One Piece: Stampede – Recensione, Luffy e ciurma tornano sul grande schermo!

Ecco la nostra recensione di One Piece: Stampede! Il festival dei pirati sbarcherà nelle sale italiane questo 24 ottobre!

Redazione
Di Redazione Recensioni Lettura da 7 minuti
8.5
One Piece: Stampede

I pirati di cappello di paglia sono tornati, e con loro anche segreti che sarebbe stato meglio mantenere tali. One Piece: Stampede sbarca domani 24 ottobre nelle sale italiane, giusto in tempo per festeggiare i 20 anni di vita dell’anime più marrano e bucaniere di sempre. E se possiamo salpare verso il cinema a soli due mesi di distanza dalla release originale nipponica è proprio grazie a quei bravi ragazzi di Anime Factory e Koch Media: il primo applauso è per loro e ci scappa dalle mani mentre il film è ancora da proiettare. Ma adesso, è il Festival dei Pirati. Lo sapevate? No? E va bene così: l’evento è organizzato in gran segreto dal famigerato Buena Festa, che estende l’invito a tutte le ciurme dei Sette Mari. Luffy e i suoi compagni rispondono immediatamente alla chiamata e con loro praticamente ogni vecchia e nuova conoscenza della serie. Davvero. Pensate ad un personaggio della saga: se è apparso in una qualsiasi puntata di One Piece, lo ritroverete in questo film. Margine di errore al 10%. Obiettivo di ogni ciurma, conquistare un misterioso tesoro segreto di Gol D. Roger, ma ecco che a rovinare i festeggiamenti arriva Douglas Bullett, il leggendario pirata che tenne testa a Roger stesso: non vi racconteremo altro per non rovinarvi la sorpresa, ma sappiate che il bucaniere è pronto a intraprendere una sanguinosissima strada fatta di rabbia e vendetta.

Tesori, colori e cazzotti

Takashi Otsuka e Eiichiro Oda mettono in piedi un’esplosione di colori e idee, con il Maestro preso evidentemente da un’ondata di nostalgia e voglia di fare come non si vedeva da tempo. I personaggi che si susseguono a schermo si destreggiano uno dopo l’altro per rimanere in equilibrio su un filo teso sopra il burrone del fan-service, ma i 100 minuti di film scorrono al palato e agli occhi che è un piacere. Plauso speciale alle musiche di Kohei Tanaka: sono presenti più di 30 tracce tra pezzi originali e rivisitazioni di grandi classici della serie, e scommettiamo a mani basse che vi si rizzeranno i peli delle braccia più di una volta. E se fino a questo punto la recensione vi sta sembrando fin troppo entusiasta, resistete per l’ultimo punto positivo, poi passeremo ai temi più traballanti. L’adattamento italiano è qualcosa di eccezionale: forte di una localizzazione minuziosa e rispettosa nei minimi dettagli dell’opera originale, troviamo la vera perla nascosta nella direzione del doppiaggio, affidata a Gigi Rosa. Il tutto splende di una qualità che raramente si trova in lungo o mediometraggi del genere, con voci vecchie e nuove al massimo dell’espressione artistica.

Ed ecco che ritroviamo quindi Renato Novara nei panni di Luffy, Emanuela Pacotto in quelli di Nami, Luca Bottale ad interpretare Usop, e Bullett minaccia questo e quell’altro con la cattivissima voce di Roberto Draghetti, new entry del cast vocale. Purtroppo però, con il sorriso ancora sul viso, ecco le note dolenti. Perché si, ci sono note dolenti.

Partiamo dal tema che abbiamo sfiorato prima, il fan-service. Criticare un opera chiaramente celebrativa per questo stesso motivo ci sembra davvero ingenuo, ma un gusto amaro a fine visione c’è: tanti, tanti, forse troppi pirati passano a schermo, alcuni davvero per una manciata di fotogrammi. Ed ecco che appare Bagy, si vede Eustass Kidd, si riesce perfino a salutare di sfuggita Crocodile, ma la sensazione che tutti quei bucanieri siano stati infilati a forza dentro la cornice di questa enorme foto di gruppo c’è: con un pizzico di attenzione in più nel calibrare le varie apparizioni avremmo sicuramente avuto un lavoro finale più coeso e solido.

Stesso discorso per la sceneggiatura: è infatti proprio nella narrativa che troviamo un altro tasto dolente dell’opera, con un canovaccio esile esile su cui Bullett si erge pronto a riempire i buchi di trama con la propria cattiveria. Il fatto che Oda in persona sia stato così coinvolto nella fase creativa di Stampede fa storcere ancora di più il naso al pensiero, eppure, dopo il primo Gear Fourth, tutto passa, fidatevi. Il punto forte di questo film è proprio questo: è una festa, fuori e dentro lo schermo, 100 minuti da passare a cuor leggero pensando a questi vent’anni fatti di corse a perdifiato da scuola a casa per non perderci l’ultima puntata di One Piece. E se vi abbiamo parlato di musiche, di trama, di doppiaggio e di personaggi, manca ancora un punto: la tecnica.

Avevamo detto che avremmo parlato dei difetti del film, ma niente: i tratti di Stampede sono caldi, vivi, sanno di mano esperta e matita grassa, i fogli bianchi sotto gli occhi di Oda che prendono vita nella loro forma più nostalgica e elegante. Certo, nella parte finale l’uso della CGI si vede e stona, con la regia che non tenta sicuramente nessuna scelta troppo ambiziosa: combattimenti esteticamente appaganti ma non proprio indimenticabili si susseguono uno dopo l’altro, rimanendo comunque capaci di farci rimanere incollati allo schermo. Animazioni fluide e scenografie mozzafiato, poi, lasciano spesso spazio a momenti molto più “grigi” emotivamente, certo… ma davvero ancora non capite? Dopo tutti questi anni? Posate questo cellulare, questo PC, prendete un cappello di paglia e andate. E niente streaming, niente divano e patatine. Uscite a vedere questo film, portatevi dietro degli amici, parlate con loro di One Piece in fila al cinema, durante il film, all’uscita, tornando a casa. Stampede è questo, il messaggio più bello: One Piece siamo noi.

One Piece: Stampede
8.5
Voto 8.5
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