Ant-Man and The Wasp – Recensione del film con Paul Rudd e Evangeline Lilly

Simone Lelli
Di Simone Lelli - Editor in Chief Recensioni Lettura da 5 minuti

É sempre bello parlare di sequel della Casa delle Idee: da quando Kevin Feige ha preso in mano la situazione, ormai 10 anni fa, la Marvel ha sfatato il mito che voleva i sequel sempre peggiori dei lavori precedenti. E poi i sequel hanno quella marcia in più, quel non bisogno di spiegare origini che, anche nella migliore delle ipotesi, rallentano la pellicola occupando quella canonica mezzora iniziale. Ant-Man and The Wasp è un film figlio dell’equilibrio, equazione alla quale è stato tolto l’estro di un personaggio come Edgar Wright, ma che ha trovato nella scrittura di Paul Rudd (con Chris McKenna, Erik Sommers, Andrew Barrer e Gabriel Ferrari) un nuovo bilanciamento, trasformando il sequel del supereroe più piccolo di sempre in qualcosa di meno esuberante, ma sicuramente interessante da seguire dall’inizio alla fine. Torna alla regia Peyton Reed.

Ant-Man and The Wasp

La trama riprende il filo dal post Civil War, e ci fa ritrovare uno Scott Lang (Paul Rudd) agli arresti domiciliari, che ha come unico obiettivo quello di guadagnarsi la libertà e, di conseguenza, la possibilità di viversi sua figlia. Ma i guai sono sempre dietro l’angolo per un tipo come Scott, che troverà di nuovo sulla sua strada il genio Hank Pym (Michael Douglas) e sua figlia Hope (Evangeline Lily), entrambi decisi a ritrovare Janet van Dyne (Michelle Pfeiffer), dispersa nel regno quantistico subatomico. Nel cast tornano gli strampalati complici di Scott, con un Michael Peña in formissima, pronto a riposizionarsi al primo posto come spalla comica del film, mentre vanno ad aggiungersi new entry come Laurence Fishburne, che interpreta Bill Foster (al secolo Golia nei fumetti) e un nuovo nemico misterioso, interpretato da Hannah John-Kamen.

Il sequel del supereroe più piccolo di sempre è qualcosa di meno esuberante, ma sicuramente interessante da seguire dall’inizio alla fine.

Una scelta strana dal punto di vista creativo è stata quella di inserire altri personaggi, come il criminale Sonny Burch (Walton Goggins) o l’agente FBI Jimmy Woo (Randall Park), e sfruttarli solo alla mercé di situazioni comiche e brevi. Certo, riescono senza problemi a strappare la risata, ma alcuni tagli mal riusciti fanno intuire la presenza di scene non inserite nella versione cinematografica che, come ormai in ogni cinecomic, dovremo vedere a casa in versione home video.

Il film tutto sommato prosegue con le sue solite caratteristiche: comicità ben posizionata ma senza superare il limite (cosa che invece Thor: Ragnarok faceva spesso), scene d’azione ben strutturate, sfruttando le dinamiche di rimpicciolimento e ingrandimento che ormai i fan hanno ben assimilato, e ottima interazione tra i vari personaggi, ognuno caratterizzato finemente. Paul Rudd cattura gran parte della scena, e i dialoghi con Michael Douglas risultano sempre brillanti, anche quando l’eroe della pellicola si trova ad ascoltare parole troppo scientifiche per lui. Evangeline Lily, che stavolta esce dalla posizione di spalla e diventa – come suggerisce il titolo del film – uno dei protagonisti, cade un po’ al passo con Paul, ma porta a schermo una Wasp decisamente interessante, soprattutto nelle prime parti del film.

Abbandonata la costruzione che il primo Ant-Man aveva, stavolta il film procede veloce, come è giusto che sia per una pellicola estiva del genere, e accompagna lo spettatore in uno svolgimento minato soltanto da alcuni tagli mal fatti. Il regno quantico stavolta viene esplorato, in termini di conoscenza, molto più approfonditamente, e il fatto che Pym e figlia sappiano come muoversi, elimina quel piccolo dubbio investigativo, lasciando spazio a un fiume di concetti che passivamente attraversano lo spettatore. Due ore scorrono velocemente, non pesano in nessun momento, nemmeno nell’incipit, e la formula Marvel si dimostra elastica e adattabile sia a pivot come Avengers: Infinity War sia a piccoli filler del calibro di Ant-Man and The Wasp, dove “piccolo” non evidenza il suo valore, bensì il suo modo di prendersi sul serio.

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Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.