Living with Yourself – Recensione della prima stagione della serie Netflix con Paul Rudd

Paul Rudd (entrambi) riesce a trascinare l'ottima prima stagione di Living with Yourself. Ecco la nostra recensione!

Simone Lelli
Di Simone Lelli - Editor in Chief Recensioni Lettura da 6 minuti
8
Living with Yourself

La commedia può farsi tramite di importanti significati: tante serie tv degli anni passati hanno proprio costruito la loro base su questo, partendo da Friends e Scrubs e avanzando fino ai giorni d’oggi. Se però la commedia può davvero dare un ampio margine di manovra, la dark comedy ha certamente più mezzi per poter raccontare storie, soprattutto se queste hanno dei risvolti tragicomici. Living with Yourself parte quindi da un incipit tanto assurdo quanto concreto, e porta alla scoperta di 8 episodi insieme a Paul Rudd (o, per meglio dire, ad entrambi i Paul Rudd) in quella che è una parabola discendente sempre più contorta, folle e divertente.

Cosa fareste voi?

Miles Elliott è un uomo comune: tediato da una vita non disastrosa ma comunque carica di problemi, inizia ad avere un crollo emotivo sempre più importante, iniziando a perdere colpi a casa, a lavoro e con la moglie Kate. Un suo collega gli suggerisce una SPA capace di “rimetterti al mondo“: il trattamento in realtà si rivelerà un processo di clonazione, dove il clone però verrà migliorato in ogni singolo specifico dettaglio, rendendolo migliore e allo stesso tempo conscio di ogni singolo dettaglio della vita dell’originale. Per un problema logistico però, il vecchio e il nuovo Miles si troveranno a dover condividere una vita tra alti e bassi, facendo partire una serie di eventi tragicomici, con delle tinte davvero dark.

La base di tutto è nulla di originale: la clonazione è un tema davvero molto utilizzato, e quindi non ci troviamo davanti a tanta innovazione. Il modo però in cui vengono raccontate le vicende, il dipanarsi della trama e l’interpretazione del protagonista sono gli ingredienti vincenti di questa formula che, in 8 puntate di circa 30 minuti, stendono un continuo crescendo di deliranti situazioni. Subito si capisce come l’obiettivo con Miles Elliott sia quello di far empatizzare, rendendolo al 100% più vicino alla vita di tutti i giorni possibile: alla fine le problematiche che portano il protagonista ad andare in quella SPA sono proprio comuni, niente di catastrofico o devastante, ma nemmeno così piacevole. Proprio per questo la sensazione di tifare per il Miles originale sarà decisamente più forte di quella di supportare il Miles migliore: questo però non rimuove il contatto con quest’ultimo, in quanto proprio la stessa serie di eventi generata dalla clonazione porterà entrambi a combattere con le loro paure, praticamente identiche in quanto sono la stessa persona.

Il significato che porta avanti tra clonazione e carattere umano è davvero ben strutturato, lasciandoci addirittura con delle morali davvero poco scontate: alla fine tutti abbiamo dei difetti, e Living with Yourself ce lo ricorda nel migliore dei modi.

Living with Yourself

La giusta tecnica

Le 8 puntate di Living with Yourself si strutturano in modo alquanto particolare: tolto un episodio dedicato al punto di vista di Kate, le altre puntate sfrutteranno un sistema di narrazione particolare. Saltando dal punto di vista di Miles originale a quello di Miles clonato, i primi 5 minuti di ogni puntata daranno sempre la prospettiva dell’altro personaggio, ricollegandosi poi al cliffhanger di fine puntata e proseguendo la narrazione, come se tra le varie puntate ci fosse un continuo passarsi la palla prima del gran finale. È proprio così che lo sceneggiatore Timothy Greenberg e i registi Jonathan Dayton e Valerie Faris riescono a confezionare una commedia fuori dagli schemi, divertente e mai scontata (in quanto proseguendo alcune puntate aggiungeranno informazioni utili proprio cambiando il punto di vista dello spettatore). Questo inoltre fa sì che chi si trova davanti al TV a vedere la serie riuscirà ad avere il quadro generale della situazione, rendendo davvero difficile per chi parteggiare tra i vari personaggi.

Tutta la serie, nonostante le forti componenti di scrittura e regia, si regge però principalmente su Paul Rudd: l’attore di Ant-Man riesce infatti a portare a schermo non uno, ma due Miles eccezionali. Differenti persino nel look (in quanto i due saranno diversi oltre che nei comportamenti anche nel modo di vestire, passando da quello più trasandato dell’originale a quello preciso del clone), il loro rapporto sarà la principale forma d’intrattenimento, mostrando come una serie di eventi possa portare a delle conseguenze sempre più folli. Questa prima stagione è un’eccellente prova di come la semplicità di una trama (nemmeno troppo originale) riesca a diventare intrigante quanto basta per tenere incollati gli spettatori durante l’avvicendarsi della storia. Molto probabilmente una seconda stagione riuscirà a proporre nuove cose, tra cui dei comprimari che brillano decisamente poco in queste 8 puntate.

Living with Yourself
8
Voto 8
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Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.