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Daymare: 1998 – Recensione del survival horror di Invader Studios

Se c’è una cosa ormai appurata è che gli zombie non scadono. O meglio, l’immaginario del non morto lo descrive spesso putrescente, ma l’idea di zombie all’interno di libri, cinema e videogiochi è un evergreen. C’è però da fare un distinguo netto tra prodotti ben riusciti o meno: se alla fine l’idea è funzionale, il modo in cui viene utilizzata può davvero fare la differenza. Daymare: 1998 racconta le vicende di una cittadina, Keen Sight, che si trova alle prese con una piaga di zombie che sta letteralmente dilaniando la città.

Le origini del mito

I punti di contatto con la saga di Resident Evil – specialmente i primi capitoli – sono molti ed evidenti: questo è uno dei punti di forza di un prodotto germogliato dalle idee di Invader Studios, che hanno utilizzato come ispirazione quei titoli (se siete interessati alla genesi del titolo, potete trovarla qui). In Daymare: 1998 saremo al comando di tre personaggi distinti: Liev, agente speciale della H.A.D.E.S. (Hexacore Advanced Division for Extraction and Search), Raven (Pilota della Hexacore Air Force) e Samuel (Ranger di Redcrest Mountains). Se i primi due personaggi saranno un po’ quelli inviati a risolvere il problema, il punto di vista interessante arriva proprio da quest’ultimo: egli infatti soffre della sindrome Daymare, una condizione medica che causa ansia, confusione, paranoia e allucinazioni.

La storia gira intorno a questi tre personaggi e alla Hexacore BioGenetics, compagnia biotech di cui vi parleremo poco, per non rovinarvi la storia. Proprio la trama in Daymare è uno dei punti cardine: la storia, intrecciata tra questi tre personaggi, vi porterà a scoprire losche trame e a rivelare misteri che, inevitabilmente, sono alla causa di tutto. Ma per quanto questo incipit potrebbe risultare abusato nel corso degli anni, il modo in cui si dipana l’intreccio è decisamente interessante e originale, con tanto di colpi di scena.

Realismo

È difficile parlare di realismo in un gioco che vi catapulta in una città piena di zombie e creature strane, eppure Daymare: 1998 è uno dei survival horror più realistici di sempre. Per prima cosa la User Interface non vi starà ad evidenziare quando uno zombie è morto, spesso facendovi saltare dopo aver visto un non morto (crivellato di colpi) rialzarsi per aggredirvi. Inoltre la luminosità, scarsa in molte zone a causa di mancanza di elettricità, aiuta decisamente l’immersione all’interno di questa cittadina devastata e piena di pericoli.

Il gameplay in sé, parlando di manovrabilità, opta per dei comandi che a primo impatto potrebbero sembrarvi macchinosi, ma che in realtà richiedono precisione (soprattutto per uccidere le creature un po’ più coriacee). Gli Invader Studios hanno optato per un inventario “vecchio stile” con tanto di slot, ma a differenza degli altri titoli del genere hanno preferito inserire un menù senza pausa, lasciando quindi il giocatore sempre attivo (e facile bersaglio delle creature). La parte più interessante arriva con le munizioni: il sistema di ricarica è diviso in due modalità: veloce e lenta. Se la ricarica veloce vi permette di cambiare subito caricatore (e trovarvi con un’arma subito carica) d’altra parte vi porterà a lasciar cadere il vecchio caricatore per terra.

Quella lenta invece, richiedendovi più tempo, porterà il personaggio ad inserire i proiettili all’interno del caricatore già presente, senza lasciarlo cadere. La gestione di queste due modalità di ricarica sarà molto utile nel corso del gioco: oltre ad avere sempre caricatori pieni, dovrete fare attenzione alle munizioni utilizzate, riempire sempre questi oggetti una volta finite le sparatorie, ma soprattutto recuperarli una volta lasciati cadere. Nel corso del gioco troverete caricatori vuoti che amplieranno il vostro inventario, ma basterà dimenticarsene uno in giro per poi trovarsi in seri problemi.

Parlando proprio di sparatorie, Invader Studios ha pensato davvero a tutto: se i semplici zombie saranno difficili da buttare giù poiché vi accorgerete della loro presenza solo quando li avrete a 10 cm dal volto, i nemici più “tosti” si troveranno in ampie mappe che vi permetteranno di sfruttare l’ambiente a vostro vantaggio. Il level design infatti è curato maniacalmente, sia per quanto riguarda i dettagli estetici, sia per la struttura stessa, mai fuori luogo. Insomma, il connubio che i ragazzi di Invader hanno creato è qualcosa di eccezionale, un insieme di paradigmi storici e idee nuove che portano Daymare: 1998 ad essere uno dei più interessanti survival horror in circolazione, un gioco che vi terrà col fiato sospeso fino alla fine.

Lo zombie si vede nei dettagli

Il comparto tecnico di Daymare: 1998 è davvero ben curato. Le ambientazioni sono ricche di dettagli, ben definite e suggestive, tutto il comparto sonoro, dall’audio di gioco fino al doppiaggio, rispecchiano una qualità decisamente sopra la media. Purtroppo lo stile utilizzato per due dei tre personaggi – esattamente Liev e Raven – risulta un po’ caricaturale in confronto agli altri (come lo stesso Samuel, decisamente più realistico). Tutto sommato questo, nonostante renda strano vedere in volto questi due soldati, li rende allo stesso tempo facili da ricordare, e il doppiaggio che li accompagna li trasforma in protagonisti ben scritti e caratterizzati.

Daymare: 1998

8.5

Il lavoro di Invader Studios omaggia il genere survival horror e gli zombie, prendendo tematiche e ambientazioni iconiche ma dandone la proprio interpretazione. Il gameplay, più ramificato e strutturato rispetto ad altri titoli del genere, rende Daymare: 1998 un interessantissimo survival horror, un'esperienza di gioco che porta il giocatore a volersi addentrare sempre di più nei misteri della città di Keen Sight, puntando ad arrivare fino in fondo a questa avventura piena di zombie, pericoli e segreti.

Simone Lelli
Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.

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