Amazon Prime Video è sempre in cerca di veri e propri franchise da portare all’interno del suo catalogo e, nel tentativo di avvicinare a sé una generazione di ragazzi e adolescenti, ha deciso di guadagnare l’esclusività sulla serie tv di Alex Rider. A dir la verità, questo progetto non segna la prima volta che il famoso franchise letterario di Anthony Horowitz viene trasportato in un media audiovisivo, visto il tentativo del 2006 con la sfortunata trasposizione cinematografica diretta da Geoffrey Sax. Eleventh Hour Films ha però messo mano sull’IP e, insieme ai fondi offerti da Sony Pictures Television, ha deciso di affidare il progetto del revival nelle mani di Gury Burt, qui al suo primissimo ruolo come showrunner oltre a quello dello sceneggiatore dell’intera stagione.
Una spy story con un tocco di teen drama
La narrativa di questo Alex Rider non è la trasposizione fedele dei primi due romanzi cartacei (quei Stormbreaker e Point Blanc rilasciati rispettivamente nel 2000 e nel 2001), bensì ne riprende gli elementi principali inserendoli in un contesto più realistico e moderno. Ci ritroviamo quindi in un periodo storico praticamente attuale, in cui Alex Rider (interpretato da Otto Farrant) vive una normale vita da studente adolescente inglese insieme al suo migliore amico Tom Harris (Brenock O’Connor). A causa di un’apparente morte accidentale dello zio Ian Rider (Andrew Buchan), il nostro giovane protagonista decide d’indagare sull’accaduto e si ritrova a far parte di un’agenzia segreta molto legata al MI6.
Parlare della narrativa in prodotti del genere è sempre molto delicato, visto che è un fattore fondamentale anche se stiamo parlando di un’esperienza che vuole offrire puro intrattenimento. Bisogna però sapere che l’approccio dato al racconto è totalmente differente rispetto all’adattamento cinematografico di quattordici anni fa e dagli stessi libri, visto che si è deciso di optare con toni più seriosi sia nella sceneggiatura, sia nella regia. Le disavventure in cui Alex si ritrova sono prese più seriamente, superando così il pubblico di bambini che si cercava inizialmente di raggiungere. Per questo il nostro protagonista non utilizza gadget dal calibro di Game Boy Color o Nintendo DS modificati, riuscendo perfino a prender in in giro certe scelte stilistiche attraverso piccole scene comiche. L’opera, infatti, non tenta di essere una spy story complicata o adulta, puntando principalmente a un pubblico di ragazzi adolescenti anche grazie a quel tocco di Teen Drama che è stato inserito al suo interno. Quest’ultima caratteristica riesce a essere sfruttata decentemente, mostrando i conflitti interni di Alex dovuti non solo dalle ragazze che lo circondano ma anche alla complicata vita in cui si mette in mezzo. Tutto risulta essere un mix ben congegnato, che riesce a offrire un buon equilibrio nonostante alcune piccole forzature e una poca originalità di fondo.
Due registi, otto episodi
La serie di Alex Rider è principalmente diretta da due registi, ovvero da Andreas Prochaska e Christopher Smith nella loro prima collaborazione di questo tipo, dove i due autori si sono rispettivamente divisi in parti uguali gli otto episodi composti da questa stagione. Ovviamente hanno già realizzato qualche prodotto audiovisivo in passato, ma qui hanno dimostrando di saper coesistere presentando una buona narrativa. Nonostante le due parti sono ambientante principalmente in posti differenti, la serie riesce ad andare avanti con la giusta tonalità e dando il giusto personaggio a ogni forza in campo. Le riprese, per quanto niente di eccezionale artisticamente parlando, fanno il loro lavoro risultando funzionali sia nelle scene più tranquille, sia in quelle dense di azione. La saturazione dei colori appare poi particolarmente standard, almeno per quanto riguarda una produzione creata interamente in digitale. Un pregio della regia sta nella facile leggibilità del tutto, senza creare confusione nello spettatore in qualsiasi situazione si trovino i personaggi. Vero peccato invece per gli effetti speciali, visto che non tutti risultano propriamente curati, come gli effetti delle armi da fuoco. Buono però l’utilizzo della violenza e del sangue, “proposto” in dosi adatte per il pubblico a cui il prodotto si rivolge. Ottimi risultano anche i costumi di scena e le ambientazioni, riproducendo ed eccettuando nel modo giusto il carattere delle location e dei personaggi.
A proposito di quest’ultimi, gli attori scelti riescono a interpretare molto bene i loro ruoli. Ognuno di loro risulta credibile, perfino con una sceneggiatura che presenta dei veri e propri stereotipi viventi (a partire dal protagonista, che è a tutti gli effetti una specie di “Mary Sue” essendo un ragazzo infallibile, di bell’aspetto, intelligente, pieno di qualità e molte altre belle caratteristiche). I personaggi secondari che lo circondano risultando poi piuttosto prevedibili per questo genere di racconti, seppur alcuni siano ben caratterizzati, come il miglior amico del nostro eroe.
Probabilmente il più grosso difetto di quest’opera è la mancanza di coraggio: abbiamo già accennato al fatto che l’opera prende le dovute distanze dal tono del brand nativo, ma alla fine lo inserisce all’interno di tonalità già esplorate da altri un’infinità di volte, così da non elevarlo praticamente in niente.
La colonna sonora firmata dal compositore Benjamin Stefanski invece risulta appropriata, riproducendo i principali gusti delle attuali giovani generazioni. Questo lo notiamo anche nelle musiche su licenza utilizzate, che possiamo notare sin dall’utilizzo di The World Is Mine di Iniabasi Samuel Henshaw come tema principale. Il doppiaggio italiano risulta di ottima qualità, dimostrando quindi una buona cura da parte degli adattatori a riportare dialoghi e concetti del prodotto. La piattaforma Amazon prime Video permette comunque di assistere sia in originale che in italiano, con tanto di sottotitoli. Nel caso foste interessati a vivere l’esperienza originale, il client del servizio ve lo permette.