Era davvero necessario creare questo film? No, non era davvero necessario, ma lo è scrivere questa recensione di Home sweet home alone, il reboot cinematografico del grande classico Mamma ho perso l’aereo. Così, dopo trentuno anni da quel bellissimo classico di Chris Columbus che ha lanciato nel mondo cinematografico Macaulay Culkin, diventato nell’immaginario comune il bambino perfetto, che difende con l’astuzia e genialità la casa di famiglia, si è deciso di ripetere la “magia” con un’altra opera. Ecco, il problema forse è stata proprio la magia che il tempo ha fatto mancare. Il classico del 1990 è ormai il film natalizio per eccellenza. Chi lo guarda, a parte qualche risata e il piacere di vedere per l’ennesima volta il “KEEEEVIIIINNNNN” urlato dalla mamma quando si è accorta di aver smarrito il proprio figlio, lo fa principalmente proprio per ripetere quella magia. Il clima di Natale, la neve, le meravigliose musiche di John Williams, Joe Pesci e Daniel Stern che speravi non bussassero alla tua porta. Mamma ho perso l’aereo è diventato un tutt’uno con il Natale e nel tempo si è fuso a tutte le storie degli appassionati, diventando parte dei loro aneddoti natalizi.
Quando invece guardiamo Home sweet home alone, tutto questo viene a mancare e va assolutamente detto in questa recensione che ne soffriamo fin dal primo minuto. Il vecchio Mamma ho perso l’aereo, in realtà, non è invecchiato davvero. È ancora un film più che godibile e divertente, il buon Macaulay è ancora spassoso, i ladri sono ancora odiosi ma simpatici e via dicendo. Il nuovo film, invece, è semplicemente uno dei tanti film americani di commedia sempliciotta, come ne esistono a decine, forse centinaia ogni giorno. Quindi, che senso ha proporre il reboot di un pezzo di storia se l’atmosfera di quel pezzo di storia non viene neanche lontanamente imitata (a parte qualche citazione musicale) e la sceneggiatura basata su un soggetto più che conosciuto, non riesce a portare nulla di nuovo? Ecco, in effetti un piccolo senso c’è. Home sweet home alone non è un vero e proprio reboot, ma più un sequel, anche se gli stessi produttori non lo “ammettono”. Ciò che salva il film è principalmente l’essere ambientato nello stesso universo del film originale ed avere un personaggio in comune, un personaggio chiave. Ma partiamo dall’inizio.
Home sweet home alone è un altro film
Pam e Jeff McKenzie sono una normalissima coppia con figli che abita in un’altrettanto normale, ma gigante e bellissima villa americana. La coppia ha problemi finanziari e decide di vendere la villa e trasferirsi in una casa più piccola per andare avanti. Iniziano le visite dei potenziali acquirenti, ma mentre Pam è ben intenzionata a trovarne, Jeff oppone resistenza e, piuttosto, li fa scappare. Jeff farebbe di tutto pur di non vendere la villa e, fortunatamente, scopre di possedere una bambola difettosa, ereditata durante l’infanzia, che sul mercato vale la bellezza di duecentomila dollari. Peccato che sembra che questa bambola gli sia stata sottratta da Max, un bambino di dieci anni che vive in una villa vicina. Quindi, perché non andare a recuperare la bambola per avere un’occasione per non vendere casa senza semplicemente chiedere a Max di restituirla? Max che, casualmente, viene dimenticato a casa dai genitori che vanno in vacanza a Tokyo ed è quindi da solo! Un malinteso fa si che lo stesso bambino venga a sapere del piano dei ladri improvvisati e così ecco che si ripete la trama di Mamma ho perso l’aereo, con Max che prepara ed esegue il suo piano diabolico per difendere la casa di famiglia (distruggendola, ovviamente).
Fortunatamente le scene dell’intrusione dei ladri occupano una parte non troppo prepotente del film, che invece ruota intorno ai personaggi protagonisti. Quindi, è giunto il momento di dire, in questa recensione, cosa non rende Home sweet home alone un film terribile, ma solo un fimetto: Buzz McCallister. Ebbene sì: il poliziotto a cui Max si rivolge quando scopre di essere stato preso di mira dalla coppia di ladri improvvisati è nientemeno che Buzz McCallister, il fratello di Kevin, che non crede al bambino proprio perché ha già vissuto la stessa identica storia in prima persona, trent’anni prima. La sorpresa massima è che Buzz viene interpretato proprio da Devin Ratray, ossia l’attore originale! Quindi, la conferma aperta, detta da uno stesso personaggio, che ci troviamo nello stesso universo e non si è deciso di “annullare” la trama originale per ripeterla in una nuova occasione in un altro tempo, ma semplicemente di raccontare un’altra storia, che per pura coincidenza è simile ad una già avvenuta. Insomma, in qualche modo il film ammette a sé stesso di essere una ripetizione, senza pretendere di innovare o di essere una nuova pietra miliare. D’altronde, una stessa scena all’inizio del film, evitabile a dirla tutta, fa sì che un personaggio pronunci una delle leggi del cinema: “Non capisco perché facciano i remake dei classici. Tanto non saranno mai belli quanto gli originali”. Ecco, ammetterlo è già metà del lavoro.
Finalmente ladri umani
C’è un’altra cosa però che salva e rende Home sweet home alone diverso dall’originale: è impossibile non tifare per i ladri, che qui non sono semplici macchiette come gli originali, ma veri e propri personaggi anche abbastanza caratterizzati. Non sono impersonali, conosciamo i loro sentimenti; sappiamo che nelle loro azioni sono spinti dalla nostalgia dei bei momenti passati nella loro casa, dai ricordi e dalla voglia che altri bei momenti possano avvenire. Sono sentimenti in cui tanti di noi possono riconoscersi e non sono trascurabili. Quando li vediamo nelle loro disavventure, non può non dispiacerci e tutti, in qualche modo, arriviamo a sperare nell’unico finale possibile, che infatti avviene. In ogni caso, non c’era davvero necessità di questo film, lo abbiamo capito, ma non ne è uscito qualcosa di stupido e insensato. L’operazione è stata intelligente, non sbancherà al botteghino, non diventerà un nuovo classico, ma sicuramente avrà un senso di esistere.