Esisteva un periodo dove un gioco poteva essere uno sparatutto, un GDR o uno sportivo, dove Doom proponeva un gameplay frenetico dove si sparava, e Final Fantasy un gameplay a turni dove si combatteva strategicamente. Poi l’avanzamento del settore e della tecnologia ha portato ai primi ibridi: tra le tante cose mescolate, sempre più il tema del gioco di ruolo entra a gamba tesa, soprattutto considerata la sua prerogativa, ovvero la personalizzazione. Se c’è un’accoppiata che però rende sempre bene, è lo sparatutto mescolato con l’RPG: Atomic Heart rientra in questa categoria, e ve ne parleremo ora nella nostra recensione.
Figlio di titoli come Bioshock, Atomic Heart ha carattere da vendere, un tono originale e tante ottime idee, seppur pecchi di ciò che effettivamente gli manca: l’esperienza. Nonostante tutto, possiamo già anticiparvi che il titolo di Mundfish sa il fatto suo, e sebbene sbagli in alcune fasi di gioco e in alcune scelte, è raro vedere titoli di questo calibro.
Tanta carne al fuoco
Nel corso dell’avventura vestiremo i panni di un agente denominato P-3, un uomo che lavora per lo scienziato Sechenov, ministro dell’industria e capo della struttura 3826, e che ha il compito di risolvere i problemi che si pongono sulla strada di quest’ultimo. Perché è proprio grazie a Sechenov se nuove tecnologie hanno reso avanzata la Russia, in una sorta di retro-futuro alternativo dove i robot svolgono gran parte delle faccende, gli umani possono usare i polimeri e il sistema Kollectiv 2.0 sta per rendere tutti interconnessi (senza perdere la propria identità). Insomma, le basi di un futuro altamente tecnologico, o di un orrore pronto ad esplodere.
Le vicende verteranno proprio verso quest’ultima opzione, considerando che il gioco partirà quando durante un tragitto, dei robot inizieranno ad attaccare tutti i presenti sulla struttura 3826, questa sorta di città volante, costringendo P-3 a mettersi a lavoro per risolvere – come sempre – la cosa.
La trama di Atomic Heart è una fantastica candela: brucia e profuma all’inizio, ma si consuma velocemente, e verso la fine non bastano i colpi di scena – abbastanza telefonati – a rendere le cose più interessanti (parliamo comunque di 20 ore di campagna più almeno altre 15 aggiuntive di side quests). Come se non bastasse, anche l’idea di porre vari finali alla fine del gioco non porta a risoluzioni appaganti, seppur le basi siano interessanti. Da sottolineare però l’impegno nel cercare di raccontare tutto in modo accattivante, anche grazie all’utilizzo di circa un’ora e mezza totale di video cinematics.
Tutto sommato però, il gioco intrattiene e l’intreccio permette di ambientarsi subito in questo mondo dove la Russia si è stabilita come potenza mondiale attorno agli anni ’50, di fatto rendendola superiore all’America e detentrice di tutta questa moderna tecnologia.
Nella teoria ci siamo, però…
Il problema vero nasce quando il gioco inizia a mostrare il gameplay: sulla carta Atomic Heart ha tutte le carte in regola per brillare. Parliamo di uno sparatutto in prima persona dove il protagonista potrà fare affidamento, oltre che sulle armi da fuoco, anche su dei poteri, utilizzando il suo guanto dotato di polimeri e di una IA, Char-Les, e delle armi bianche abbastanza articolate.
Inoltre il gioco tenta di porsi in una posizione di equilibrio per quanto riguarda la difficoltà (disponibili tre livelli diversi, ovvero quello dove goderci la storia, quello medio e la modalità difficile), e in modo più caotico per l’esplorazione, dove il sistema open world, unito alla storia, spinge il giocatore ad esplorare e quasi completamente senza il tedio dei caricamenti. Qual è il problema allora? come vi accennavamo, l’esperienza.
Non quella che vivrete, che alla fine rimane divertente e spassosa, con fasi concitate e alcune più pensate, e addirittura con enigmi di vario tipo. Parliamo di esperienza del team nel proporre un gioco capace di mantenere alta l’attenzione: Atomic Heart infatti soffre quando alcune fasi, per proporre idee innovative, diventano scomode e fastidiose.
