Non è frequente, nel mondo dei videogiochi, vedere titoli con ambientazioni di stampo prettamente religioso: grazie all’inventiva degli sviluppatori indipendenti, per fortuna, queste piccole eccezioni ricche di fascino esistono. Indika, uscito nel 2024 su PC e console di nuova generazione, è uno di questi esempi di unicità, capace di prendere delle tematiche tutt’altro che facili da portare sullo schermo di una console senza venir meno al concetto stesso di videogioco.
Arriva in questi giorni una nuova versione del titolo sviluppato da Odd Meter e pubblicato da 11 Bit Studios, pensata per la console ibrida Nintendo Switch. Obiettivo di questa recensione non sarà quindi quello di parlare della trama, delle scelte di gameplay o artistiche di Indika, per le quali vi indirizziamo prontamente alla recensione del gioco fatta in occasione del suo esordio, ma faremo una valutazione tecnica della specifica versione che approda solo ora sul mercato mondiale.
Sentire le voci… portatili
Non ci dilungheremo sulla trama del gioco, ma vogliamo dare una breve infarinata a chi sente parlare di questo progetto per la prima volta: Indika è una giovanissima suora che vive dai suoi 15 anni in un monastero nel cuore della gelida Russia, la quale però è vittima di una situazione particolarmente spiacevole: è infatti capace di ascoltare la voce del demonio. Complice questa presenza nella sua vita, Indika non riesce ad essere accettata all’interno del convento e, nel corso di un rito di comunione terminato precocemente a causa di un’intromissione del demonio, che scatena nella giovane inquietanti visioni, Indika verrà allontanata dal convento con la scusa di dover recapitare una lettera.
Il viaggio di Indika nella fredda Russia è una vera e propria discesa negli inferi dell’umanità: le persone sono spaventate, dubitano di lei, e la morte e la cattiveria dell’uomo non sono mai elementi messi in secondo piano. L’incompatibilità tra la vita religiosa, l’indole di Indika e la vita fuori dal convento si mescolano in una serie di quadri grotteschi, violenti e difficili da digerire per i più sensibili.
Un horror psicologico che tocca l’elemento della vocazione religiosa in maniera spietata, dando prova di grande capacità di destreggiarsi tra la bizzarria demoniaca e la crudeltà umana in una narrazione che prosegue con un ritmo degno di nota e ben strutturata. Un’esperienza, quella proposta dal gioco, offerta a giocatori che ricercano emozioni importanti e momenti di forte coinvolgimento in quello che, sostanzialmente, è un titolo narrativo costellato da piccoli enigmi ambientali (a nostro parere, di non eccelsa qualità questi ultimi). Fatta questa premessa, concentriamoci ora sul motivo centrale della recensione: l’aspetto tecnico.

Un inferno in terra, tra le mani
Indika ha dalla sua un motore grafico particolare, che alterna un (volutamente) annebbiato mondo di gioco in tre dimensioni a delle sezioni in pixel art. Soffermandoci esclusivamente sulla prima delle due modalità di fruizione, le quali si alternano nel corso dell’opera, osserviamo come il lavoro di porting sia ben poco riuscito: frame rate ballerino, rallentamenti nel movimento della telecamera, texture di luoghi e scenari spesso tremolanti e imprecise.
Aggiungiamo a ciò caricamenti molto (troppo) lunghi tra una sezione e l’altra del gioco, modelli dei personaggi che (al contrario di quanto emerge dalle cutscenes registicamente accurate) in game appaiono piuttosto spigolosi, con dettagli ridotti e animazioni poco convincenti.
Da un punto di vista puramente tecnico, insomma, Indika appare su Nintendo Switch in una versione non ottimale per essere goduto appieno, anzi, oseremmo dire che è la meno consigliata tra le versioni per console. La portatilità di Switch non viene presa in considerazione dagli sviluppatori, che hanno deciso di restituire ai giocatori un’esperienza che mai si differenzia dalle altre versioni: sensori di movimento, giroscopio e simili feature interne a Switch non sono state sfruttate per dare un’identità più personalizzata e interattiva alla proposta, che ne giustificasse insomma l’approdo sulla piattaforma ibrida. Insomma un porting abbastanza pigro, e quasi insensato, che di certo poteva essere evitato… o quanto meno avrebbe richiesto più impegno.
