Ogni volta che si discute di riproporre una qualsiasi opera multimediale a una nuova generazione, non è mai facile trovare il giusto approccio che possa cercare di accontentare sia gli affezionati che il possibile nuovo pubblico. In particolare, nel mercato videoludico varie aziende decidono di puntare alle opportunità offerte dalle remastered, che possono permettersi delle aggiunte “quality of life” in modo da arginare determinate problemi e facilitare l’approccio a un prodotto del passato, o i diversi remake che ricostruiscano l’opera originale sotto una nuova luce grazie alle tecnologiche del momento. Una categoria che, curiosamente, può sembrare la più pigra ma allo steso tempo la più coraggiosa è quella del semplice porting, in cui si prende il codice sorgente originale e lo si riporta in un nuova piattaforma senza cambiamenti grafici o nuove meccaniche ludiche di sorta. Proprio di quest’ultima categoria descritta fa parte il gioco di cui ci parleremo nella recensione di oggi, ovvero quell’El Shaddai: Ascension of the Metatron che seppe far discutere gli appassionati ben dieci anni fa.
Il coraggio di un autore
Prima di parlare dettagliatamente di questa opera videoludica, bisogna fare un quadro storico generale del progetto e del suo director Sawaki Takeyasu. Siamo a metà degli anni 2000 e questo artista ha già dimostrato il suo stile e talento attraverso il ruolo di character designer nel primo Devil May Cry, Steel Battalion e perfino con il celebre Okami. Dopo la decisione di lasciare Capcom e prendere un ruolo importante nell’appena nata Ignition Tokyo, un studio di sviluppo fondato nel 2007, ha lavorato per anni all’opera che stiamo analizzando quest’oggi. Insomma, già con questa breve e superficiale analisi del contesto è possibile capire come El Shaddai: Ascension of the Metatron si dimostri un prodotto creato con ispirazione e passione, un progetto non ad alto budget ma che dopo ben quattro anni di lavoro si è concretizzato in un’opera che cerca di esprimere la visione artistica di Takeyasu non solo attraverso i personaggi e il mondo di gioco, ma anche tramite il suo stesso gameplay. Probabilmente è per questo che i ragazzi di Crim company ltd, autori e publisher di questo porting per Steam, hanno deciso di lasciare intatta la visione originale dell’autore. Questa scelta ha in parte limitato l’interesse dietro questa operazione, ma permette finalmente a una nuova utenza di vivere un’esperienza artistica unica nel suo genere.
In questa recensione, abbiamo nuovamente visto come il setting narrativo di El Shaddai: Ascension of the Metatron è fortemente ispirato a un testo apocrifo della religione cristiana, ovvero il libro di Enoch. Il protagonista si chiama proprio come l’antenato di Noè, ovvero Enoch, ed è uno scriba immortale a cui Dio affida un pericoloso compito, riportare nel regno dei cieli sette angeli caduti. Il tutto non è stato ovviamente fatto per pura casualità, visto che la riuscita della missione serve per impedire che una pericolosa alluvione distrugga l’intera umanità. La sceneggiatura proposta cerca quindi di esplorare importanti temi come la religione, il dono del libero arbitrio, la giustizia, la devozione e molto altro ancora, il tutto in un viaggio che si riesce a completare in circa quattro o sei ore di gioco. Esattamente come dieci anni fa, purtroppo questo elemento si dimostra fin troppo poco chiaro e superficiale, lasciando in diversi momenti il giocatore senza una reale visione dell’insieme; il che è un peccato, perché quello che vorrebbe effettivamente mettere in mostra sono tematiche forti che potrebbero raggiungere il cuore di moltissimi utenti ma, purtroppo, giunti ai titoli di coda ci si rende conto di come la produzione non sia riuscita a esprimere completamente il suo potenziale. La stessa cosa non possiamo invece dirla per i personaggi, che seppur caratterizzati in maniera estremamente semplice riescono a rimanere ben impressi nella mente del giocatore attraverso sia il character designer che le proprie fasi ad effetto. Enoch si dimostra poi un protagonista che non parla ma pieno di emozioni, così come il suo compagno Lucifer che rimane misterioso e interessante dall’inizio alla fine.
