Con un po’ di nostalgia, se si tende l’orecchio verso le proprie emozioni, potreste sentire l’eco di Firewatch. Parliamo di un’esperienza targata Campo Santo che nel 2016 riuscì a rivoluzionare il genere dei walking simulator, portando sugli schermi una narrazione per certi versi indimenticabile, e una grafica estremamente ispirata per le sue meravigliose tonalità. Pur non essendo esente da difetti, l’opera risultò stupefacente per molti giocatori, specialmente per via delle sue peculiarità, mai viste sotto un’ottica del genere sul mercato. A quattro anni di distanza, ripensando a quel titolo poco longevo ma intenso, si potrebbe desiderare magari un’altra run, o forse un’opera simile che possa ravvivare le emozioni nel nostro cuore, ormai sostituite dalla nostalgia. Ecco quello che a prima vista Lost Brothers è sembrato, fin dal suo annuncio datato dicembre 2019, con un video trailer in grado di creare molta curiosità.
Il team indipendente, formato da soli 7 membri – speranzosi di riuscire in quest’arduo compito – ha quindi lavorato a questo gioco, ma con un modus operandi discutibile. Gli sviluppatori hanno infatti deciso di non innovare il mercato con un’atipica esperienza, motivo che fece emergere il nome di Firewatch e lo rese apprezzato dall’utenza, ma di copiare passo per passo il lavoro di Campo Santo, come un disegnatore alle prime armi che decide di rappresentare su un foglio adiacente un’immagine spettacolare. Cos’è quindi riuscito a combinare il novizio del settore BitLight Games con il suo Lost Brothers? Scopriamolo nelle prossime righe.
Un fratello scomparso e un mistero da svelare
La vita può spesso riservare delle spiacevoli sorprese con dei momenti di stress intenso, e la voglia di sparire per qualche tempo potrebbe presentarsi, per non vedere più nulla che possa irritare ulteriormente. E che male ci sarebbe in fondo? Con questa frase impressa nella mente due fratelli decidono di fare una piacevole scampagnata in Oregon, e di campeggiare nella selvaggia foresta insieme, scaldati dal fuoco e dalla voglia di esplorare le terre selvagge e misteriose. Nel giro di 4 secondi però, l’invisibile fratello che prende il nome di Sam si volatilizza nel nulla, forse perché già annoiato dalla situazione, forse per un incredibile e tetro mistero. Una volta appurato l’accaduto, il più grande John decide di darsi da fare. A prima vista sembra che abbia paura di uno scherzo da parte del più piccolo, il quale potrebbe essersi nascosto in un cespuglio per vedere la reazione di John davanti alla misteriosa scomparsa.
Per evitare brutte figure quest’ultimo inizia immediatamente le inarrestabili ricerche, seguendo le tracce del fratello ben visibili nonostante il suo spiccato potere dell’invisibilità. Parliamo di un rapporto legato dal sangue, di due ragazzi che avrebbero fatto qualunque cosa l’uno per l’altro, ed è per questo che John passa ben 20 secondi sulle tracce di Sam, sperando probabilmente di non trovarlo, prima di definirlo scomparso per sempre e rinunciarci. Dopo ben 10 anni John acquista giudizio con l’età, e si rende conto di essere stato leggermente approssimativo nelle ricerche di Sam, sicuramente ancora in attesa di essere salvato lì nell’oscura foresta. Per questo motivo l’uomo si reca nuovamente nel misterioso luogo per risolvere il mistero che questo cela al suo interno. Qui scopre che una ragazza è attualmente bloccata all’interno di una caverna e cerca di chiedere aiuto grazie al suo… walkie-talkie? Vi ricorda nulla?
