Project Power è un nuovo film targato Netflix che va ad arricchire il già nutrito catalogo di film originali sulla piattaforma streaming. Genere azione, fantascienza ed anche, seppur in minor parte thriller. 111 minuti (sicuramente troppi), diretti da una coppia di registi: Ariel Schulman, sostanzialmente sconosciuto e Henry Joost, che invece si è già fatto conoscere per aver diretto, tra gli altri, due capitoli della saga Catfish ed altrettanti della saga Paranormal Activity, avendo quindi già spaziato in più di un genere cinematografico. Un cast di certo notevole, composto da Jamie Foxx nei panni di uno dei protagonisti, Joseph Gordon-Levitt, uno dei giovani attori di Hollywood più in attività negli ultimi quindici anni ed anche Rodrigo Santoro, attore che pian piano si sta ricavando il suo spazio grazie a partecipazioni importanti come nel film The 33 e nella serie Westworld, di produzione HBO.
Un gruppo di imprenditori crea una nuova potentissima droga contenuta in compresse. Essa consente a chi la assume di ottenere un vero e proprio super-potere, casuale e per soli cinque minuti. A volte consiste in qualcosa che possa potenziare la difesa, rendere super-resistenti agli attacchi o invulnerabili; a volte in qualcosa che invece trasformi la persona in un cacciatore, in una macchina da guerra. New Orleans è la città scelta come banco di prova per questa droga e gli imprenditori la cedono ad un gruppo di spacciatori perché la facciano circolare in città. Ciò che ne consegue è un aumento esponenziale del crimine ed una pericolosa esposizione dei cittadini ad un continuo pericolo mortale. Un ex soldato in cerca di sua figlia (Jamie Foxx) ed un poliziotto locale che decide di combattere ad armi pari provando lui stesso la droga (Joseph Gordon-Levitt) decideranno così di contrastare la diffusione e la produzione su larga scala della stessa.
Project Power: ma un project di sceneggiatura?
Questa è la trama di Project Power, di cui la parte fantascientifica è sicuramente il punto di forza. Non per dire che dietro vi sia chissà quale originalità (sono argomenti già trattati in film come Limitless o Lucy), ma comunque un impegno creativo c’è stato, specialmente nello snodo principale della sinossi. Il problema è tutto il resto. Il film si arricchisce infatti presto di personaggi, pensieri, volontà e obiettivi già visti. È come vedere spezzoni di altre opere montate insieme e ripetersi, come se già conoscessimo una parte del film. La conseguenza logica è che, nonostante le scene siano coinvolgenti, a volte spettacolari e vivaci, nella parte centrale finiamo comunque per annoiarci, forse anche a causa di una recitazione non sempre convincente e di personaggi dal background veramente banale. Niente viene mai approfondito fino in fondo. Veniamo a conoscenza di informazioni che riguardano i buoni, del tutto superflue essendo veri e propri cliché, e dove invece potremmo trovare dell’interesse, cioè nel punto di vista dei villain (che invece hanno un progetto da portare avanti), non viene fatto nulla. Appena iniziamo a conoscerne uno e capiamo che possa essere carismatico ed interessante, sparisce dallo schermo e lascia il posto ad un altro. Insomma, fino alla fine del film non facciamo mai in tempo ad avere una piena comprensione di tutti i personaggi, complice anche una sceneggiatura non proprio perfetta. Eppure, sarebbe bastato diminuire la durata, magari proprio il numero dei personaggi e, al tempo stesso, risparmiare del budget per impiegarlo nella resa visiva di alcune scene, che a livello di effetti speciali soffrono un po’.
Dietro tutto ciò c’è un’idea di regia che sostanzialmente funziona, con tutti i limiti imposti dalla sceneggiatura. Anche un’idea di fotografia coerente per tutto il film, che diventa interessante per quanto riguarda alcuni movimenti di camera che caratterizzano la visione dall’inizio alla fine, insieme all’utilizzo di riprese volutamente storte. Potrebbero non piacere ad alcuni, ma si tratta comunque di scelte dettate da gusti personali, che riescono in qualche modo a caratterizzare il lungometraggio. Il reparto audio ha degli ottimi sprazzi di qualità, soprattutto nelle scene d’azione, ma la colonna sonora è veramente molto banale, semplice e scopiazzata da almeno altri quattro o cinque film simili.
Una nota doverosa a sostegno della versione italiana: il doppiaggio dei personaggi principali non è affatto male, ma segnaliamo questo lavoro come sicuramente uno degli ultimi del compianto Roberto Draghetti, che ha prestato la sua voce per Jamie Foxx ed è scomparso pochissime settimane fa. In conclusione, Project Power è un tentativo con un minimo di coraggio di affrontare un genere ancora non così tanto approfondito dai film originali Netflix, con una sceneggiatura in parte molto intrigante, in parte molto banale. Un budget considerevole, ma impiegato forse non al meglio; un cast importante, ma sprecato. Insomma, tutta una serie di buoni propositi che non arrivano ad un risultato convincente, che sarebbe poi ciò che vediamo nella maggior parte delle produzioni cinematografiche degli ultimi tempi.