La storia di The Witcher è particolare: nella mente del suo creatore è sempre stato Wiedźmin, lo strigo, persino mentre nel 1985 partecipava ad un concorso letterario. Proprio esso diede il giusto spazio a Andrzej Sapkowski per procedere e sviluppare dapprima dei racconti brevi, poi dei veri romanzi. Da lì un crescendo di successo – in parte dovuto al videogioco di CD Projekt Red – ha portato Geralt di Rivia a diventare un eroe fantasy riconosciuto, culminando la sua parabola nel 2015 con The Witcher 3: Wild Hunt, gioco che ha ottenuto più di 800 premi (diventando il gioco con più vittorie nella storia dei GOTY Awards). Era ovvio che, prima o poi, qualcuno avrebbe preso questa saga ormai celeberrima ai videogiocatori e agli amanti del fantasy (più per l’eroe che per il nome stesso) e l’avrebbe trasposta a film/serie tv: dopo aver visto 5 puntate, possiamo raccontarvi i nostri pareri su The Witcher, la serie Netflix.
Uno per tre e tre per uno
The Witcher, nel suo concetto più puro, è un dark fantasy: creature fantastiche abitano paesaggi medieval-fantasy, ma una folta coltre di oscurità (figurativa) avvolge tutto. Ognuno pensa a sé stesso, la gente è meschina e il doppiogioco è così comune da far sembrare l’onestà una cosa sbagliata. In questo mondo viaggia il Witcher, prodotto di un’epoca passata, creato dall’uomo per sconfiggere i mostri, fino a diventare egli stesso così distaccato dal mondo da esserne semplice spettatore e, talvolta, mercenario. Ovviamente, lo Strigo incontrerà nel suo percorso svariati personaggi, tutti finemente caratterizzati (grazie ad un background di libri esaustivo), facendo scoprire al lettore sempre di più del mondo in cui è ambientata la saga e, allo stesso tempo, mostrando a Geralt quanto non serva essere mostri per definirsi tali. Inganni e sotterfugi sono dietro l’angolo, e questo viene finemente replicato nella serie.
Troviamo nei panni di Geralt un Henry Cavill centrato nel personaggio, oscuro e cinico quanto basta ma anche aperto a qualche rimanenza di sentimento (sia esso carnale o spirituale). Accanto a lui, due trame si intrecciano: parliamo di Yennefer (Anya Chalotra) e le sue origini come strega, e della principessa Ciri (Freya Allan) e il suo segreto. Ovviamente non mancheranno personaggi secondari davvero ben caratterizzati come Jaskier (alcuni di voi lo conosceranno come Ranuncolo o Dandelion), il bardo amico di Geralt, e la Regina Calanthe. Ovviamente, un ulteriore personaggio fa parte del cast: parliamo dell’ambientazione, abbastanza viva e ricca di dettagli, ma non abbastanza in confronto a ciò che davvero poteva essere (ricordiamo che il mondo di The Witcher è in costante tumulto politico, ricco di battaglie e scenario di una grande rivalità tra due popolazioni).
Queste tre trame si intrecceranno in modo agevole, andando pian piano a costruire un castello formato da tante tessere del puzzle, molto comprensibili e interessanti da rivelare. I vari episodi, ricostruendosi sopra ai racconti di Geralt, vanno a replicare delle trame che i lettori già conosceranno (mentre i videogiocatori un po’ meno): compaiono infatti nelle otto puntate personaggi come Renfri, Stregobor, Fringilla e Triss, tutti finemente caratterizzati (anche se qualche scelta di casting è stata più coraggiosa del dovuto). Tutto sommato, le puntate scorrono via in modo veloce, intervallando battaglie, dialoghi ben strutturati e qualche colpo di scena. Se degli ultimi due abbiamo poco da dire (anche perché, come detto, ricalcano molto bene il libro), i combattimenti invece si ispirano al set di mosse del Geralt del videogioco, mostrando un Henry Cavill davvero comodo nei panni dello Strigo.
Io sono Geralt
Approfondendo proprio il tema interpretazione, il Geralt di Cavill mantiene tutte le caratteristiche del personaggio: cupo, cinico, dalla voce profonda e privo di emozioni, riesce subito a far capire come al personaggio interessi – apparentemente – soltanto il denaro. Si contrappone a lui Cirilla, la Principessa Ciri, in tutta la sua debolezza durante gli eventi che si susseguiranno nel corso della storia. Yennefer invece, con la sua origin story, mostra una trama ben diversa dalla risolutezza di Geralt o dalla paura di Ciri, rivelandosi il personaggio più facile da comprendere empaticamente.
Il casting, come detto, risulta ben azzeccato anche nelle scelte coraggiose: sarebbe stato facile scegliere una ragazza dai capelli rosso acceso per Triss, mentre invece l’attrice risulta molto più sottotono nei dialoghi, nei vestiti e anche nell’aspetto. Questo perché, va chiarito, The Witcher di Netflix si ispira ai romanzi: non è un riadattamento del riadattamento, bensì prende le parole di Sapkowski e le rielabora, adattando l’adattabile ad una serie tv. Tutto questo rende il prodotto molto digeribile, ma allo stesso tempo vicino ai competitor in gioco.
Se quindi ci troviamo davanti un eccellente Geralt, una fantastica Ciri e un’accettabile Yennefer, non possiamo dire lo stesso dei personaggi secondari, relegati a semplici macchie, sebbene collegati avanzando nella storia ad una trama ben più articolata. Sicuramente il tempo (e la seconda stagione) sapranno regalarci un nuovo spazio per questi, che per ora crollano in confronto alle controparti scritte.
Un prodotto, più vite
Il libro ha affascinato con le sue parole, il gioco con il suo gameplay: questa serie, davvero bella sotto molti punti di vista, presenta dei difetti dovuti al media. In primis, le location e i mostri: nonostante curate minuziosamente, alcune volte sembrano troppo artefatte, valicando il confine tra serie tv e fan movie: questo però è davvero molto limitato, e con l’avanzare della serie migliora costantemente fino a sparire (almeno nelle prime 5 puntate). La vera magia però è stata fatta su ciò che conta: la trama.
Capire vedendola, ma per seguire bene The Witcher di Netflix dovrete capire molte cose sullo svolgimento dell’intreccio, volutamente misterioso e che si rivela sempre più con l’avanzare degli episodi. La trama politica – la battaglia tra Cintra e Nilfgaard – e il modo in cui questi personaggi si muovo in questo ambiente geopolitico, è stata semplificata rimuovendo le informazioni non necessarie, senza però perdere coerenza e chiarezza, ma anzi rendendo tutto masticabile anche da chi lo Strigo non l’ha mai visto.