Accade che, una volta ogni tanto, ci si trovi di fronte a un vero e proprio punto di non ritorno, uno di quei momenti cruciali nella serpentina evoluzione della cultura pop di cui non si può che attendere smaniosamente l’esito. Con la presentazione del Dune di Denis Villeneuve – di cui vi proponiamo la recensione – all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, culla utopistica e benamata del racconto su celluloide in tutte le sue iterazioni, si è inaugurato uno di questi spaventosi eventi di rivalutazione culturale. Inaugurato, non concluso: l’epilogo del travagliato e costosissimo exploit produttivo di Villeneuve, che ambisce a una sintesi estrema fra blockbuster e cinema d’autore, è incerta. Il regista canadese, consapevole di combattere una battaglia rischiosissima contro l’establishment hollywoodiano, attende ancora il via libera per il seguito di questo suo ultimo film, adattamento della prima parte di quel romanzone epico con cui Frank Herbert, più di cinquant’anni fa, aveva messo su carta un universo letterario che sarebbe poi divenuto vero e proprio oggetto di culto. La Warner intanto pazienta, in attesa che il riscontro del pubblico confermi o ribalti le sue aspettative. La risposta la avremo fra qualche settimana, quando i numeri del box-office saranno rivelati e gli altarini infine scoperti: solo allora sapremo se dal famigerato deserto di Dune Villeneuve è tornato vittorioso oppure no.
Nel frattempo, tra l’attesa asfissiante e le innumerevoli polemiche sulla distribuzione della pellicola – che negli States uscirà in contemporanea al cinema e su HBO Max, con comprensibile disappunto del suo creator – al festival di Venezia il film sembra aver fatto tremare i muri delle sale. Con il peso delle sue ambizioni e del suo grandioso comparto tecnico, Dune si è presentato al Lido come baluardo ultimo del cinema hollywoodiano da grande schermo, lo scoglio di salvezza per un’industria china di fronte alla supremazia del prodotto televisivo sulla sala cinematografica: l’ultimo lamento del blockbuster classico, quello dell’eroe di Campbell e delle galassie lontane lontane, qui sguinzagliato nella sua versione più autoriale e operativa prima dello scontro finale con il pubblico. Una missione di puro amore per il cinema che solo sullo schermo, a detta di Villeneuve, può trovare il proprio compimento.
Reinvenzione del romanzo classico
Al cuore di questo pulsante giocattolone c’è il racconto, classicissimo e sempreverde, di un giovane alla scoperta del proprio destino. Paul Atreides, il protagonista del film, è l’eroe incaricato di portare ordine nel mondo a cui appartiene, segnato dalle lotte politiche e dalla sete di potere di chi lo comanda. Trasferitosi assieme alla famiglia sul selvaggio pianeta Arakis, che il padre Leto ha ricevuto l’incarico di governare, Paul viene catapultato nel mezzo di una serie di sanguinosi eventi destinati a modificare per sempre il corso dell’esistenza sua e di chi lo circonda. Starà a lui trovare la propria personale dimensione nell’universo di Herbert, che pur lavorando su un paradigma narrativo iper-classico aspira a un disegno più elevato, in linea con la filosofia del Buddhismo Zen: come un racconto di formazione in chiave di parabola spirituale, Dune punta a riscrivere il mito dell’eroe romanzesco nell’ottica di una rinnovata fede nell’ordine del cosmo, nel rapporto con la natura e nell’accettazione del proprio ruolo all’interno del ciclo storico degli eventi. Temi che, al di là della loro matrice spirituale, ben si adattano al racconto di formazione classico come Hollywood ce l’ha fatto conoscere e apprezzare.
Il succo del discorso è che, al di là della fama di “romanzo infilmabile” e del tentativo da parte degli illustri colleghi – Jodorowsky e Lynch – di bypassarne la dimensione più monumentale, Dune non può che essere adattato sullo schermo in forma di blockbuster. Villeneuve, che questo lo ha ben capito, ne abbraccia a pieno la tendenza mastodontica, reiterando quanto già anticipato nel suo indimenticabile Blade Runner 2049: ci troviamo ancora una volta davanti a un colosso d’auteur in tutto e per tutto, aperto verso il grande pubblico (con un cast di grandi nomi tutti perfettamente in parte) ma dal taglio narrativo elevato, magniloquente al punto da essere estenuante. Dopo il semi-flop del lavoro precedente – che già puntava in qualche modo a imporre la propria schiacciante idea autoriale sul canone del film hollywoodiano – è già un miracolo che una produzione di simili dimensioni sia stata effettivamente portata a compimento. Il limite imposto da parte di Villeneuve era quella di spezzare il libro di Herbert (primo di una lunga serie) in due parti, così da restituire all’epica del romanzo originale tutto il suo disteso splendore. E infatti Dune è in realtà solo Dune – parte 1, come viene mostrato nei primi minuti, in attesa che il racconto raggiunga il suo completamento.
Un romanzo diviso in due
Scelta giustificata o meno, è questa spaccatura narrativa che determina i pregi e i limiti di un lavoro maestoso e imperfetto. I 155 minuti di durata sono densi, stracolmi di informazioni atte a posizionare i numerosi personaggi, tutti ben raccontati nella loro intima complessità, all’interno del loro universo d’azione: a conti fatti la prima parte del film è un susseguirsi di scene di exposition che caricano il racconto all’inverosimile, alludendo a evoluzioni future di strabiliante inventività. A bilanciare la pesantezza della prima parte vi è un secondo atto tutto d’azione, una lunga rincorsa nel deserto che sfida i limiti dello schermo cinematografico con il suo spettacolo strepitoso di effetti speciali, sonoro assordante e visuals fuori da ogni immaginazione. Il tutto si esaurisce in un epilogo semi-forzato che allinea i protagonisti dinnanzi al prosieguo del racconto e tenta di dare una chiusa a una storia che, in realtà, è solo da poco iniziata. Il risultato è un mattone di intrattenimento gigantesco e sbilanciato, che cresce a dismisura senza mai veramente esplodere, capace di veicolare l’emozionante spettacolarità del grande schermo come pochi film hanno saputo fare in anni recenti.
Quelle prodotte qui sopra sono, va specificato, riflessioni fatte dopo aver preso visione di una piccola parte di un quadro ben più complesso e ampio: il valore ultimo dell’opera di Villeneuve potrà essere constatato solo quando il ciclo narrativo sarà concluso. Di fronte a un film così grande e insieme incompleto è giusto quindi limitarsi a una semplice constatazione, più che una vera e propria revisione critica, su quello che è senza dubbio un kolossal senza precedenti. Cinema muscolare, sotto steroidi, da intimidire anche il più imperterrito dei cinefili: si dovranno perdonare le innumerevoli concessioni al registro superlativo, che appaiano in questo caso doverose. Il tempo ci dirà verso quali orizzonti il vento del box-office spingerà la saga epica imbastita da Villeneuve. Per adesso l’appuntamento, obbligato per chiunque si consideri amante dell’illusione filmica e del buio della sala, è nel cinema più vicino da giovedì 16 settembre.