Ci sono voluti anni prima che un biopic sulla intramontabile stella del cinema Judy Garland vedesse la luce. D’altro canto, la scelta d’interpretare un’attrice tanto riconosciuta, tragica e apprezzata è sì un onore quanto una gravosa responsabilità, qui interpretata niente poco di meno da un’attrice che sembrava (salvo sporadici e dimenticabili ruoli) essere in procinto di sparire definitivamente dalla mappa, Renée Zellweger. La somiglianza (raggiunta ovviamente attraverso tecniche di trucco sempre più impressionanti) dell’attrice australiana con la tragica diva aveva sin da subito suscitato interesse per la pellicola, mitigato solo dal suo disegno di film per le award-season. E Judy si dimostra un film biografico che sia smentisce lo scetticismo dei pochi sia sorprende le aspettative dei molti.
Tragedia hollywoodiana
Il regista inglese Rupert Goold, stella del teatro londinese al suo secondo film dopo True Story del 2015, copre l’ultimo tragico anno di vita della Garland, il 1969 e la sua permanenza a Londra per una serie di concerti – inaspettatamente, gli ultimi della sua carriera – al Talk of The Town. Qui attraverso fan e amici rimpiangerà il suo passato e troverà un nuovo e ultimo amore nel giovane musicista Mickey Deans (Finn Wittrock). Zellweger offre la sua migliore interpretazione dalla sua incantevole e perfida Roxxy di Chicago (2002) e ci rammenta la sua qualità di attrice multi-tasking, con solide capacità canore e di danza. In tutto questo, l’attrice protagonista non tralascia un solo aspetto dell’amatissima diva nel pieno del suo (inaspettato) canto del cigno. Certo, a vedere finalmente sul grande schermo la somiglianza con la Garland non è impressionante come poteva apparire nei primi trailer del film, ma forse questo è un bene dal momento che Zellweger riesce a raggiungere picchi d’autenticità emotiva attraverso empatia più che imitazione.
La regia di Goolde è un po’anonima ma corretta per questo film one-woman show, distante dai soliti ridondanti cliché e che ricostruisce, tramite la solida sceneggiatura di Tom Edge, la storia di una diva che non voleva esserlo e che è diventata, in breve tempo, la bambola di pezza per l’avidità degli studios hollywoodiani. Un biopic al femminile post-MeToo, Judy introduce la sua eroina al tramonto della sua carriera: troppo vecchia e fragile per la sua età (appena 46enne), sul lastrico, dipendente da farmaci e droghe e con quattro matrimoni falliti alle spalle, la Garland si barcamena in un mondo che sembra non volerla più pur avendole tolto tutto, paziente zero della maledizione che pare inseguire tutt’ora gli attori bambini. Ma non è solo denuncia al sistema e tristezza questo film, ma anche i colori deflagrati e le musiche magiche dello show-biz e la ricordata magnificenza di un’attrice che avrebbe meritato molto di più dal suo mestiere e dal suo pubblico. Da noi tutti.