Una presentazione scenica invidiabile
In questa recensione abbiamo constato che l’elemento puramente stilistico di El Shaddai: Ascension of the Metatron rimane ancora oggi invidiabile. In ogni suo momento il titolo tenta di sorprendere il giocatore, offrendo ambientazioni e situazioni capaci di differenziarsi in ogni modo possibile e immaginabile. Preferiamo non rilevarvi troppo per lasciare intatta quella sensazione di sorpresa voluta dal team di sviluppo, ma possiamo dirvi che anche solo questo riesce a tenere alta la curiosità dall’inizio fino ai titoli di coda. Grazie anche alla tecnica del cell shading, le ambientazioni riescono ancora oggi a fare la loro bella figura, a differenza dei modelli dei personaggi che mostrano maggiormente i propri anni sulle spalle. Purtroppo non è tutto oro quel che luccica, e nonostante si noti come l’impronta artistica sia stata messa in primo piano, è proprio quest’ultima che certe volte ostacola la vita all’utente. In alcune aree non è immediatamente comprensibile alla vista dove e come poter raggiungere certi luoghi, che vanno mascolandosi con l’ambiente circostante, il tutto aggravato da una telecamera che offre belle inquadrature ma poco funzionali in determinati frangenti. A parte le suddette problematiche, il fatto che questa riedizione lasci intatta la visione originale del prodotto dimostra come ancora oggi possa offrire molto all’intera industria videoludica.
Un videogioco non è comunque fatto solo dall’essenza artistica, e deve presentare un qualche genere d’interattività che lo renda parte di questo media multimediale. In questo caso, la prima e unica opera di Ignition Tokyo è un gioco d’azione con elementi platform dove il giocatore dovrà esplorare i percorsi di ognuno degli undici capitoli presenti nel pacchetto combattendo nel mentre ondate. Purtroppo, esattamente come dieci anni fa, anche in questa recensione dobbiamo confermare che El Shaddai: Ascension of the Metatron non si è mostrato perfetto e presenta diversi problemi strutturali. Per cominciare, il combat system è poco approfondito e semplicistico seppur con delle buone idee di base. Enoch è in grado di utilizzare tre generi di armamentari che presentano la classica differenza dell’attacco leggero, quello pesante e la possibilità di colpire a distanza. Questo porta a situazioni in cui bisogna ben comprendere quale sia la migliore da utilizzare in base al nemico che ci si ritrova di fronte. Purtroppo, il tutto funziona a metà a causa di un forte sbilanciamento dell’armamentario che porta a utilizzare quasi sempre quello a forma di scudo.
Allo stesso tempo, non è possibile effettuare combo o altre azioni che possano differenziare adeguatamente i combattimenti comuni, con una ripetitività di fondo che andrà facendosi sentire molto in fretta. Sono invece simpatiche le trovate legate al dover purificare le proprie armi dopo un certo utilizzo, così come quella di rubarle agli avversari invece che selezionarle normalmente da un qualsiasi inventario. Queste offrono quel minimo di strategia in più in un prodotto che alla fine richiede quasi esclusivamente di premere il tasto d’attacco per poter vincere la partita. Purtroppo, l’ultima caratteristica descritta porta a una varietà dei nemici comuni veramente ridotta al minimo, differenziati per design ma non per effettivo pattern di attacchi. Infine, non possiamo dimenticarci della meccanica del risveglio, inserita per motivi narrativi. Infatti, una volta che verremo sconfitti il giocatore ha la possibilità di riprendere le forze premendo il più velocemente possibile determinati pulsanti della tastiera o del controller. Ovviamente non è possibile abusare troppo di questa caratteristica, e ogni volta che subiamo colpi letali diventa sempre più difficile risvegliarsi. Questa idea funziona nell’economia di gioco, dando così una funzione all’immortalità di Enoch, ma il tutto facilità ulteriormente un’esperienza che di per se è fin troppo semplice di suo. Esistono comunque vari livelli di difficoltà da poter selezionare, seppur per alcuni sia necessario aspettare di aver completato almeno una volta la propria avventura.
