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“Destiny 2 è morto?” – Critica alle scelte di Bungie e una speranza per il futuro

La domanda è una e semplice: che fine ha fatto Destiny 2? No, seriamente, fermiamoci a pensare un attimo: il secondo titolo della saga di Bungie è letteralmente scomparso dai radar degli appassionati; nessuno più ne parla, nessuno più cerca questo o quel giocatore per raid e compagnia, nessuno più si informa circa i nuovi pezzi di equipaggiamento portati Xur. Nulla. Il vuoto cosmico di totale indifferenza ha divorato l’interesse per un titolo che ha saputo regalare gioie e dolori, e ciò è palpabile: l’utenza, o meglio “l’ex-utenza”, non si cura minimamente degli aggiornamenti volti a migliorare il titolo, né tanto meno della schedule che Bungie ha dichiarato di seguire scrupolosamente per dare sempre nuova linfa al gioco. In realtà, Destiny 2 non merita un oblio così profondo e buio. Chi vi scrive, infatti, è fermamente convinto che questo brand sia uno dei più importanti dell’attuale generazione e non meramente per la questione marketing (il primo capitolo è il videogioco più costoso della storia), ma anche per quanto riguarda il game design alla base. Destiny è riuscito ad amalgamare due generi dal forte impatto come gli FPS e gli MMORPG, unendoli in un’unica forma che abbiamo visto venir limata e migliorata espansione dopo espansione, fino a I Signori del Ferro, ultimo grosso aggiornamento nel quale ha raggiunto un equilibrio interessante, un pochino traballante, ma che con i giusti supporti si è senza dubbio assestato.

Il potenziale della macchina di Bungie era (ed è) immenso. Sulla carta il titolo ha tutto quello che può tenere un giocatore incollato al televisore: una storia che può suscitare grande interesse; una lore vastissima, parecchio interessante e che tocca ogni aspetto che riguarda il mondo di gioco, personaggi memorabili e caratterizzati, un gameplay solido e contenuti che con il giusto tempo avrebbero giovato alla crescita in termini ludici e di franchise. Quando è stato annunciato Destiny 2, per quanto le reazioni siano state differenti da persona a persona, tutti erano concordi nel pensare che la formula di base sarebbe stata potenziata: tutto quello che Destiny 1 ha avuto da offrire sarebbe tornato ancora più forte e interessante di prima, con i vari aggiornamenti che tutta la community da tempo chiedeva a gran voce, con una varietà che avrebbe finalmente tenuti impegnati i giocatori. Eppure, sappiamo tutti cos’è successo: nel giro di un mese dall’uscita del secondo capitolo, l’utenza è scesa ai minimi storici. Numeri negativamente impressionanti sono stati registrati e il rischio flop dietro l’angolo si andava concretizzando sempre di più. Neanche il primo DLC, dedicato a uno dei personaggi più importanti di tutta la saga, è riuscito a risollevare il titolo, regalando solo una piccola gioia iniziale sfociata nel giro di un mese (neanche a dirlo) in noia. Da lì in poi il nulla.

 

Negli ultimi giorni Destiny 2 è tornato a far parlare di sé. Il secondo DLC, infatti, è alle porte e sarà accompagnato anche da una serie di aggiornamenti, ma questo all’utenza non interessa quasi per nulla e c’è tutta l’aria che anche questa volta gli sforzi di Bungie faranno un buco nell’acqua. Da ciò nasce l’ultimo articolo di Polygon dedicato a Destiny 2, nel quale “marzullianamente” si fa una domanda e si dà una risposta: Destiny 2 è da considerarsi morto?

Bisogna ammetterlo: sia la testata citata sia il sottoscritto siamo giunti allo stesso risultato, sebbene attraverso motivazioni differenti. Polygon pone al centro di tutto alcune questioni che sicuramente possono risultare vere, ma paiono essere ingigantite per certi aspetti. Non sembra, infatti, che il problema principale abbia a che fare con le microtransazioni dell’Everversum, che non sembra essere così invasivo se non in alcuni momenti come gli eventi. A questo si aggiungono poi la semplicità del “cappare”, gli equipaggiamenti deludenti e una costruzione del PVP “vecchia scuola”, un po’ lontano dai canoni a cui ci hanno abituato le ultime produzioni.

