Recensione

Lo Spietato – Recensione del nuovo film di Renato De Maria

Il nuovo film di Renato De Maria parte subito svelandoci le sequenze finali per poi tornare indietro cronologicamente a raccontarci i fatti o, per meglio dire, i “misfatti” del protagonista. La premessa, già di per sé abbastanza abusata, trova il massimo della sua ridondanza con l’aggiunta della voce fuori campo del protagonista. Siamo a Milano, nel periodo di boom, una città che vede in quel frangente storico la crescita esponenziale dell’economia contrapposta ad un aumento vertiginoso della criminalità. In questo mondo che non fa sconti a nessuno si fa strada Santo Russo, emigrato con la sua famiglia dalla Calabria.

L’avidità e la voglia di affermarsi velocemente in quell’ambiente faranno in modo che il destino bussi alla sua porta e per colpa di un banale scambio di persona (lui e il suo amico vengono scambiati per dei ladri) verrà benedetto da questa città e destinato a diventare quello che realmente brama. L’intento, come afferma il regista stesso, era proprio quello di rendere omaggio al cinema poliziesco italiano: trasportare su schermo la sua passione per quel genere di cinema a noi tanto caro. Tutto questo traspare soprattutto per l’enorme goliardia di cui il film è pervaso. I poliziotteschi che venivano prodotti in italia negli anni 70 avevano una componente fondamentale: mai prendersi troppo sul serio fino in fondo. In questo film le battute roventi, le spacconerie da malavitosi e i doppi sensi la fanno da padrona. Forse è proprio questa la parte più riuscita del film. In un approccio che potrebbe essere molto più rigoroso e misurato, Lo Spietato mostra una componente ridanciana imprevedibile, intervallata a violenza e spietatezza convenzionali per il genere.

La pellicola ha tre colori: il giallo, il blu e il rosso, i colori della furbizia, della potenza e della violenza. Il regista afferma: “Volevo fosse un film colorato, non solo nelle immagini ma anche nella costruzione dei personaggi”. Qui Riccardo Scamarcio la fa da padrone. Inizialmente lascia perplessi il suo modo di masticare il milanese: lui, originario della Puglia, sfoggia con una certa sfacciataggine un milanese claudicante. Forse Kim Rossi Stuart per Vallanzasca si era mosso meglio sotto questo aspetto. L’ispirazione sembra più Jerry Calà che il Santo Russo da cui il libro “Manger Calibro 9 ” ha ispirato il film.

Continuando nella visione fortunatamente ci si abitua, non solo noi, ma anche Scamarcio, e il suo Milanese diventa più fluido e in linea con il tono scanzonato del film.  L’interprete e il suo regista affermano che non hanno voluto incontrare personalmente il verso Santo Russo, ma volevano solo reinterpretare, secondo la loro visione personale, quello scenario e quelle personalità che popolavano la Milano di quegli anni. Il Santo Russo dello schermo insegue la ricchezza e un riconoscimento sociale che non ha mai avuto. Si sente e si muove da persona raffinata ma puntualmente, lungo il suo percorso, incontrerà delle situazioni dove la sua estrazione proletaria si sentirà in dovere di fargli fare delle imprevedibili figuracce. Questo è uno degli aspetti più interessanti del personaggio e qui Scamarcio è molto bravo a calcare la mano, gigioneggiando dove c’è bisogno. Riccardo Scamarcio nomina “Goodfellas” come riferimento filmico riportato dal suo regista per dargli un’idea embrionale del progetto, e noi non fatichiamo a pensare che si sia ispirato ad alcuni dei molti tic di Ray Liotta.

Nel film, l’altro aspetto molto interessante sono sicuramente i comprimari. Come nella tradizione del poliziottesco italiano, sono loro la vera anima della pellicola e il cameratismo che esprimono è fondamentale per comprendere la loro unione indissolubile. Santo ha due compagni di scorribande che non lo lasciano mai solo: due sorprendenti Alessio Praticò e Alessandro Tedeschi. Soprattutto il secondo si distingue per bravura nel riportare quella ruvidezza e cialtroneria del suo personaggio, apportando al suo personaggio un modo di parlare biascicato e mellifluo che lo caratterizzano ancora di più. Degna di nota è Sara Serraiocco, la consorte di Santo, bravissima nel suo essere moglie entusiasta in un primo momento e dolente compagna nel periodo di decadenza che affronterà la famiglia.

Il film ha vari rimandi di natura spirituale che abbracciano e seducono i protagonisti senza mai distoglierli dalle loro vere ossessioni: il nome stesso del protagonista “Santo” porta con se un significato scontatamene positivo, divino, e nonostante le insistenze della moglie (che in un secondo momento abbraccia ancora più fanaticamente la sua natura di devota ) non riuscirà mai a distoglierlo dal suo disegno criminale. La figura della madonnina del duomo di Milano, simbolo per eccellenza della città, ritornerà in vari momenti con un attaccamento morboso da parte del protagonista per questa figura votiva, quasi a voler fantasticare un perdono divino che non arriverà mai.

Renato De Maria fondamentalmente si è fatto le ossa girando tanto per la tv, e nonostante l’esuberanza che mostra in questo film, infonde comunque un taglio abbastanza televisivo. Potrebbe sembrare una nota negativa – forse un po lo è – ma a suo favore gioca sicuramente la visione cinefila e appassionata, la ricostruzione attenta degli ambienti, delle macchine dell’epoca, il riuscire a far muovere i personaggi in maniera sciolta, disinvolta, strafottenti e simpatici nella giusta maniera, con le loro contraddizioni. Ma ancora, il voler raggiungere il benessere, l’élite, senza reali capacità culturali ma speculando e perpetrando crimini pur di raggiungere il loro traguardo. Il film paga lo scotto di uscire in un mare di pellicole e prodotti televisivi italici a sfondo crime, nonostante Renato De Maria ci mette quella sana vena sarcastica e disimpegnata per farsi apprezzare. Netflix lo distribuisce praticamente in tutto il mondo con audio italiano sottotitolato e con l’aggiunta dell’audio inglese curato e diretto dagli stessi attori protagonisti.

Lo Spietato

6

Un film godibile, concepito per intrattenere, lo fa con poca astuzia e omologandosi al già visto e stravisto. Dalla sua ha un invidiabile sincerità a scrollarsi di dosso ogni velleità particolare; si diverte, con sagacia, a mostrare la storia di questo ennesimo gangster cialtrone quasi fosse un prodotto televisivo anni 90. Non eccelso ma filmicamente dignitoso nel portare avanti un cinema di genere scanzonato e senza fronzoli. Il rischio é che il pubblico potrebbe snobbarlo in questa bulimia dilagante di film a sfondo criminale: come dargli torto. 

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