Lo abbiamo visto tutti, no? Ci è passato d’avanti e ci ha sputato in faccia senza neanche spiegarci il perché. Intanto, noi stiamo ancora cercando un fazzoletto per pulirci gli occhi e scoprire in che direzione è fuggito per riempirlo di botte. No, non sto parlando del tizio che vi ha bullizzato a scuola (lui probabilmente è ai domiciliari oppure ha ingravidato qualcuna) ma di quell’improponibile live action chiamato Death Note, rilasciato qualche giorno fa su Netflix, la piattaforma che riempie le serate di noi antisociali. Dobbiamo davvero sottolineare l’ovvio? Questo film è brutto, ma non perché “Non è fedele all’anime/manga!1!1!!”. Semplicemente si tratta di uno spreco di pellicola, soldi e tempo, sia per noi che per gli addetti ai lavori.
Dopo decenni di trasposizioni, il pubblico di appassionati continua a commettere lo stesso errore: pretendere che un film ispirato a un’opera sia fedele all’originale in tutto e per tutto. Fratelli miei, è giunto il momento di mettersi l’anima in pace e fare i conti con il fatto che cambiando il media cambiano anche molte delle caratteristiche del soggetto di partenza. Io ricordo ancora quando, in occasione dell’uscita del film Harry Potter e il Calice di Fuoco, la gente si infervorava su ForumFree (sì, sono così vecchia) perché non avevano inserito l’organizzazione C.R.E.P.A. fondata da Hermione Granger. Anche allora la gente non aveva capito che se avessero inserito tutto il contenuto dei libri su pellicola, il film sarebbe stato talmente lungo che a confronto potremmo considerare La Meglio Gioventù come un cortometraggio. Quando si cambia il mezzo di trasmissione, come ad esempio da libro a film, occorre eliminare molti elementi “superflui” sia per una questione di tempi sia per renderlo più fruibile al grande pubblico. Lo spettatore medio, magari estraneo all’universo da cui un film è ispirato, difficilmente accetterà un prodotto troppo pregno di elementi. Non sto dicendo che dobbiamo rendere frivola ogni storia, ma inserire troppi elementi in un’ora e mezza/due appesantisce molto il carico ed allontana gran parte del pubblico. Ci sono film di successo molto complessi, pregni di simbolismi e riferimenti culturali, (Eyes Wide Shut docet) ma vi assicuro che non si tratta di una copia perfetta del soggetto di partenza. In due ore occorre dare gli elementi fondamentali di una storia per poter attirare il pubblico d’elite e il pubblico medio. Ed ecco l’altra verità (suspense) sono gli spettatori medi ad alimentare l’industria del cinema più di chiunque altro.
Ma cosa accade quando non solo vengono eliminati degli elementi, ma vengono modificati? E’ davvero un errore così grossolano? Ni. Se vogliamo girare un film ispirato a un videogioco o un manga ambientato in Giappone occorre mantenere alcuni elementi culturali. Quindi via di divise alla marinara, disciplina ferrea, simbolismo everywhere ed elementi esoterici comuni nella cultura nipponica (Svet e gli stereotipi). Ma diciamocelo, l’industria del cinema Giapponese sforna film involontariamente trash che difficilmente raggiungono il grande pubblico. Ed è qui che entrano in gioco le produzioni americane. In questo caso è molto facile che una storia prima ambientata in oriente venga poi modificata e riadattata in un contesto occidentale, dominato da cheerleader e quaterback. Questo non sarebbe un problema, se tutto ciò non venisse fatto con le zampe di una scimmia urlatrice! E’ stato proprio questo il caso di Death Note. Un’ora e quaranta di nulla. Ed è proprio questo il vero peccato di questo film, una sceneggiatura ridicola basata sul niente che non intrattiene lo spettatore medio e non soddisfa i fan dell’opera originale. Credo che sia questo il vero fallimento di una trasposizione cinematografica. Per esempio, il primo film di Tomb Raider (Santa Angelina Jolie) non è esente da difetti, ma riesce benissimo nell’intrattenere il pubblico e nel non far rimpiangere troppo il tempo speso. Questo perché le scene d’azione sono godibili e la trama è tanto semplice quanto efficace.
Una brutta sceneggiatura porta, a volte, a brutti personaggi. Un protagonista dal carattere e dalla psicologia leggermente abbozzata potrebbe far storcere il naso a qualcuno, ma se rimane coerente con sé stesso e con la propria faciloneria allora possiamo anche perdonare un po’ di superficialità. Le cose si fanno preoccupanti quando abbiamo a che fare con una caratterizzazione che non esiste. Light Turner (no, non Yagami) farebbe la gioia di molti psichiatri, dato che è probabilmente affetto da una grave forma di schizofrenia. In una scena è lo sfigato/innamorato zerbino, in quella successiva si trasforma versione tarocca di Patrick Bateman. Lo stesso vale per quella sciroccata di Mia (Misa Amane) e per L vestito da black bloc. Se tutto questo lo posizioniamo nel vuoto siderale della trama allora abbiamo la ricetta del film pessimo per eccellenza. L’indignazione generale, scaturita per vari motivi, ha come comune denominatore l’insoddisfazione generata da una scarsa cura per un prodotto potenzialmente valido. Di fronte a tutto ciò, è facile cadere nei soliti discorsi che fanno riferimento ad altri prodotti, i quali non vengono valorizzati abbastanza per via degli scarsi mezzi e invece “guarda tu questi qua, hanno i soldi e fanno lammmerda“. Però il pubblico ha un potere grande, un potere che io in questo momento non sto utilizzando ma al contrario, con la grande forza dell’incoerenza, sto soffocando ed annientando. Il potere del silenzio. L’indignazione iniziale è naturale, ed è ovvio parlarne, ma con internet tutto viene amplificato e anche i prodotti scarsi hanno una risonanza che non dovrebbero avere. Quindi converrebbe dire la propria, per poi restare in silenzio e non toccare mai più il Death Note. Ci sarà poi qualcun altro che lo prenderà, speratene solo che ne faccia buon uso.