Recensione

Death Stranding – Recensione del nuovo gioco di Hideo Kojima

Death Stranding apre le danze con una frase molto importante: il bastone è stato il primo strumento dell’umanità, creato per mettere distanza tra le cose. A seguire, l’uomo ha creato la corda, che invece serve per unire e stringere. Nel racconto The Rope di Kobe Abe compare questo concetto, spiegando come questi due strumenti fossero stati i primi amici dell’essere umano. Eppure corda e bastone, essendo strumenti, sono alla mercé di chi ne fa uso, e come il videogioco, sono mezzi attraverso i quali si può intraprendere un’azione. Hideo Kojima, carico dell’esperienza passata, ha sempre affermato di voler creare un gioco che non facesse utilizzare bastoni (se ci pensiamo, ad oggi gran parte dei videogiochi richiedono all’eroe di turno di uccidere tutti i nemici per salvare vite) bensì corde, che quindi non puntasse sul distruggere, ma sul creare e l’aiutarsi.

Proprio questa dinamica, questo uscire fuori dagli schemi concettuali (sia chiaro, non quelli del mezzo di comunicazione, ovvero il videogioco, ma quelli creati da anni e anni di titoli dal concetto sempre simile), è ciò che dà potere ad un titolo come Death Stranding, ma che allo stesso tempo ha reso poco comprensibile il gioco ad una parte del popolo videogiocatore. Tutto ciò non nasce però da scuse e giustificazioni quali “è per pochi”, “è troppo presto per capirlo”, bensì dalla forma mentis creatasi nel corso degli anni, dalla memoria muscolare che i videogiocatori hanno sviluppato. Obiettivo quindi di questa recensione è quello di criticare il gioco, e nel farlo andremo a creare (o almeno ci proveremo) un ponte tra la memoria muscolare dei videogiocatori e il concetto dietro Death Stranding.

La memoria muscolare del videogiocatore

Ogni medium ha un core, un principale attore che spinge tutto il resto in avanti e che lo differenzia dagli altri: ovviamente, nel videogioco, è l’interattività. Per questo motivo la prima cosa di cui dobbiamo parlare è il gameplay di Death Stranding, perché siamo davanti ad una profondità davvero unica e mai vista (forse anche perché non c’è esponente da comparare). Se mi chiedessero di paragonare Death Stranding – soltanto in termini di gameplay – a qualche altro gioco sarei davvero in difficoltà, perché ciò che ci porta a fare è qualcosa di mai visto. Abbiamo saltato piattaforme, scalato relitti, sparato a nazisti e persino salvato l’universo più volte nel corso della nostra vita videoludica, eppure mai prima d’ora c’era stato detto di portare in giro dei pacchi, facendo delle consegne e puntando a riunificare l’America. O meglio, mai in questo modo.

Death Stranding pone l’accento su dinamiche che spesso negli altri giochi diventano al massimo una linea del tutorial: peso, disposizione del carico, danneggiamento e pianificazione sono il fulcro che vi porterà a pensare ogni volta a come organizzarvi per consegnare il proprio carico. Fare più viaggi (o barcamenarsi con una valanga di pacchi per farne uno solo), scegliere dove passare, come evitare i pericoli e persino quale equipaggiamento portare sarà una meccanica ricorrente per ogni vostro viaggio. Ovviamente a tutto questo va ad unirsi il gameplay dedicato alla camminata: difficilmente il terreno che troverete sarà pianeggiante e pulito, e quindi spesso dovrete stare attenti a dove mettete i piedi, perché persino la roccia più bassa e piccola potrebbe farvi perdere l’equilibrio: il tutto sarà gestito dai dorsali, che perdono (momentaneamente) la funzione di mira e spara per portare Sam a destreggiarsi tra l’enorme peso che porta sulla schiena (in questo caso letteralmente) e i passi che deve compiere. Sebbene potrebbe sembrare un po’ tedioso, il dover stare attenti al percorso diventa la variabile aleatoria del gioco, arrivando a trasformare ogni singolo percorso in qualcosa di diverso. Avanzando nel corso del gioco arriveranno anche esoscheletri di vario tipo e mezzi di locomozione che, se a primo colpo potrebbero facilitare le vostre consegne, in realtà si andranno a bilanciare con l’arrivo di percorsi più pericolosi e lunghi.

