Il Re Leone – Recensione del nuovo remake “live-action” targato Disney

Il Re Leone è una storia talmente classica da essere insita nell'immaginario collettivo come una sorta di punto fermo, un cardine della nostra esistenza. Disney non ha sbagliato nulla questa volta, eccovi la nostra recensione, rigorosamente senza spoiler.

Tiziano Sbrozzi
Di Tiziano Sbrozzi - Senior Editor Recensioni Lettura da 5 minuti
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Il Re Leone

Il Re Leone è da sempre uno dei nomi più importanti nel campo dell’animazione ma non solo: libri, storie di ogni genere e addirittura opere teatrali intramontabili, portano avanti una storia immutata, capace di rispondere alle mille domande dell’uomo. Immutabile, nel tempo e nella sostanza, la storia del leoncino Simba e della sua famiglia accompagna da generazioni il mondo intero, al punto che vi sarà molto difficile non incontrare qualcuno che, per lo meno, non conosca i nomi dei protagonisti della storia, pur non avendo mai visto direttamente la pellicola. Vediamo come se l’è cavata Jon Favreau alla regia di questo photo-reality movie.

Il Cerchio della Vita

Il film si apre con l’alba che bacia l’Africa come accadeva nel lontano 1994: ebbene leviamoci il dente fin da subito, sappiate che la trama non ha subito alcuna variazione rispetto l’opera originale, il motivo è presto detto, siamo di fronte alla perfezione narrativa e cinematografica, cosa avrebbero potuto fare per migliorarla? Ebbene qualche ritocco qua e là c’è stato, il titolo ha ottenuto qualcosina, ma nulla per cui gridare al miracolo. Simba è un leoncino che si affaccia alla vita e cerca di dimostrare (ingenuamente) a tutti che può essere di più di un semplice cucciolo. Mufasa, il padre di Simba cerca di insegnargli come un Re dovrebbe agire piuttosto che fare come un Re vorrebbe: il concetto della famiglia e del rispetto comune, che collega tutto e tutti, ovvero il Cerchio della Vita, è qualcosa che Simba imparerà molto presto, in quanto nell’ombra lo zio Scar mira al trono del giovane principe. Non possiamo sapere se andando oltre si sfoci nello spoiler, per cui meglio che si dia un freno al seguito degli eventi per evitare di svelare oltre la trama a chi ancora non ha visto la pellicola originale.

Live-action o Photo-reality

Jon Favreau ha dichiarato che la sua versione de Il Re Leone è all’effettivo un Photo-reality movie, dove esistono solo due scene “reali” ovvero fisicamente girate in Africa dalla produzione, per tutto il resto del tempo è la computer grafica a farla da padrone e ci sentiamo in dovere di dire: grazie a Dio! La messa in opera dei personaggi animati è perfetta, con un realismo che sfiora la perfezione: ad impatto il film è un vero spettacolo per gli occhi, al punto che potreste non rendervi mai conto di quali scene siano state girate in Africa. L’adattamento questa volta è stato sublime, al punto che quella mezz’ora che distingue il film odierno dal suo predecessore, arricchisce e non smentisce nulla del passato: non potendo dirvi nulla circa gli eventi che allungano la storia, sappiate che l’arricchimento sebbene non necessario è come la ciliegina estetica sulla torta già buonissima, ovvero è proprio il caso di dire “anche l’occhio vuole la sua parte”. 

Hakuna Matata

Se il motto di Timon e Pumba non è cambiato negli anni, nemmeno Il Re Leone lo ha fatto: i concetti potenti come la famiglia, il tradimento e la redenzione sono sempre lì, immutati, quindi come direbbero il piccolo suricato e il grasso facocero, Senza Pensieri (hakuna matata) affrontate così il film in uscita. Errori? Non che si possano chiamare tali, ma di certo quello che stona nella versione italiana sono le scelte del doppiaggio: Elisa che veste i panni di Nala, è perfetta nel canto (ci mancherebbe, è un artista pluri-premiata e a ragion veduta) mentre forse il tono è troppo adulto per interpretare una leonessa nel fiore degli anni; Marco Mengoni, ovvero il nostro Simba è da bocciare in termini di doppiaggio, mentre è bravissimo anche lui nel canto ed è un piacere ascoltarlo nel suo elemento naturale. Il vero problema della versione italiana è che i doppiatori di professione deficitano nel canto, ad esempio Scar doppiato magistralmente da Maurizio Popolizio, accenna appena la canzone “Sarò Re” mentre nella versione del 1994 la canzone aveva un forte impatto, qui il “cantato” non è nelle corde del bravissimo doppiatore e un po’ la pellicola ne soffre. L’unica critica che si può muovere a questo film è appunto la mancata distinzione dei ruoli: chi canta che faccia il cantante e non lo si forzi a fare doppiaggio, mentre chi doppia non lo si forzi a cantare, non è il loro mestiere e si sente la differenza, in ambedue i sensi.

Il Re Leone
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Voto 9
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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.