore, muta forma: l’atto di spartirsi l’esclusiva non spegne la scintilla competitiva, la sublima. Siamo passati dal “tu non puoi giocarlo” al più sofisticato “tu non lo giochi come me”, una cosa che nella guerra tra console e PC esisteva già, ma che ora diventa una battle royale definitiva. Come quelle diatribe tra collezionisti di vinili e amanti del lossless: stesso album, stessa musica, la guerra impazza sul supporto. Ora sarà così per i videogiochi, e Gears Reloaded è solo il primo tassello di un domino pronto a cadere, non perché primo a varcare la soglia, ma perché simbolo di esclusività Xbox tanto quanto Halo (che forse, potrebbe seguirlo molto presto).
In tutto questo, le community potrebbero scegliere l’ecumenismo videoludico, provando gioia nel fatto che più persone possano scoprire Marcus Fenix. Ma siamo sinceri: non lo farà. Perché la natura umana – e ancor più quella nerd – ha bisogno di tribù, di appartenenze, di sentirsi speciale. Se esistono due versioni, scopriremo argomenti per proclamare la nostra superiore. Ed ecco che il marketing ci fornisce la benzina: su PS5 il motore aptico rende l’active reload una carezza tattile, su Series X il Quick Resume ti riporta nel COGs Network in quattro secondi netti.

Alla fine, Gears of War Reloaded non è solo una remastered. È una dichiarazione di intenti: il cross‑platform non è la pace, ma il campo allargato di una guerra culturale fatta di dettagli microscopici e passioni macroscopiche. E forse va bene così. Perché se la contesa resta confinata allo scambio di meme e grafici su Digital Foundry, allora quel fuoco competitivo continuerà a tenere accese le discussioni, a spingerci a pretendere versioni migliori, patch più veloci, servizi più onesti. Paradossalmente, una console war “diffusa” potrebbe essere la migliore garanzia di qualità per tutti. L’importante è ricordare che, dietro quegli fps di differenza, ci sono persone pronte a discutere, a condividere, a celebrare un medium che amiamo. Se l’unico prezzo da pagare è sorbirci qualche flame thread su X, forse vale la pena pagarlo.
Così, mentre ci prepariamo a rivivere l’Emergence Day con il Lancer in mano su un DualSense bianco candido, ricordiamo l’ironia della sorte: Brothers to the End era lo slogan di Gears, ma ora quei fratelli combattono su fronti opposti, condividendo però la stessa avventura. È la guerra che non muore mai, la console war che cambia maschera ma non volto. E finché il sudore sulla fronte di Marcus continuerà a splendere in 4K HDR, avremo sempre un nuovo pretesto per schierarci, discutere e, in fondo, divertirci insieme. Perché la console war è morta, sì. Ma in quell’istante ha trovato il modo più spettacolare per rinascere.