La critica all’Everversum, cioè quella sezione che riguarda l’ottenimento di piccole lootbox attraverso microtransazioni, mi è sempre stata di difficile comprensione. Anzi, Destiny 2 ha un grande merito che lo distingue dal suo predecessore proprio su questo aspetto: le tanto odiate lootbox, riempite di chicche estetiche (come Spettri, Shader, Astori e Navi), sono ottenibili semplicemente riempiendo la barra dell’esperienza o salendo di livello. Va da sé che le lamentele riguardo l’Everversum lasciano il tempo che trovano e se proprio dovessimo trovare delle motivazioni riguardo al fallimento del gioco, non riguarderebbero questa parte. C’è da ammettere però che Bungie non si è dimostrata propriamente cristallina e corretta con l’Everversum, come per ciò che riguarda lo scandalo che ha visto Bungie raddoppiare segretamente l’exp necessaria per completare la barra e degli engrammi speciali legati agli eventi stagionali contenenti pezzi dal drop rate eccessivamente basso. Questi, come detto, sono casi che possono influire se si considera Destiny 2 nella sua globalità, ma che non possono essere il motivo principe del suo fallimento.

Al contrario, il vero fallimento del titolo si può rinvenire in tre fattori: il loot, la varietà delle attività, la progressione. Insomma, nella triade solare di ciò che rende un MMO(RPG) divertente e coinvolgente.
Destiny 2, infatti, affonda a pieno nel genere MMORPG e a esso si può ricondurre la sua ossatura composta di razze, classi, sottoclassi, armi con perk e abilità speciali di sorta. Cercare di fargli trascendere questa natura significa considerarlo come un normale FPS, il che sarebbe sbagliato. Tutto ruota attorno, prima che alla skill del giocatore, all’equipaggiamento del personaggio e al suo livello (per quanto riguarda la parte PVE), di qui è semplice comprendere come la progressione del cosiddetto “gear” trattenga il giocatore sul farming dei vari contenuti, per ottenere sempre più oggetti in grado di aiutarlo a superare questa o quella difficoltà che di volta in volta si parano davanti al giocatore e che lo porterà, alla fine, o nel raid a sei persone (endgame hardcore PVE) o nelle Prove dei Nove (endgame hardcore PVP). In Destiny 1 tale progresso veniva ben scandito e costringeva i giocatori a prendere parte a tutte le attività delle due tipologie, a seconda dei gusti o meno, per poter raggiungere il level cap. La difficoltà e l’impegno per raggiungere la vetta diventano sempre maggiori e mettono i giocatori anche nelle condizioni di dover cooperare per intraprendere i vari contenuti di massimo livello. Tutto questo si spezza in Destiny 2. Raggiungere il level cap nel secondo capitolo è letteralmente una sciocchezza e si può fare nel giro di un mese semplicemente completando le task settimanali messe a disposizione, che il più delle volte si concludono nel giro di una serata. Questo va a inficiare gravemente su tutte quelle che sono le attività contorno che sono state aggiunte (come i Settori Perduti) che perdono la loro funzione e finiscono per essere completamente inutili ai fini del gioco. Ma non solo, una progressione veloce e semplice rende noiosi anche i contenuti endgame hardcore, andando a sballare il diagramma di flow (sul quale si basa il game design nella sua più totale generalità) e il conseguente bilanciamento difficoltà-abilità. Ciò rende anche le attività più ardue semplici da affrontare e superare, facendo così subentrare la noia.

destiny 2

 

A questo discorso si potrebbe obiettare che effettivamente Destiny 2 presenta delle modalità “extreme” dei raid e degli assalti (dungeon) Cala La Notte, ma la questione è sempre la stessa: bisogna bilanciare anche il grado di loot ottenuto completando queste attività. Se il giocatore si ritrova a ottenere gli stessi equipaggiamenti che si ottengono nella versione base di quel contenuto, lo sforzo non è pari a ciò che effettivamente si va a stringere tra le mani. Insomma, il gioco non vale la candela.

