L’evoluzione è un concetto che ha caratterizzato l’umanità sin dai tempi della preistoria: sin da quando il fuoco era una novità e non una consuetudine, sin da quando le religioni si stavano intersecando nella vita quotidiana e sin da quando la caccia alle strege era un pò come quella al cinghiale di oggi, con la piccola differenza che le vittime, tra tutte l’eroina Giovanna d’Arco, morivano arse vive e non vedevano la propria foto esposta su Instagram a mò di trofeo. L’evoluzione è quindi una costante per l’uomo e, probabilmente, vede la sua ultima massima espressione nella tecnologia: l’invenzione dello smartphone è probabilmente quella di uso comune più importante degli ultimi quindici anni, con l’iPhone che in 10 anni scarsi di vita ha superato il miliardo di unità; cifra da capogiro, che rendono l’idea di quello che la società moderna è diventata e richiede fortemente per la vita di tutti i giorni.
Qui però siamo su un sito che tratta videogiochi, e dunque è lecito parlare di evoluzione legata a tale argomento; personalmente parlando sono circa 20 anni che videogioco e, in questo lungo periodo di tempo, ho visto cose che una volta credevo impensabili. Sembra assurdo pensare che esattamente 30 anni fa usciva il primo Final Fantasy per NES che, confrontato con l’ultimo meraviglioso quindicesimo capitolo, fa comprendere appieno il divario evolutivo incredibile che è stato colmato col progredire. Di tutti queste generazioni videoludiche ce ne è una che mi fa immediatamente pensare al progresso e all’evoluzione: il passaggio alla settima, quella dell’arrivo di PS3 e Xbox 360 per capirci; l’arrivo in pianta stabile dell’online, il boom di fps multiplayer, le console con capienti Hard Disk e, per concludere, l’esplosione dei titoli sandbox, consacratasi poi con l’ottava generazione. Ed è proprio di questi ultimi che vi voglio parlare nel dettaglio, analizzando e comparando un titolo “made in Japan” del genere: la serie Yakuza.
I titoli sandbox sono giochi dalla fortissima componente esplorativa: pieni di cose da fare, da vedere e da videogiocare, essi vedono la massima espressione nel mercato occidentale. A partire da titoli più semplici ma dal successo planetario, come Minecraft e Terraria, sino ad arrivare ai giganteschi tripla A Bethesda, il genere gode di spropositata linfa in questa settima generazione, coronata alla perfezione da sua maestrà GTA V e affini. Rockstar è dunque la principale artefice di un genere oramai consolidato, fonte di ispirazione di titoli quali Saints Row, Just Cause e il più recente Watch Dogs. Dall’altra parte del pianeta il genere vede la sua principale risposta nella sopracitata serie Yakuza, titolo di SEGA giunto oramai al sesto capitolo principale. La serie che vede protagonista Kazuma Kiryu è un chiaro esempio di “occidentalizzazione” da parte del mercato giapponese, proponendo un titolo sanbox pieno di cose da fare; guai però a paragonare Yakuza ad un Watch Dogs o ad un Saints Row, come potrebbe fare una persone poco esperta o documentata: il titolo SEGA è un esempio sopraffino di occidentalizzazione, di un eleganza fuori dal comune e soprattutto fuori dai canoni di un, seppur divertente, Just Cause.
La storia del drago di Dojima è una storia di onore, di rispetto, di amore e di amicizia; Kazuma Kiryu non è un Rico Rodriguez qualsiasi: il personaggio si evolve durante le vicende e durante i capitoli, mostrando lati di se che nemmeno conoscevamo. La storia è dunque centrale nel titolo SEGA e, nonostante le numerosissime cose da fare nel titolo, non viene minimamente mai decentrata ne sottovalutata: essa viene infatti enfatizzata anche da numerose attività accessorie, spesso strettamente collegate al nodo centrale della vicenda. La mappa del titolo non è minimamente paragonabile ai colossi Rockstar ma, al tempo stesso, risulta stracolma di dettagli e finezze: strade strapiene di gente, biciclette parcheggiate, fiori di ciliegio e un’architettura inconfondibile saranno il perno del quartiere fittizio di Kamurucho, controparte videoludica di Akihabara; quartiere che ospiterà gran parte delle missioni principali del titolo, con l’obiettivo di scoprire la verità sul Tojo Clan. Anche le missioni secondarie non tradiscono lo spirito orientale del titolo, con una moltitudine di cose da fare strettamente legate al contesto di gioco: la possibilità di giocare a Virtua Fighter V e a Puyo Puyo in sala giochi, di cantare al Karaoke e di vivere appuntamenti simulati allo Stardust, la possibilità di giocare a Baseball al chiuso e di pescare all’orfanotrofio di Okinawa sono tutte cose che non tradiscono minimamente lo spirito giapponese e patriottico del titolo, ma anzi lo sublimano ulteriormente.
Yakuza è forse il più precoce e cristallino esempio di occidentalizzazione videoludica, poiché nato già ai tempi di PS2, ma al tempo stesso il più elegante; un titolo a cui non servono armi, automobili e soldi per divertire, un titolo fiero di essere nipponico, di nicchia e al tempo stesso per tutti, che punta su una storia forte e su legami che solo la tradizione del sol levante sa raccontare in modo così emotivamente importante; un titolo che sa far parlare di se e che siamo certi lo farà ancora per molti anni, lasciando qualcosa di grande dentro ad ogni capitolo di gioco. E se nel mentre Final Fantasy XV fa il percorso inverso, convergendo su un gameplay tendente al mondo occidentale e abbandonando gli storici e caratteristici turni, Yakuza di SEGA non pensa minimamente di cambiare rotta, continuando per quella via che magari non gli permetterà di fare vendite stratosferiche in Europa e America, ma che gli permette di mantenere un senso di patriottismo e unicità che solo in pochi sanno apprezzare. D’altronde, con un’inspirazione come Shenmue era difficile sbagliare direzione…