Prey – Recensione, torna la sfida del predatore

Ecco la recensione di Prey, nuovo film del franchise di Predator che cerca di trasportare le atmosfere degli Yautja nell'America del 1700.

Giona Corucci
Di Giona Corucci Recensioni Lettura da 9 minuti
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Prey

Il franchise di Predator riesce ancora oggi ad affascinare, nel bene e nel male, milioni di appassionati. Il primo film del 1987 ha introdotto nella cultura POP internazionale un universo narrativo unico, grazie alla cultura degli Yautja e del loro desiderio di sfidare altri cacciatori. In questa recensione analizziamo il nuovo episodio della serie, conosciuto come Prey, una pellicola diretta da Dan Trachtenberg e disponibile su Disney+ da oggi, venerdì 5 agosto 2022.

Il coraggio della pedra

In oltre trent’anni di storia del cinema, molti registi hanno cercato di svecchiare il semplice concept della preda umana e cacciatore alieno. In Predator 2, Stephen Hopkins ha unito l’aspetto horror e survival del primo a quello del poliziesco noir, Il Predators di Nimrod Antal torna in strade maggiormente consone ma ambienta le vicende all’interno di un pianeta alieno, mentre il The Predator di Shane Black unisce uno stile palesemente sopra le righe alle disavventure di alcuni militari americani. In questa recensione, abbiamo notato come il Prey di Dan Tranchtenberg decide di andare oltre, e questo non solo per il titolo che abbandona quello tipico del franchise.

La storia racconta di Naru, interpretata da Amber Midthunder, una ragazza Comache che vive all’interno della sua tribù con lo scopo di diventare un’abile cacciatrice. Il suo desiderio è mal considerato dal resto della tribù, tanto da essere continuamente derisa dai maschi ed esclusa dalle femmine. Il suo impegno e dedizione meritano comunque estrema attenzione, e sembra che solo suo fratello riesca a riconoscere i meriti della protagonista: Tabee, interpretato da Dakota Beavers, che sin dall’inizio viene enfatizzato come una vera e propria stella per tutti gli abitanti del posto. In una delle prime sequenze è già evidente il rapporto di allieva e mastro, oltre che parentale, che è presente tra Naru e Tabee.

La sceneggiatura di Patrick Aison prende questo incipit per unire il tutto alle tipiche caratteristiche di un qualsiasi film di Predator: il risultato finale è un film semplice e prevedibile, con dinamiche poco originali intervallate da momenti comici che mal si sposano con il contesto. Tutto sommato l’intrattenimento funziona.

Nei primi trenta minuti viene stabilito molto bene il rapporto che la ragazza ha con il popolo Comache. I personaggi secondari non sono assolutamente approfonditi, ma le intenzioni non sono quelle di creare rapporti estremamente lunghi e complessi. Inoltre Prey presenta delle solide basi per mettere in scena l‘indipendenza e la forza femminile, ma rimanendo in “zona comfort” per essere il più facilmente comprensibile da un pubblico variegato.

Prey

In generale questo è visibile anche all’interno dei dialoghi, mai troppo lunghi oltre dal linguaggio coinciso e semplice. Oltre allo scopo precedentemente descritto, è probabile che l’idea è quella di ricreare ila corretta rappresentazione storica della prima metà del millesettecento. Le vicende raccontate, infatti, sono ambientate nell’America del 1719. In questo modo il regista ha deciso di puntare fortemente sull’ambientazione, in un tour della natura composto da lunghi piani dei paesaggi e riprese suggestive come quella della foresta bruciata. In generale, la fotografia e l’aspetto visivo è una delle parti meglio riuscite dell’intero progetto. Lo spettatore rimane soddisfatto di certi dettagli e sequenze, senza però togliere la giusta attenzione agli attori e l’azione dello schermo.