Il secondo problema è ravvisabile nel loot e nel sistema che ci consente di ottenerlo. In Destiny 2, differentemente dal suo predecessore, è stato relegato per l’80% ai pegni, dei token da scambiare che ci consentono di riempire una barra al termine della quale ci verrà consegnato un drop dal relativo NPC. Se il primo capitolo era legato al completamento di determinati obiettivi (come le armi dell’Armaiolo e al rank-up nel Crogiolo e negli Assalti), ora questa moneta di scambio si presenterà come la risorsa più importante con la quale ottenere gli equipaggiamenti dei vari NPC. Anche questo è stato calibrato male: il sistema è diventato piuttosto invasivo e ha fagocitato gran parte della meccanica dei drop, per di più la facilità con la quale si entrava in possesso degli stessi ha reso estremamente veloce ottenere gli equipaggiamenti, che dal canto loro sono anche piuttosto limitati. Le stesse leggendarie ed esotiche, oltre a non essere tante, hanno anche perk fissi e già sbloccati, annullando completamente il percorso di exp che ci portava al completamento dell’arma o al farm per ottenere quella specifica arma con quegli specifici perk. Una lancia va comunque spezzata nei confronti di questo sistema: la meccanica dei token, per quanto gestita male, offre un riciclo continuo e una conseguente generazione di risorse tale per cui ogni oggetto droppato non risulta mai completamente inutile e può essere smontato per ottenere pegni da scambiare ad altri NPC.

Proprio sul PVP si possono spendere le ultime parole in merito alla questione. Il Player VS Player di Destiny è sempre stato una delle attività più giocate del titolo con annesse, come abbiamo potuto vedere, modalità non di poco conto in grado di donare ai giocatori oggetti particolari e obiettivi in grado di mostrare anche la propria abilità al resto della comunità. Da sempre, questa branca è la più difficile in termini di bilanciamenti, soprattutto quando si ha un gioco che è stato costruito più per il Player VS Environment che per lo scontro giocatore contro giocatore. Sebbene anche il primo Destiny avesse dei problemi nel bilanciamento delle classi e dei loro poteri, Destiny 2 sembra aver rotto completamente il fragile equilibrio sul quale il primo faticosamente si reggeva. In particolar modo, le due scelte su cui ha avuto da ridire l’utenza sono state i cambiamenti fatti al sistema di armi e quelli fatti alle abilità, che hanno depotenziato e potenziato alcune classi. Per cominciare dalla prima, per spingere delle primarie che nel primo capitolo trovavano ben  poco spazio, si è deciso di dedicare i primi due slot a questo tipo di armi e relegare nel terzo, come in un enorme calderone, tutto il resto delle armi. Cecchini, pompa, lanciarazzi, spade e così via sono state ridotte ad armi “distruttive” e ciò, oltre a uccidere la varietà di armi che i giocatori possono portare con sé, rende alcuni generi di armamenti preferibili ad altri, costringendo i giocatori a utilizzare la metà delle armi presenti nel gioco. Questa stagnazione, però, non riguarda solamente la terza categoria, bensì anche la prima e la seconda (le cinetiche e le energetiche): le armi utilizzate dagli utenti risulteranno essere sempre le stesse creando pochissima varietà. E’ il caso, ad esempio, del Multi-Strumento MIDA abusatissimo nei primi mesi di gioco. L’apprezzamento verso questo tipo di sistema è durato poco e le sue falle sono venute a galla velocemente tediando i giocatori di vecchia data. Altra nota dolente riguarda il reskin delle abilità. Sicuramente la rivisitazione delle vecchie sottoclassi è stata una graditissima sorpresa, ma ciò ha inficiato negativamente sul gameplay delle stesse. Ci si è ritrovati ben presto a fare le spese con una serie di bilanciamenti con poco senso logico: pugni dei Titani che a livello di danni inflitti risultano essere identici a quelli delle altre classi, granate che hanno perso l’efficacia (come ad esempio le granate adesive), archi dei Cacciatori leggermente fuori dagli schemi. E proprio su questi ultimi, chi vi scrive, ha avuto non poche brutte esperienze, tanto da ritrovarsi più volte in team da solo in mezzo a squadre intere di Cacciatori tutti gli con stessi equipaggiamenti – come vi mostra l’imbarazzante foto qui sotto scattata dal sottoscritto. Il Player VS Player è diventato in pochissimo tempo una delle esperienze FPS più deludenti provate negli ultimi tempi, capace di far rimpiangere quello del primo capitolo che, tra i suoi alti e bassi, riusciva a risultare quantomeno gradevole.

