Quando DanDaDan è tornato con la sua seconda stagione nell’estate di quest’anno, l’attesa per molti fan non era solo alta, ma carica di domande: fino a che punto la serie potesse spingere i suoi elementi più stravaganti – gli yōkai, gli alieni e la miscela di azione, commedia e romanticismo – senza perdere identità. La risposta, nel complesso, è stata sorprendentemente compatta: pur con qualche battuta d’arresto, la stagione conferma DanDaDan come uno degli anime più tecnicamente audaci e narrativamente irriverenti del panorama recente.
Saru, una garanzia in quanto a qualità
Come nella prima stagione, questa si distingue per l’oscillazione tra caos visivo e costruzione narrativa curata. Prodotta dallo studio Science Saru, la stagione 2 mantiene il marchio di fabbrica del primo ciclo: un design che non teme di mescolare generi diversi, un uso sapiente della tavolozza cromatica e un ritmo che sa alternare momenti adrenalinici a pause inaspettate di introspezione drammatica.
Dal punto di vista tecnico, la stagione è un successo: le animazioni sono fluide, dinamiche e spesso borderline sperimentali, soprattutto nelle sequenze di combattimento dove forme e prospettive si distorcono senza perdere leggibilità. Science Saru conferma la sua reputazione di studio capace di innalzare l’adattamento di un manga a livelli visivi altissimi: ogni episodio è curato come se fosse quasi un cortometraggio a se stante. Il mix tra colori vividi, contrasti forti e momenti di palette ridotta produce un effetto che sa di opera d’arte animata, piuttosto che di tradizionale serial televisivo.
Anche il sound design e la colonna sonora contribuiscono in modo significativo all’identità della stagione. Le scelte musicali, infatti, accompagnano bene le variazioni di tono della serie – dall’orrore comico alle battaglie dove il suono è parte stessa dell’episodio – e il montaggio sonoro supporta efficacemente i momenti di tensione senza mai andare a sovrastare l’azione. In una produzione così variopinta, mantenere coerenza stilistica è un’impresa e qui la tecnica audio-visiva lo dimostra con costanza.
Emotività e tensione
Narrativamente parlando, la seconda stagione riprende da dove la prima aveva lasciato, immergendo lo spettatore in nuove arcate paranormali e introduce sin da subito il concetto di “Evil Eye” (Malocchio), un’entità yōkai carica di trauma e rabbia che diventerà il fulcro emotivo di gran parte degli episodi centrali.
Tra gli episodi che più hanno catturato l’attenzione di critica e fan ce n’è uno che si distingue in modo netto: l’episodio 4, “That’s, Like, Way Deadly“. Secondo diversi ranking e analisi critiche, questo quarto episodio non è solo il migliore della stagione 2, ma uno dei punti più alti mai raggiunti dall’intero anime fino a oggi. Ciò che lo rende così efficace è la sua capacità di condensare in pochi minuti tutto ciò che DanDaDan eccelle nel fare: ritmo vertiginoso, tensione emotiva, comicità sferzante e un cameo corale dei personaggi. Questo capitolo porta alla conclusione l’arco narrativo dell’Evil Eye, un climax che unisce quasi tutti gli alleati accumulati nella storia in una battaglia che non è solo fisica ma psicologica: la lotta per contenere l’energia disperata dell’Evil Eye diventa un simbolo dei legami che fondano la serie stessa. L’animazione raggiunge qui un livello di espressività rara, con movimenti fluidi e angolazioni audaci che sottolineano l’epicità dell’azione, mentre la regia fa oscillare lo spettatore tra tensione pura e leggerezza tipica del tono di DanDaDan.
Altra tappa fondamentale della stagione è l’episodio 6, “We Became a Family”. Qui la serie dimostra che il suo cuore non è solo nelle battaglie sovrannaturali, ma nella capacità di tessere momenti di forte coesione emotiva tra i personaggi. In questo episodio, la comparsa di una band visivamente ispirata al visual kei che aiuta a esorcizzare l’Evil Eye da Jiji — un momento che mescola cultura pop, surrealismo e azione — è diventata uno dei momenti più celebrati dell’intera stagione.
Quest’episodio è memorabile per la sua audace fusione di elementi sensoriali. Il contrasto tra musica rock intensa, sincronizzazione visiva e la sottotrama di accettazione creano un’esperienza unica. A differenza di altri capitoli incentrati sull’azione, qui DanDaDan trova un equilibrio raro tra performance visiva e profondità emotiva, un equilibrio tra caos e struttura che pochi anime raggiungono.
Nonostante questi picchi qualitativi, la stagione non è priva di critiche. Alcuni spettatori hanno notato come certe parti narrative – in particolare la lunghezza di alcuni archi come quello dell’Evil Eye – possano risultare dilatate rispetto alle aspettative, portando a momenti di transizione che sembrano rallentare il ritmo generale. Tuttavia, anche in questi casi la tecnica visiva e la regia riescono spesso a compensare, facendo di ogni scena, anche quelle più lente, un elemento di stile piuttosto che un semplice riempitivo.
In definitiva, la seconda stagione di DanDaDan è un’opera che conferma la serie come una delle più interessanti proposte anime del 2025: non solo per la spettacolarità visiva e la qualità tecnica, ma per la sua capacità di mischiare generi narrativi con una personalità così definita da risultare immediatamente riconoscibile. È un trionfo di animazione, ritmo e tensione emotiva che ribadisce quanto lo spettacolo di Science Saru sia capace di alzare costantemente l’asticella della sua follia creativa.