Come abbiamo già detto, il percorso di Sam sarà reso impervio proprio dalla Terra, ormai devastata dal Death Stranding (ne parleremo più avanti): infatti oramai violenti scrosci di Cronopioggia rendono pericoloso ogni singolo viaggio. Questa pioggia, infatti, ha la proprietà di velocizzare l’avanzamento temporale di ciò che tocca, facendo invecchiare qualunque cosa. I pacchi quindi si deterioreranno, le strutture si rovineranno e così via. Fortunatamente il gioco metterà a disposizione, avanzando, il CCP (Costruttore Chirale Portatile), capace di creare infrastrutture di vario genere utili sia a voi che agli altri giocatori. Alcune dinamiche di queste feature eviteremo di spoilerarvele, dicendovi soltanto che (ovviamente) il giocatore avanzando nel gioco scoprirà sempre di più conseguenze (dirette o meno) di queste dinamiche. Perché se la Cronopioggia è qualcosa di gestibile facilmente grazie ad una tuta, le CA invece sono il pericolo vero. Le zone coperte da Cronopioggia (che varieranno nel corso del tempo) saranno infatti spesso piene di queste creature (letteralmente, Creature Arenate) invisibili all’occhio umano ma rilevabili grazie al Bridge Baby, un bambino immerso in una capsula amniotica artificiale che, collegato ad un dispositivo sulla spalla sinistra, vi aiuterà a scovarle e ad evitarle. Le CA saranno di varie tipologie, e tutte concorreranno al rendere il vostro percorso dannatamente pericoloso. Fortunatamente, avanzando nel gioco Sam si troverà sempre più equipaggiato per affrontarle, in modi che però vi lasceremo scoprire da soli.

I nemici non si fermano soltanto alle CA: nel gioco saranno presenti anche i MULI , veri e propri drogati di consegne, che avranno il solo obiettivo di intercettarvi e rubarvi il carico. Nel caso riuscissero nel loro intento, il vostro compito diventerà prima quello di recuperare il pacco, e poi ripartire per il viaggio. I MULI saranno armati di lance elettriche che, a forza di colpirvi, vi porteranno a svenire. Nel caso invece vi trovaste in punto di morte, Sam potrà rinascere grazie al fatto che è un riemerso, riportandovi in uno dei punti di gioco precedenti (ma senza carico totale): ovviamente questa dinamica non sarà sempre presente, smontando la falsa voce del mancato Game Over nel gioco. Non esistono soltanto nemici in Death Stranding: se l’obiettivo di Sam sarà quello di riunire i vari nodi dell’America, nel corso del viaggio il protagonista incontrerà svariati personaggi (molti dei quali con le voci e fattezze di amici e fonti di ispirazione di Kojima). Alcuni di questi personaggi avranno un ruolo chiave nel gioco, altri invece saranno delle semplici comparse, ma tutti vi porteranno ad una continua evoluzione del gameplay, chiedendovi sempre consegne diverse: se questo potrebbe sembrare come un susseguirsi di missioni prendi-porta-consegna (cosiddette fetch quest) in realtà l’insieme delle dinamiche di carico, viaggio, pianificazione e ambientazione renderà il tutto decisamente più interessante.