destiny 2

Ciò che resta da dire è semplicemente una domanda a cui io personalmente do una risposta secca: Destiny 2 è morto? No, non lo è, e se proprio gli si vuole affibbiare uno stato di salute si potrebbe dire che è moribondo. Dunque, è salvabile? Sì. Lo è, lo è stato Destiny 1, può e potrà esserlo anche Destiny 2, ma solo se c’è da parte di Bungie una trasparenza, un impegno reale e una volontà ferrea di voler resuscitare il titolo. Tempo addietro, Il Re dei Corrotti fu cruciale e riscrisse un titolo fino ad allora poco equilibrato, la stessa cosa può e deve accadere con questo secondo capitolo. È l’ultima possibilità che ha Bungie per ridare linfa a un lavoro che stenta davvero molto a decollare, anche per via di un poco esaltante primo DLC che ha riavvicinato solo per pochissimo i giocatori prima di disperderli nuovamente e che ha sfruttato molto male uno dei personaggi più importanti del gioco, che invece, più che un semplice DLC, meritava un’espansione. Già, un’espansione! Molte delle critiche fatte a Destiny 2 riguardano proprio la sua stessa esistenza come titolo stand-alone. Gran parte dei fan, infatti, si è interrogata sulla natura del titolo Bungie, giungendo alla conclusione che forse non c’era alcun bisogno di questo seguito, bensì di una grossissima nuova espansione che avrebbe riscritto il gioco. Questa idea fu inizialmente criticata dal sottoscritto, ma allo stato attuale mi sono dovuto ricredere. Se si volesse, infatti, considerare Destiny un MMORPG alla stregua di quelli che conosciamo (World Of Warcraft in primis, per quanto concerne la progressione storico-narrativa attraverso le varie espansioni), si potrebbe abbracciare l’ipotesi che la cosa migliore per il titolo fosse una grande espansione, più grande (e magari più costosa) del Re dei Corrotti, in grado di apportare tutte le modifiche necessarie senza però perdere i vecchi contenuti che, a loro volta, avrebbero potuto essere soggetti a nuovi restyling. Non solo, ma tutti i nuovi giocatori sarebbero stati costretti a passare per le prime espansioni e i primi DLC del primo Destiny, ritrovandosi una mole di cose da fare non indifferente. In questo modo, l’operetta di Bungie si sarebbe ritrovata nello stesso stato di un MMORPG e avrebbe tenuto impegnati a lungo i giocatori, giustificando anche l’arrivo di alcuni paywall e season pass vari. Forse questo avrebbe salvato il gioco dal disastro mediatico, o forse no, ma decretare come morto un titolo che non è neanche a metà del suo ciclo vitale e che ha avuto altri esempi di rinascite alle spalle, è senza ombra di dubbio prematuro.

Per concludere: Destiny è morto? Non proprio. E’ sicuramente moribondo, ma salvabile.
Bungie è la madre di Halo, ci ha abituati a emozioni forti, momenti epici e incredibili che ci portiamo e ci porteremo dentro per sempre. Questo Destiny ha l’odore della sua opera magna, possiamo percepirlo. È lì, senza se e senza ma. Quindi, per favore Settima Colonna, riaccendi la Luce ancora una volta e questa volta fai che essa si manifesti più luminosa che mai.

Sebastiano Italo "Ghraal Vakarian" Caradonna
Filosofo e poeta a tempo perso e a tempo pieno. Ossessionato dall'arte nonché dai giochi e dal tema del viaggio. Studio per diventare game designer, ruolo ed ambito che rappresentano, ovviamente, una ossessione.

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