Diciamo subito che il remake live action di Mulan è un film sfortunato. Il processo di gestazione di questo film risale addirittura all’ormai lontano 2010, ma a causa di divergenze creative, problemi di produzione e chi più ne ha più ne metta, il progetto ha finito per cadere nel dimenticatoio fino al 2015. A questi si sono andati ad aggiungere altri due anni solo per scegliere la regista (Niki Caro) e l’attrice protagonista (Yifei Liu, scelta dopo una casting call di ben 1000 attrici). Seguono poi lunghe riprese di quasi due anni tra Cina e Nuova Zelanda, con un budget di ben 200 milioni di dollari (il più alto di sempre per un film diretto da una regista donna), segnate da controversie e polemiche legate all’appoggio di Liu per il governo cinese durante le prime fasi delle proteste di Hong Kong che scatenano il boicottaggio del film sui social.
Questo film non s’ha da fare
La pellicola vede finalmente la luce e il buio della sala a Marzo 2020 per la premiere hollywoodiana, solo per venire sospeso immediatamente a causa della pandemia da Covid-19. Correndo ai ripari, Disney presenta Mulan come esclusiva Disney+ a partire dal 4 settembre 2020 con limitate proiezioni in paesi con cinema aperti. Se questo non è un chiaro esempio di development hell, non so cosa potrebbe esserlo. Questo remake live action di uno dei titoli più sottovalutati dalla critica del rinascimento disney corre più di un rischio: ripresenta l’amatissimo film di animazione in una confezione nuova, più fedele alla leggenda originale e vicina al cinema wuxia cinese, sottolineando (ed esacerbando, ma ci arriveremo) il messaggio di autodeterminazione femminile e femminista della pellicola. Una sfida apprezzabile da più di un punto di vista, dal momento che, dal “Libro della Giungla” (2016) in poi, i remake live action dei classici Disney (inutili e voluti da nessuno, ci teniamo a precisarlo) sono risultati decisamente dimenticabili e mere copie carbone dei classici titoli che hanno fatto la fortuna della casa di produzione più famosa del mondo.
Mulan conta spettacolari scene d’azione con eccellenti coreografie, degne dei più apprezzati titoli di film di arti marziali cinesi. Inoltre, i valori di produzione sono al top della categoria, una qualità questa condivisa però con la maggior parte dei titoli live action degli ultimi anni. Cosa manca allora a Mulan? Beh, in parole povere tutto il resto. Un dipartimento visivo eccellente non basta a giustificare una storia rattoppata alla bene e meglio, un poverissimo character development e dialoghi da morte cerebrale. La crescita di Mulan, la scoperta di un suo posto nel mondo al di là di donna e madre viene sacrificata da subito quando la protagonista si presentata come un’eccellente combattente, buttando al vento possibilità di crescita e auto-realizzazione espresse nell’originale, soprattutto nelle scene del campo di addestramento: nel creare un personaggio super-umano, Mulan risulta antipatica nel senso lato del termine, ovvero priva della nostra simpatia, più vicina a un eroe della Marvel che a una ragazza sfaccettata di cui seguiamo la crescita fino a vederla diventare eroina.
Questa strategia gioca, ironicamente, a sfavore del sottotesto femminista su cui la regista pigia il pedale, trasformando una ragazza alla scoperta di sé all’interno di un mondo ostile (maschilista) in un’eroina mitica priva di capacità e qualità autoriflessive. Pure la novità del film, l’inserimento forzato di una villainess dotata di straordinari poteri interpretata da un’attrice del calibro di Gong Li, che pure sembrava a inizio film decisamente promettente, finisce per essere sacrificata in fretta e furia alla logica di un film femminista per bambine senza riuscirne a far esplodere tutto il potenziale, salvo presentarla come un riflesso tragico della protagonista. Disney corre un rischio e presenta un live-action diverso, consumato però da vecchi problemi, dove l’esaltazione del female power soffoca tutto il resto e finisce per escludere le enormi possibilità di un remake del cui originale si sente ancora l’eco 20 anni dopo.