Ad esempio, non sarà raro infatti subire un colpo da questi nemici coriacei, fatti di metallo, che vi farà balzare a terra lanciando la telecamera in basso: la dinamica potrebbe anche essere interessante, ma dopo qualche volta la cosa diventerà abbastanza noiosa. Parlando proprio dei nemici, combatterli richiederà non troppa attenzione, considerato che superata la sorpresa dei pattern (e delle animazioni superlative) sarà facile capire come si comporteranno.
Ecco quindi che ogni buona idea cade sotto le aspettative: se la gestione dei poteri e delle armi potrebbe sembrare molto vicina ai Bioshock di Levine, sul lungo periodo vi accorgerete che l’alternanza tra le varie cose non porterà a pattern così diversi. Stessa cosa per gli enigmi, che all’inizio potrebbero sembrare differenti e divertenti, ma che poi diventeranno ridondanti.
Nonostante tutto, Atomic Heart è un’esperienza fantastica: le falle dovute dall’inesperienza del team di sviluppo, alle prese con qualcosa di davvero grande, sono giustificabili, e nel totale giocare al titolo di Mundfish risulterà comunque piacevole. Sicuramente la partenza del team sembra più che scoppiettante, e non vediamo l’ora di vedere cos’altro sapranno raccontare.
Atomic Heart vi porterà quindi ad avanzare alla ricerca di una soluzione dopo questo attacco robotico che ha scombussolato tutta la struttura 3826: nel farlo dovrete passare per laboratori, location varie e per spazi aperti. Possiamo senza dubbio dire che per quanto riguarda gli spazi più chiusi, c’è un buon backtracking (soprattutto nella prima fase, visto che verso la fine del gioco va a perdersi); differente l’esperienza negli spazi aperti, che è risultata caotica e poco ordinata. Forse proprio il voler proporre uno spazio libero e caotico – come nella realtà – il team è caduto nella trappola proponendo zone scomode da superare (e non in senso piacevole e di sfida).
Per fare un esempio pratico: la funzione di scan, che vi permetterà di vedere segnati nemici e oggetti utili, si attiverà con la pressione consecutiva di R1, cosa che se fatta troppo velocemente porterà ad una disattivazione della funzione, con consecutiva riattivazione (e una serie di imprecazioni varie). Anche per la fase di looting, utile per poi potenziare armi, munizioni e funzioni del guanto, l’effetto telecinetico di apertura di cassetti e sportelli risulterà in prima battuta esteticamente appagante, per poi cadere nel ripetitivo e fastidioso.
Nulla da dire invece per le battaglie più ardue: in quel caso i nemici sapranno dare filo da torcere; stessa cosa si può dire per le orde di avversari, che durante alcune fasi (soprattutto visto che alcuni nemici attaccheranno dall’alto) potrebbero davvero rendere la sfida divertente. Tecnicamente, Atomic Heart propone una grafica da sballo: per arrivare a tale dettaglio, su PS5, il gioco altera il frame rate dei corpi in movimento più lontani, creando uno strano effetto scattoso, e propone degli effetti calcolati in modo un po’ approssimativo, al punto che ogni vostro colpo fisico andrà a creare un taglio netto e evidente in quel verso sul nemico, lo stesso che se verrà attaccato una volta congelato invece, non mostrerà alcun tratto di danno sulla patina di ghiaccio. Nonostante non si raggiungeranno questi livelli ovviamente, il titolo è ottimizzato anche per PlayStation 4, Xbox One e Steam Deck.
Per quanto riguarda il doppiaggio, il gioco propone nella lingua inglese un tono vicino all’americano, senza cadere in accenti macchiettistici, mentre per la musica una buona alternanza di vari generi permette di avere un’alternanza anche di mood (seppur in alcune fasi la musica vada praticamente per le sue, portandovi ad avere un certo senso di dissonanza). Coloro che però vorranno un’esperienza più “nostrana”, sappiano che il gioco è doppiato interamente in italiano e potranno scegliere la nostra lingua per l’audio.