The Irishman – Recensione dell’ultimo capolavoro di Martin Scorsese

Martin Scorsese ritorna alle vecchie glorie degli anni '90 con questa epopea crime targata Netflix. Ecco la nostra recensione di The Irishman!

Pierfranco Allegri
Di Pierfranco Allegri Recensioni Lettura da 4 minuti
9.7
The Irishman

Al di là delle critiche (sensate e non) Netflix si è evoluto: da piattaforma streaming a protagonista del mercato audiovisivo, è infatti innegabile che unisca i vantaggi delle programmazioni on-demand alla qualità di prodotti originali. Certo, l’evoluzione da fenomeno pop a produttore di cinema d’essai è recente: si parte dai primi successi di critica con Beast of No Nation di Cary Fukunaga (2015) fino ad arrivare al trionfo di Roma di Alfonso Cuaròn (2018) primo Leone d’Oro targato Netflix. E ora, in questo 2019, Netflix rincara la dose portando sui suoi schermi l’attesissimo nuovo film di Martin Scorsese, The Irishman.

Il film in fase di gestazione da ben 12 anni, narra la carriera del sicario Frank “L’irlandese” Sheeran (Robert De Niro), così come è raccontata nel libro del 2004 I Heard You Paint Houses di Charles Brandt (titolo originale del film scartato a favore del più attraente The Irishman), ripercorre le età di un’ America segnata dal crimine organizzato, passando dall’assassinio di Kennedy fino alla scomparsa del celebre sindacalista Jimmy Hoffa, qui interpretato da Al Pacino alla prima sorprendente collaborazione con il regista.

Il nuovo film di Martin Scorsese, che si rifà ai suoi grandi successi degli anni ’90 (Quei Bravi Ragazzi, Casino) è un’opera forse vagamente demodée per la scena cinematografica attuale, ma elevata a grandissimi livelli di qualità grazie a una maestria e a una perfezione artistica rari persino per gli standard di un cast tanto sontuoso.
A tratti autoriflessivo e malinconico, nostalgico nei confronti del suo stesso genere cinematografico, The Irishman ragiona ancora sui temi del peccato e del crimine, ma con meno glamour e decisamente più severità.

La chimica dei tre attori protagonisti (De Niro, Joe Pesci, Pacino), creatasi attraverso un percorso lavorativo di quasi 40 anni, è il fiore di punta del film, portata al massimo dalla direzione straordinaria del regista. Ogni scena brilla di una propria luce per merito di questi attori immortali, quasi uno scrigno prezioso di tante piccole scene. Bisogna considerare con particolare affetto il ritorno di Joe Pesci sulle scene, che regala la sua performance più generosa dai tempi di Quei Bravi Ragazzi (ruolo che gli valse il suo primo e unico Oscar) nel ruolo del boss e amico Russel Bufalino.

Il costosissimo processo di ringiovanimento digitale degli attori è sicuramente spiazzante ma non particolarmente invasivo, forse un po’ fuori luogo per un regista così classico, nonostante Scorsese non sia estraneo al digitale (vedi Hugo Cabret). Il risultato è comunque pulito e in una certa maniera arricchisce il mito del film. La lunghezza ingiustificata è forse il difetto più grande di questo film, ma l’attesa è ben ricompensata: gli ultimi 40 minuti di film raggiungono un livello di maestria rara persino per gli standard del regista, trasformando il climax nel cuore pulsante del film e in un esercizio di stile che affonda le radici nella mitologia non solo del cinema di Scorsese, ma del cinema tutto.

The Irishman è un atto d’amore prezioso di cinema, che esalta tutte le singole componenti del prodotto film e le eleva a livelli raggiungibili solo attraverso la presenza di un regista non solo grande ma unico, capace, in quasi 50 anni di cinema, non solo di fare grande cinema, ma di riscriverne le regole.

The Irishman
9.7
Voto 9.7
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Pierfranco nasce a Chiavari il 1 Aprile 1994. Si diploma presso il liceo Classico Federico Delpino e studia Cinema e Sceneggiatura presso la Scuola Holden di Torino. Al momento scrive recensioni online (attività cominciata nel 2015) presso varie riviste tra cui GameLegnds e Cinefusi.it