Il patetico clone di Firewatch
Fino a questo momento la somiglianza con Firewatch non è stata particolarmente marcata, in quanto l’orripilante illuminazione di gioco è riuscita a rendere obbrobrioso il comparto grafico durante la notte del sinistro evento, ed è quindi quasi impossibile trovare delle similitudini fra i due titoli. Sarà poco piacevole scoprire che la situazione migliora solo in piccola parte durante il giorno. Questo non perché il team abbia cercato di ideare un nuovo comparto grafico per il proprio gioco, ma piuttosto perché sia riuscita a fallire anche nel copiare quello realizzato da Campo Santo, con degli orrendi modelli appiccicati in malo modo al terreno. Questi sono nel 50% dei casi anche senza texture, quindi facilmente sorpassabili per sfuggire dagli enigmi, o utili per glitcharsi all’interno di qualche anfratto, venendo costretti a riavviare la partita. L’intera esperienza prende a pieno dal genere dei walking simulator, dato che chiede di camminare per l’intera durata, a passo di lumaca. Le animazioni che accompagnano le (non) piacevoli passeggiare risultando ridicole per il personaggio, e inquietanti per l’ambiente, in quanto ogni singolo poligono si muove allo stesso ritmo, creando un non voluto effetto raccapricciante. Con il perenne walkie-talkie in mano potremo risolvere gli enigmi della foresta per poco più di un’ora, per fortuna, solamente 60 minuti. Questi bastano e avanzano per rendere il comparto narrativo appena interessante nelle fasi d’apertura addirittura diluito e dimenticabile nel giro di una notte.
La peculiare atmosfera di Firewatch venne garantita da un continuo doppiaggio dei dialoghi, da una colonna sonora precisa e onnipresente quando necessaria, tutte feature fuori budget per BitLight Games. I dialoghi sono infatti solamente scritti, oltre che profondi quanto una pozzanghera, e sarà addirittura impegnativo capire se il personaggio stia attualmente comunicando o meno. Tanto per cambiare, il gioco è localizzato solamente in russo e inglese, non un grosso problema visto che l’attenzione resta focalizzata sul pessimo scenario e sull’evitare l’incombente glitch invalidante. A chiudere l’orrido menù troviamo un comparto tecnico a dir poco disastroso. Il protagonista è in continuo e leggero movimento, anche se i comandi in input non vengono forniti, il che crea un forte senso di spossatezza. I fotogrammi sono bloccati a 60, non un problema particolare per un gioco del genere, in teoria, ma in pratica ci si troverà davanti a un continuo orrore grafico per via di un improprio motion blur impresso nei movimenti della telecamera, che crea sickness quanto i peggiori giochi per realtà virtuale.
Non capire i propri limiti
Scherzi a parte, il vero dilemma che a malincuore emerge giocando a Lost Brothers è purtroppo riassumibile in poche parole: dell’esperienza non è possibile salvare praticamente nulla, e il team ha purtroppo svolto un lavoro inaccettabile. Parliamo di piccole realtà, che sicuramente hanno investito le loro opportunità e speranze nel progetto, e che non vedranno quest’ultimo fiorire, visto il suo irreparabile stato attuale. Un vero peccato, ma la vera domanda è: com’è potuto succedere? In parte è chiaro si tratti di poca maestria e budget, in quanto basta provare la versione finale del gioco per rendersi conto di quanto quello descritto precedentemente sia lampante, assieme a molti altri difetti. Sembra quasi che in fase di sviluppo la software house si sia arresa, abbia perso il mordente e tolto il piede dall’acceleratore, non riuscendo a confezionare quanto sperato.
Tuttavia, è chiaro che BitLight Games si sia purtroppo sopravvalutato, non riuscendo a capire dove potesse arrivare con il proprio portafoglio e le proprie competenze, avviando e finalizzando un progetto irrealizzabile, e purtroppo già defunto prima di venire alla luce. Nel mercato indipendente altri sviluppatori sono riusciti a confezionare ottimi titoli con molto meno personale, semplicemente andando incontro alle proprie mancanze e ponendo un occhio di riguarda alla distanza fra sé stessi e l’irraggiungibile orizzonte. Un gioco come Lost Brothers è un progetto molto ambizioso, che sarebbe magari potuto essere un lavoro successivo del team indipendente, e avrebbe forse avuto la possibilità di dire la sua. Basti pensare al semplice fatto che il lavoro finale risulta demenziale pur presentandosi come serio, e con un’impostazione diversa Lost Brothers avrebbe garantito qualche risata al giocatore… per i giusti motivi.