Sebbene il gioco non sia uno shooter, Kojima si diverte spesso a cambiare un po’ le carte in tavola, e così succederà anche in Death Stranding: proprio nelle sezioni armate il titolo andrà a deficitare un po’ di qualche controllo maggiore, rendendole talvolta difficili da gestire (ma aggiungendo un po’ di pepe per quanto riguarda l’uccisione o meno degli altri esseri umani). In conclusione, il gameplay di Death Stranding non è esente da imperfezioni, al contrario sente il peso di essere unico nel suo genere, eppure è tutto fuorché semplicistico e/o monotono: l’insieme di queste regole – sulla carta semplici – creano un pantheon di meccaniche che va a disegnare un gameplay vario, divertente e intrigante sotto molteplici aspetti. Forse alcune rifiniture avrebbero reso meglio, magari facendo un bug check dovuto all’incontro di cosi tante dinamiche.

Convergenza di media

Abbiamo parlato del fatto che Death Stranding porta nel videogioco molti registi e attori amici di Kojima e sue fonti di ispirazione. Nel cast, oltre al protagonista interpretato da Norman Reedus, troviamo anche Mads Mikkelsen, Guillermo del Toro (che dà le fattezze a Deadman), Nicolas Winding Refn (che da l’aspetto a Heartman), Léa Seydoux (che interpreta Fragile), Margaret Qualley (nella duplice veste di Mama e Lockne), Tommie Earl Jenkins (nei panni di Die-Hardman), Troy Baker (voce e aspetto di Higgs) e infine Lindsay Wagner (che l’aspetto sia ad Amelie che a Bridget, sebbene doppi soltanto quest’ultima). L’interpretazione magistrale di questi interpreti viene inoltre resa ottimamente in italiano grazie ad un doppiaggio certosino, che trova solo qualche limitazione nel personaggio Amelie (visto che la versione americana è doppiata da un’altra voice-actress, scelta non reiterata invece nella localizzazione italiana). Il doppiaggio fortunatamente risulta al livello del gioco intero, trovando solo qualche piccola scelta sbagliata in certi dettagli (come la traduzione della canzone London Bridge is Falling Down).

Parlando invece del comparto grafico, il gioco utilizza il Decima Engine di Guerrilla Games, e lo fa al meglio: ogni singolo ambiente è dettagliato nei minimi dettagli, la lontananza viene costruita alla perfezione creando davvero un senso di desolazione e libertà. Ogni singola movenza facciale dei personaggi è realistica (al netto di qualche svista) e i contatti tra i vari poligoni restano realistici e impressionanti. Ad aggiungere pepe a tutto ciò ci pensa la costruzione cinematografica del gioco, che se nelle sessioni di gameplay rimane libera per il giocatore, nelle cutscene mostra una fotografia di alto livello, degna dei migliori film.

Tutto Death Stranding infine si basa su una soundtrack e un comparto sonoro da brividi: se quest’ultimo davvero vi immergerà nel gioco (soprattutto durante le sessioni con le CA), la soundtrack (che comparirà ogni tanto durante qualche viaggio) basata quasi interamente sul genere synth pop, sarà il vero motore sentimentale in queste sessioni di lunghi cammini desolati.

Il filo che lega Death Stranding al giocatore

Abbiamo ripetuto più e più volte quanto Death Stranding non debba essere isolato dal panorama videoludico perché diverso: alla fine dei conti il gioco possiede un gameplay profondo, ha delle dinamiche ludiche e soprattutto è divertente da giocare. Questo però non esclude il fatto che Death Stranding tratta tematiche interessanti, profonde e decisamente poco battute nel panorama dei videogiochi AAA. Delle enormi esplosioni hanno ucciso moltissime persone: sono eventi chiamati Death Stranding, e sono causati dall’arrivo di creature extraterrene sulla terra, le cosiddette CA. Poco viene spiegato all’inizio, mentre molto viene rivelato con l’avanzare, per questo eviteremo di parlarvene direttamente qui (ma ci saranno altri articoli). Quel che è certo è che Kojima ha voluto creare con Death Stranding un testamento di umanità: il gioco più e più volte evidenzia come il vero potere non sia dato da chissà quali abilità, bensì dal contatto tra esseri umani. Non parliamo di contatto fisico, ma spirituale: il collegamento che unisce le persone e che le porta a connettersi. Il gioco tratta proprio la connessione del genere umano, e di come questa renda più forti le persone. Sembrerà un racconto da scatola di cioccolatini, ma questa tematica viene più volte presa e affrontata in una maniera così adulta da averla vista davvero poche volte nel videogioco come medium.

