Shadow Labyrinth Recensione: Pac-Man risorge dalle tenebre, e ha fame

Shadow Labyrinth: Pac-Man torna e divora tutto in un metroidvania oscuro

Tiziano Sbrozzi
Di
Tiziano Sbrozzi
Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona...
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Recensioni
Lettura da 7 minuti
8.5 Ottimo
Shadow Labyrinth

Shadow Labyrinth non è un semplice gioco: è un cortocircuito culturale, una fusione tra la mitologia arcade di Bandai Namco e il linguaggio moderno dei metroidvania dark. Nato dalle ceneri – letteralmente – dell’episodio Circle dell’antologia Secret Level di Prime Video, questo gioco ci mette nei panni (o meglio: nella corazza) di uno spadaccino silenzioso, controllato – forse – da una misteriosa entità chiamata PAAC. E sì, è quel PAAC. Quello con la bocca insaziabile e la forma sferica. Bandai Namco ha preso un personaggio con 45 anni sulle spalle e lo ha trascinato in un inferno 2D fatto di oscurità, creature deformi e labirinti impossibili. Non chiamatelo solo metroidvania: qui c’è qualcosa di più e lo scoprirete assieme a noi in questa recensione a tinte forti.

PAAC: eroe o carnefice?

L’inizio è familiare, se avete visto l’episodio Circle, su Prime Video: il nostro eroe si risveglia in una capsula, senza memoria e senza istruzioni (qui diciamocelo, questo cliché ha un po’ stancato). Appare PAAC, fluttuante e inquieto, che sembra sapere tutto ma non dice nulla. La narrazione è volutamente criptica: troviamo pagine di diario sparse qua e là, NPC che parlano per enigmi e ambientazioni che raccontano storie solo a chi sa guardare. La sorpresa non sta tanto in cosa ci viene raccontato, ma in come. Il gioco strizza l’occhio ai fan della Bandai più nostalgici – troverete riferimenti ad altri franchise della casa madre – ma riesce comunque a costruire un mondo coerente e affascinante, anche se a volte si perde in qualche ammiccamento di troppo.

Là dove la trama ogni tanto inciampa, il level design tiene su tutto il baraccone con una forza bruta sorprendente. Ogni area è un piccolo incubo architettonico, pieno di passaggi segreti, trappole, corridoi che si richiudono su se stessi e nemici progettati per farvi dubitare delle vostre scelte di vita (forse hanno dato a Miyazaki di Dark Soul il codice sorgente in mano per qualche minuto di troppo). C’è anche un pizzico di sadismo creativo: il primo boss del gioco viene letteralmente divorato dal protagonista che, suo malgrado, viene infilzato alle spalle da PAAC, che emerge come un’ombra demoniaca e sbrana di fatto il nemico. Questo rituale macabro può essere visto e attuato in più occasioni, accrescendo il potere del protagonista – è chiaro – ma rinunciando all’umanità che dovremmo avere. Forse.

Addentrandoci nel Labirinto

Dietro la maschera dell’action-platform classico, Shadow Labyrinth nasconde un cuore molto più ambizioso: le meccaniche core – salto, schivata, attacco primario, parata, skill tree, gestione dell’inventario – sono standard per il genere, ma vengono rielaborate in chiave moderna. Vi starete chiedendo quale: PAAC naturalmente che – sebbene non lo controlliamo direttamente – ma è sempre sulla nostra spalla, sussurra, osserva, agisce. Quando divoriamo i nemici, PAAC assorbe energia che ci permette di trasformarci in un mech gigantesco e qui tutti i sogni di noi bimbi troppo cresciuti prendono in qualche modo vita: non solo siamo a bordo di un giga-mech, ma – hey – c’è Pac-Man ai comandi.

Quando prendi in mano un personaggio (che non ha nemmeno braccia e gambe, in questo caso) vecchio di quasi mezzo secolo devi fare attenzione: potresti risultarne vincitore o perire sotto lo scontato e il banale. E’ qui che i geni di casa Bandai hanno dato il meglio: in molte sezioni di gioco, ci ritroveremo a trasformare il protagonista nella famosa pallina mangia tutto, scivolando su cavi metallici e sezioni dedicate, capace anche di attaccare i nemici (per fortuna, sennò sai che rottura!) e di saltare da una zona all’altra. Tutto questo avviene in maniera moderna e naturale, non sembra forzato, anzi è maledettamente giusto e ben congeniato al punto che vorresti averne di più.

La crescita è lenta, ma costante: questo ricorderà agli appassionati dei giochi arcade degli anni ’90 come i primi livelli che affrontavamo in sala-giochi fossero tutto sommato semplici e di apprendimento. Poco dopo si arrivava a una impennata di difficoltà che metteva alla prova riflessi, ingegno e strategie. Shadow Labyrinth non è da meno e non si fa certo remore a darci contro. Di fatto il gioco è una lama a doppio taglio: i meno avvezzi al genere potrebbero stufarsi e mollarlo dopo quattro o cinque ore, ignari del fatto che ce ne vorranno dalle 8 alle 10 perché il gioco riveli la sua vera natura e faccia mostra della perla che è. Altri invece potrebbero fermarsi una volta capito che non si scherza più e servirà ingegno e malignità per vincere la sfida.

Fuori dal labirinto

Shadow Labyrinth è un tripudio a quanto c’era di bello nel secolo precedente, un omaggio alla costruzione tipica (e folle) dei giochi che imperversavano nei bar e nelle sale giochi dell’epoca. Offre tanto divertimento e tanti smadonnamenti, più di quelli che ci si aspetterebbe da un rilancio per un personaggio, ma tant’è. Con 20 ore di campagna principale, e tante altre a mettervi alla prova qualora siate dei veri completisti a caccia di trofei, c’è di che averne a che fare per un mese e forse qualcosa di più.

Al netto dei difetti, che possono essere elencati come l’assenza di un vero sistema di checkpoint adeguato alla sfida che si sta vivendo, la colonna sonora, talvolta in netto contrasto con le situazioni (distopica e disturbante – scelta voluta?) e la struttura della trama che vuole a tutti i costi ricalcare quella di uno shonen giapponese, il nocciolo della questione tuttavia pare essere un altro: questa coraggiosa rivisitazione di un classico, che va a sovvertire genere e serie in modo radicale, piacerà? Ebbene Bandai Namco ci ha messo tutto il coraggio, senza farsi parlare dietro da nessuno. La risposta saprà darcela solo il pubblico ma per ora, quello che c’è convince e non poco.

Shadow Labyrinth
Ottimo 8.5
Voto 8.5
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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.