Quando si parla di Guy Ritchie si parla di un regista che nel corso della sua carriera ha sperimentato molto per quanto concerne il genere dei propri film. Soltanto negli ultimi anni lo abbiamo visto sfornare pellicole diversissime, basti pensare a The Gentlemen (film in cui è palesemente tornato alle sue origini autoriali sfruttando dinamiche e personaggi presi direttamente dalla strada) e al live action di Aladdin per la Disney. Un autore piuttosto poliedrico insomma, pronto a mettersi nuovamente in gioco con un prodotto sia vicino al suo precedente operato, sia distante per quanto concerne la visione d’insieme. Con La Furia di un Uomo (in originale Wrath of Man), film che andremo ad analizzare in questa recensione, ci troviamo davanti a un’opera che segna un passo in avanti per Ritchie, pur con una certa coerenza col passato. La pellicola è una sorta di remake dell’originale francese del 2004, dal titolo “Le Convoyeur“.
Bestie, siete solo bestie
La trama del film, attualmente disponibile su Amazon Prime Video, è estremamente classica per il genere in cui si origina. Un uomo (non vi diciamo troppo per evitarvi spoiler) cerca vendetta per la morte del figlio ucciso durante una rapina a un furgone portavalori. Ovviamente trattandosi di questo regista non si tratta di un uomo comune. Il suo obiettivo sarà quindi di trovare coloro che hanno causato questa morte innocente senza star troppo a pensare al valore della vita umana. Al centro di tutto troviamo Jason Statham nel ruolo di Patrick Hill, un essere umano oscuro e tenebroso, silenzioso e dall’identità fumosa. La caratterizzazione di questo protagonista sarà il collante principale a muovere gli eventi e a unire i due mondi che disegnano questa pellicola: quello della criminalità e quello delle forze dell’ordine (qui rappresentate dalle guardie giurate nei suddetti furgoni). Patrick esordisce con il suo stesso colloquio di lavoro per l’azienda, la Fortico, che è stata rapinata poco prima da ignoti. Passa attraverso le varie prove e viene assunto. Da questo momento in poi si accendono gli eventi che portano avanti il film.
Curiosamente il suo ingresso in azienda sarà alternato da alcuni momenti che, ad intervalli regolari, andranno a toccare la trama generando un continuo zigzag narrativo atto a mescolare le carte in tavola fin da subito. Anche l’FBI infatti parrebbe interessata sia a Patrick, sia a quanto avvenuto coi furgoni. Da ciò ne fuoriesce il vero e proprio cuore pulsante della pellicola: l’intreccio narrativo. Trattandosi di un lavoro di Guy Ritchie e conoscendo il suo modus operandi da regista, non sorprende che La Furia di un Uomo, come accadde quando affrontammo The Gentlemen in fase di recensione, giochi il suo intero potenziale in questo modo. Ecco che la storia più classica di questo mondo diventa un vero e proprio intreccio alimentato anche da regia e montaggio, in cui tutto quello che si dava per scontato all’inizio non lo è.
All’interno del suo nuovo lavoro Patrick avrà inoltre la possibilità di conoscere gli altri autisti, come il suo superiore Bullet (Holt McCallany) ad esempio. Un personaggio, quest’ultimo, parecchio sfaccettato all’interno della storia. Il fatto di muoversi “dall’interno” trasforma ulteriormente il punto di vista in un insieme di prospettive che mira a confondere, ampliando il discorso delle identità soggettive dei singoli personaggi in gioco. Il ruolo del “demonio silenzioso” poi non è affatto nuovo per Statham, qui però sfruttato dal regista non soltanto per raccontare una storia, ma come vero e proprio veicolo muto all’interno di un contesto, di un vero e proprio “mondo” abitato dai mostri più reietti della nostra società.
Fegato, polmoni, milza e cuore
É proprio in questo che La Furia di un Uomo si distacca dai film precedenti di Ritchie, dato che offre due cose importanti allo spettatore: azione pura e fredda, e come leggerete più avanti nella recensione, un biglietto per l’inferno delle nostre strade. Noi non sappiamo nulla di Patrick, non sappiamo chi sia né quale siano le vicende che lo hanno condotto al punto in cui lo conosciamo noi. Una cosa è certa però, mano a mano che le maschere cadono tutto diventa sempre più sporco, più lurido, offrendo uno spaccato dei punti in ombra che le strade celano fra cemento e mattoni. Un film che ricorda il passato, come abbiamo anche sottolineato in precedenza, ma che al tempo stesso affronta il presente in maniera estremamente seria e matura. Lo stile classico di questo regista viene quindi rielaborato in una visuale che spoglia la realtà dagli orpelli del caso, trascinandoci in alcuni vicoli bui difficili da dimenticare. Il lerciume sotto ai tappeti non viene assorbito soltanto dagli occhi apparentemente insensibili di questo protagonista, ma anche dagli occhi di chi guarda lo schermo, e quindi il film.
A valorizzare tutto quanto la regia di ogni scena. Ci sono due momenti molto alti nel film: l’inizio con l’inquadratura fissa nel furgone durante la rapina, e un bellissimo piano sequenza in cui il soggetto non è soltanto quanto accade a schermo, ma quanto tutto ciò potrebbe essere credibile nel mondo reale. La freddezza inaudita di questo protagonista ci consente di muoverci indisturbati in un contesto in cui nessuno è quello che sembra, in cui la morale risulta estremamente malleabile all’occorrenza e in cui la vita umana inizia e finisce con un singolo errore. Il magnetismo di uno sguardo che abbraccia ogni sviluppo, uccide a sangue freddo, nasconde qualcosa e spoglia alcuni aspetti dell’umano vivere da non dare troppo per scontati.