Abbiamo mantenuto questa feature di gameplay per la fine dell’articolo proprio per dargli maggiore importanza: nel gioco sarà presente un multiplayer asincrono che andrà a creare la vera magia di Death Stranding. Infrastrutture, equipaggiamento, mezzi, aiuti e quant’altro infatti saranno anche elargiti dai giocatori, che porteranno quindi una maggiore importanza al dover collegarsi con gli altri. Nel corso della vostra avventura riceverete quindi aiuti di vario genere, qualche spintarella dal punto di vista della costruzione di infrastrutture e, soprattutto, dei like. Questi saranno il segno che il vostro percorso e il vostro aiuto sono stati apprezzati: sebbene possa sembrare una cosa futile, in realtà avranno un’importanza (minore) nel gioco. La sensazione che essi però daranno davvero si avvicinerà molto all’appagamento nell’aver avuto importanza nell’avventura di qualche altro giocatore: essi infatti useranno le vostre scale, i vostri percorsi e i cartelli, che andranno a suggerire determinate informazioni.

Una forte importanza inoltre è data alle lacrime, allergia al chiralium che colpisce chi possiede le DOOMS (delle abilità di vario genere) e che sebbene siano spesso generate involontariamente, si mescolano alle vere lacrime che nel corso del gioco cadranno dagli occhi di molti personaggi, segno dei sentimenti raccontati in ogni singola storia, sia essa la trama principale che quelle sottotrame secondarie: basterà infatti superare quella parvenza di fetch quest per trovare dietro ad ogni consegna una storia, delle caratterizzazioni e tantissimo studio. Quello che risulta difficile da spiegare sono proprio le sensazioni, quel sottile filo che si stringe attorno al cuore del videogiocatore quando avvia per la prima volta Death Stranding: proprio il verbo nel titolo significa infatti filo nel sostantivo, ma porta il significato di arenarsi nel verbo. Questa duplicità è la magia che riesce a far emergere sentimenti nel giocatore, e in questo modo creare un ponte empatico davvero profondo. Gran parte di queste sensazioni purtroppo cadrebbero in spoiler, e come tali ve ne parleremo in separata sede, ma se c’è un obiettivo che ci siamo fissati con questa recensione è stato quello di cercare di farvi capire come Death Stranding non sia un gioco perfetto, al contrario. Eppure ciò che rende l’essere umano unico è proprio l’imperfezione, quella variabile aleatoria che come tale rimane totalmente casuale, e che quindi porta a cancellare l’idea di scelta come codice binario, puntando molto di più sul libero arbitrio dell’essere umano.

Death Stranding

10

:Death Stranding rinnova l'idea di videogioco senza stravolgerlo: come tale rimane carico di gameplay e di meccaniche di gioco, ma sposta l'obiettivo dal classico uccidi e salva la principessa e diventa più un unisci e salva l'animo umano. Tecnicamente ineccepibile, propone la sua visione di Open World grazie ad una cura nel dettaglio certosina e una mappa sempre diversa (nei limiti del concetto del gioco). Le meccaniche sono varie e sempre nuove, portandovi a scoprire feature anche a poche ore dalla fine della storia principale (che si attesta sulle 50 ore) e il tutto si amalgama alla perfezione con il multiplayer asimmetrico ideato per Death Stranding. Missioni secondarie rese interessanti non dallo scopo ma dal viaggio, e soprattutto dalla costruzione dei racconti che trovano approfondimenti nei collezionabili. Doppiaggio ottimo e interpretazione dei vari attori (e cast generale) sopra la media. Per ultimo, ma non per importanza, Death Stranding è un manifesto dell'essere umano come accezione positiva: la connessione con altre persone può portare a migliorare sia noi stessi che gli altri.

Simone Lelli
Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.

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