Saltando tra un Nephilim e un altro
Interessante notare perfino la mancanza di un qualsiasi HUD nel viaggio di Enoch. Non è quindi possibile vedere la vita dei nemici, quella del protagonista o tutte le altre caratteristiche che vengono segnate come nella maggior parte dei prodotti sul mercato. Una scelta sicuramente coraggiosa e che funziona perfettamente grazie anche alla distruttibilità visiva dei diversi personaggi su schermo, che immediatamente il giocatore riesce ad associare a una specie di barra della vita. Segnaliamo comunque che, una volta raggiunti i titoli di coda, diversi di questi elementi omessi vengono inseriti in-game, così da offrire un’esperienza leggermente diversa al suo interno. Parlando invece delle sezioni più spiccatamente platformiche della produzione, in-game dovremo seguire percorsi quasi sempre lineare, in cui il giocatore deve saltare tra una piattaforma e l’altra facendo attenzione a trovare collezionabili o segreti di qualsiasi tipo. Il tutto si rivela estremamente semplice e approssimativo – come il resto della produzione -, lasciando comunque quella piccola soddisfazione una volta raggiunta la fine della sezione. I game designer sono riusciti comunque ad esprimere molto bene la visione artistica di Takeyasu, implementando nel gameplay ambientazioni e situazioni visivamente incredibili.
Un altra storia sono invece i collezionabili, che sanno essere ben nascosti soprattutto nelle parti opzionali ambientate nell’oscurità. A giovarne è sicuramente la rigiocabilità per gli amanti del completismo, i quali dovranno faticare parecchio per trovare ogni segreto. Proprio questo elemento non è da sottovalutare, visto che una volta raggiunti i titoli di coda, El Shaddai: Ascension of the Metatron offre diversi incentivi per iniziare una seconda run. Preferiamo non spoilerare ulteriormente il tutto, ma se siete amanti del completismo al 100%, la produzione saprà indubbiamente offrirvi diverse ore in più di divertimento. Infine, una menzione d’onore va comunque alle battaglie con i boss, che si dimostrano la parte meglio riuscita di tutta la produzione. Nel corso dell’avventura il giocatore ne incontrerà diversi, con scontri sempre capaci di tenere alta l’adrenalina in corpo.
Dieci anni dopo
Fino ad ora abbiamo parlato dell’opera in sé, ma come si presenta questa nuova versione prodotta da Crim? Come abbiamo già spiegato precedentemente, invece di un qualche genere di remake o remastered ci troviamo innanzi a un vero e proprio porting della versione originalmente pubblicata nel 2011. Il gameplay già imperfetto di allora si dimostra così ulteriormente invecchiato, soprattutto se si considera come il genere di riferimento sia andato evolvendosi in questi lunghi anni. Lo stesso però non possiamo dire per quanto riguarda la stupenda colonna sonora e l’efficace visione artistica dell’opera, con quest’ultimo elemento che, seppur sofferente per le pieghe del tempo, riesce ancora oggi a sorprendere l’utente. Inoltre, il dettaglio tecnico tutt’altro che esaltante permette di godere dell’esperienza ludica anche su computer di fascia bassa, così da poter divenire un prodotto che si adatta a un pubblico estremamente vasto. Confermiamo inoltre il supporto sia alla tastiera che al controller, seppur consigliamo quest’ultimo per vivere l’esperienza per come è stata pensata in origine. Infine, segnaliamo la presenza di un doppiaggio in lingua inglese e giapponese con traduzione scritta in diverse lingue, compreso l’italiano.