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West of Dead – Recensione di un aldilà violento e desolante

West of Dead è un titolo spiazzante. Quasi fa arrabbiare per l’incredibile opportunità avuta in mano dagli sviluppatori che sembrano essere stati i primi a non crederci abbastanza. West of Dead si infarcisce di un ottimo incipit e una buona dose di meccaniche semplici e ben contestualizzate, uno scheletro robusto su cui presa praticità con i comandi si spera nella diretta evoluzione, invece nulla. Passati i primi livelli e capita la struttura di essi, il gioco mette il pilota automatico assieme a una formula di estrema ripetitività nel costruire tutto il successivo percorso che porta ai titoli di coda, intervallando la strada con alcuni boss. L’entusiasmo iniziale, la fiamma viva della passione viene dunque spenta violentemente poco dopo da una secchiata di acqua gelida, portandoci con i piedi per terra: questo scheletro non ha ciccia, è robusto nelle ossa, ma la sostanza non cambia. Ma parliamo di un altro scheletro, il nostro protagonista ardente.

Immaginario pop

Il setting del vecchio West ha fatto la fortuna di media quali il cinema, con il genere che ha posato le basi di molti film di avventura e thriller che conosciamo oggi. Abbiamo avuto modo anche di immaginarci lande desolate immergendoci nella lettura di grandi classici, con Cormac McCarthy che ancor oggi è lì a indicarci la strada nella struttura e narrazione del silenzio desolante di terre bagnate dal sangue di pistole, cowboy, frecce e indiani d’America. In questo agglomerato di casi non può mancare il videogioco che, nonostante preferisca sempre world builing incentrati su fantascienza o fantasy, ogni tanto si regala il lusso di portarci nel vecchio West, e balzano subito alle mente titoli mastodontici come Red Dead Redemption.

west of dead recensioneIn questa realtà, West of Dead cerca di coniugare due generi distinti: il fantastico con lo storico. Questi due prendono vita proprio in quella che è la trama del gioco. Dopo la morte non c’è il Paradiso e neanche il fantomatico Nulla, bensì una dimensione che richiama tutti gli stilemi del vecchio West, da saloon malfamati e baristi dall’aria stanca, fino a loschi figuri e a mercanti pronti a spillarci la valuta corrente in questo mondo ultraterreno. Il nostro protagonista dal teschio infuocato, William Mason, indagherà sulla sua dipartita a colpi di pistola, granate e fucili.

Sei colpi e tanta fortuna

Il titolo si presenta con una formula di gioco non dissimile da un semplicistico roguelite. Certo è che dietro questa derivazione a compensare c’è l’ottimo comparto visivo. I personaggi sono modellati con grande cura e tutte le ambientazioni vivono di un’oscurità pulsante che verrà illuminata dal nostro teschio ardente. La mappa, costruita a corridoio, presenterà più direzioni da esplorare, così da trovare armi bonus, oggetti, boost momentanei o specifici vendor.

Arrivare a fine livello non sarà semplice, dato che ogni “stanza” presenterà dei nemici. Affrontarli a volto scoperto è follia, infatti saremo un bersaglio facile e periremo – anche in questa dimensione – dopo una manciata di colpi. Qui entra in gioco un sistema di coperture automatiche. In ogni stanza saranno presenti colonne o delle casse a terra, tutte distruttibili. Ci basterà avvicinarci affinché il nostro William eseguirà un’azione da copertura automatica.

Essendo un twin stick shooter (caldamente consigliato l’utilizzo di un joypad dunque), mirare da dietro un riparo sarà molto facile, anche grazie a una mezzaluna ai nostri piedi che ci indicherà la direzione che prenderà il colpo appena lasciato lo stick. Ogni arma beneficia di un determinato numero di colpi. Smettere di sparare ricaricherà automaticamente il nostro caricatore, pronto da usare e riversato contro altri nemici.

Non mancheranno le armi da lancio tra vecchie accette, coltelli o anche piccole granate.

Nel mezzo del cammin di nostra vita

Adesso cominciano i dolori. Dopo aver apprezzato tutto il comparto di meccaniche funzionali e una direzione artistica sicuramente interessante, il gioco smette di esistere. Per praticità e senza usare metafore fuorvianti: tutti i livelli si compongono di questi elementi, corridoi, stanza piene di nemici, altri corridoio e altre stanze (con estremo riciclo di asset). Ogni tanto ci scappa il boss oppure il vendor di turno, ma l’estrema ripetitività fin troppo tediosa, allunga all’inverosimile un gioco che già dopo una manciata di ore, smette di impressionare e non riuscire più a veicolare in alcun modo i buoni punti a favore.

West of Dead dunque rimane un’ottima idea ben concretizzata, ma nel momento in cui si chiede un’esplorazione più approfondita di ogni organo che viene chiamato in causa, questo smette di funzionare, mascherato dietro un continuo riciclo di asset per quanto riguarda le ambientazioni e per la stessa struttura di contenuti, dal livello di sfida proposto, sino agli oggetti di gioco (come le armi intercambiabili – e ognuna con una sua potenzialità intrinseca – che davanti una pletora di nemici tutti uguali, mancano la possibilità di mettersi in atto come armi più versatili per il tipo di giocatore che siamo). Qualunque sia l’arma impugnata e il nemico davanti a noi, un paio di colpi ed esso perirà, un po’ come il nostro entusiasmo che si è spento livello dopo livello.

 

West of Dead

6

West of Dead parte da un incipit narrativo intrigante, amalgamandosi a generi e strutture già ben oliate nel panorama. Purtroppo, dopo un primo impatto notevole, il titolo smette di evolversi per riproporre la forma ludica senza nessuna novità, tra livelli ripetitivi e ricicli di asset alla vista di tutti.

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