Una sfida di sopravvivenza

In oltre dieci minuti di film, Midthuner è praticamente da sola a gestire lo schermo, intenta ad esplorare e affrontare i pericoli della natura. In questa specifica parte il silenzio è il vero padrone della scena, dove Trachtenberg riesce a trasmettere una sensazione di costante pericolo. Lo spettatore sa che in qualsiasi momento è possibile che succeda qualcosa, ma non  cosa e quando. Purtroppo questo è l’unico elemento “horror” che realmente funziona nella pellicola, visto che nello spettatore non si trasmette mai quella sensazione di tensione.

La giovane attrice riesce però a far trasparire le emozioni, dando vita in modo più che soddisfacente a un personaggio difficile da rappresentare. La sua interpretazione non è comunque perfetta, a causa di alcune espressioni fuori luogo ed esagerate rispetto al contesto rappresentato. La vera sorpresa attoriale del film è Dakota Beavers, dove nel suo primo ruolo nel settore il giovane musicista riesce a entrare fortemente nella parte, sia a livello fisico che di prestazione emotiva. L’enorme impegno del giovane è lampante, e con le giuste migliorie è in grado di trasformare la sua carriera cinematografica in un interessante futuro. Un altro grande applauso va sicuramente al cane della protagonista, che riesce a catturare lo schermo e la simpatia degli spettatori.

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Estremamente apprezzabile la scelta di attori nativi americani piuttosto che qualche volto famoso di Hollywood, non tanto per il budget, quanto per trasmettere una maggiore credibilità al contesto e all’ambientazione. Un ulteriore elemento estremamente apprezzabile è lo studio delle tradizioni e delle leggende Comache, con anche l’utilizzo, in specifici momenti, del loro linguaggio uzo-azteco.

I personaggi secondari sono fin troppo poco caratterizzati e per niente credibili nella loro esagerazione, cosa che non vale per Dane DiLegro, l’uomo dietro al Predator, che interpreta il ruolo in maniera estremamente convincente. Nonostante il “mutismo” del personaggio, l’ex centista convince appieno nel suo debutto cinematografico.

Il ritorno degli Yautja

Una caratteristica da segnalare è come Prey non sia strettamente legato a nessun altro film della serie Predator. In questo modo chiunque è in grado di goderne senza dover seguire una trama che ricollega oltre trent’anni di film. Questo non significa che gli elementi principali degli Yautja siano completamente eliminati, ma solo che sono ripresentati per il pubblico. Dan Trachtenberg riesce a reintrodurre tutte le caratteristiche della serie, come i trofei o la tipica tecnologia, in maniera naturale e coesa con la struttura del film, e coi neofiti che comprenderanno facilmente cosa ha reso queste creature così iconiche all’interno della cultura pop.

Le armi dell’alieno sono poi rappresentate in maniera ottimale, così come il nuovo design dell’armatura, che si adatta egregiamente al contesto. Un peccato che non abbiano approfittato del periodo storico per evidenziare uno Yautja con una tecnologia maggiormente inferiore, cosa che avrebbe offerto forza e originalità al film. In ogni caso la regia funziona estremamente bene nelle scene di azione, dove fantascienza e natura si uniscono in un ottimo connubio.

PreyIl film in questione segna anche il ritorno di Predator come film vietato ai minori, almeno in Nord America. Questo non deriva da linguaggio scurrile o elementi di nudo, quanto dalla violenza e lo splatter di determinate sequenze. In questa recensione evidenziamo come Prey non sia esagerato nella rappresentazione del sangue, ma avvertiamo i più sensibili che saranno presenti determinate scene.

Nella scarsa qualità degli effetti speciali possiamo purtroppo ritrovare i limiti di budget della produzione, visto che gli animali in CGI mal si sposano con il contesto e le azioni degli attori a schermo.

Prey
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Voto 7
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Io vivo e corro con il vento, ma la mia passione per la cultura pop è rimasta ancorata sin da quando ho ricordo. Ne è passato di dai tempi delle demo nelle merendine, e sono diventato un appassionato di molti settori di questo mondo: dai videogiochi al cinema, fino all'animazione e perfino la letteratura. In questo periodo della mia vita, spero di portare contenuti di qualità all'interno di Game Legends.