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Wolfenstein: Youngblood – Recensione dello spin-off cooperativo di Bethesda

Non sono un grande fan degli spin-off: spesso perdono di vista quel qualcosa che rendeva interessante in prima battuta il gioco, trasformandolo in una produzione ibrida, non capace di prendere una posizione. Eppure talvolta alcune idee possono davvero portare novità in un brand (che già funziona di suo), accontentando i fan senza però dover a tutti costi produrre un terzo capitolo in fretta e furia. Uno di q uesti piacevoli casi è quello di Wolfenstein: Youngblood, gioco sviluppato da MachineGames e pubblicato per Bethesda, che sebbene non sia perfetto sotto ogni punto di vista, riesce a farsi carico del nome che porta e ad offrire un’esperienza di buon livello.

Vent’anni dopo

È proprio dopo due decenni che la trama riparte: dopo aver sconfitto gran parte dei nazisti, Blazkowicz e Anya possono crescere le loro due figlie, Jessica e Sophia. Eppure nel 1980, di colpo, l’eroe scompare: parte quindi l’avventura delle due ragazze, pronte a salvare il padre insieme all’aiuto di Abby, figlia di Grace Walker. La trama, semplice ma efficace, si dipana in un racconto capace di sorprendere nonostante tutto. La storia costruita sulle due figlie è valida, interessante da scoprire e utile per ampliare l’ambientazione di Wolfenstein. Spostandoci in Europa, ci troveremo di fronte ad una cura estetica veramente ottima, proponendoci dei paesaggi e delle costruzioni allo stesso tempo tecnologiche e credibili. Riusciranno le due ragazze ad andare fino in fondo?

Guns are not toys

Ciò che però riesce fin dai primi momenti a guadagnare di prepotenza lo scettro di miglior caratteristica, è senza dubbio il gunplay: in un mix di comunicazione e azione, questo risulta eccezionale in tutte le occasioni – azzarderemmo a dire quasi perfetto – senza lasciare mai da parte l’adrenalina. Attenzione, adrenalina e “caos” sono cose ben diverse, tanto che mai ci troveremo davanti a dei gunfight scomposti, e l’equilibrio che si crea è uno gei cardini del gameplay.

A questo va aggiunta una profondità non da poco: è vero che la struttura delle mappe e dei combattimenti da ampia manovra alle vostre partite, ma a rendere il tutto ancora più “vostro” e personalizzabile è senza dubbio il sistema di modifiche e abilità. Durante le carneficine che faremo in game, acquisteremo esperienza, con la quale saliremo di livello e otterremo dei punti abilità, che potremo distribuire come meglio crediamo e adattandole alle nostre esigenze. Questo aspetto è da non sottovalutare, perché trovandoci di fronte ad un titolo cooperativo, le possibilità per specializzarsi in determinate azioni o situazioni sarà fondamentale per esercitare non solo la nostra potenza di fuoco, ma anche quella strategica. La scelta, sarà tutta nostra. Anche il denaro avrà un ruolo fondamentale, perché le modifiche alla nostra attrezzatura e alle armi saranno acquistabili tramite moneta sonante, e si sa che senza delle bocche di fuoco all’altezza… la nostra partita è destinata a finire molto presto. Come per le abilità, personalizzare ad hoc le armi sarà un banco di prova intrigante per formare il tag team vincente.

Le basi della collaborazione

In termini pratici, il gioco spinge forte sulla componente cooperativa: molte cose saranno da fare in coppia, dando al titolo una marcia in più se giocato con un compagno. Una funzione di matchmaking potrà aiutarvi nel caso foste soli. Dal punto di vista pratico, il gioco sfrutta il gameplay visto nelle precedenti iterazioni, aggiungendo però una progressione lenta, che porta il giocatore a “scegliere obbligatoriamente” quale stile di gioco utilizzare. Tutte le abilità standard, col tempo, saranno però sbloccabili: portare due armi, oppure imbracciare un’arma pesante, diventeranno verso metà gioco (sempre pagando con la valuta in game i potenziamenti) cose fattibili persino per Jessica e Sophia. A far perdere quella “magia” presente nelle circa 7 ore di gioco per completare l’esperienza, arriva un’intelligenza artificiale che, se giocheremo da soli, risulta abbastanza deficitaria.

Il titolo inoltre opta per una mappa ben più aperta, una forte componente di backtracking e delle missioni secondarie che vi porteranno a trovare sempre nuovi escamotage per crivellare nazisti nel modo più pratico possibile. Nel caso perdita di tutti i punti vita, un giocatore potrà essere soccorso dall’altro (oppure spendere una vita condivisa per rianimarsi. La parte che però abbiamo gradito maggiormente, è legata all’intero level design: ad esempio, finiamo a trovarci di fronte a location strutturate finemente e legate tra loro, aprendo sbocchi di gameplay da non sottovalutare, estendendosi verticalmente molto più dei titoli precedenti quasi fosse un Dishonored senza poteri (non a caso il nome di Arkane Studios ha fatto capolino nei titoli di apertura). Le zone sono collegate tra loro, ma affrontabili spesso da più punti di entrata e sottolineando una spiccata libertà di approccio. Stilisticamente arriva la ciliegina, con ad esempio le strutture presenti in d una Neo Parigi ben rifinite e con uno stile da rimanere a bocca aperta.

L’inizio della fine

Come Old Blood, questo Wolfenstein: Youngblood si presenta con un buon biglietto da visita: di certo più che solamente uno spinoff, e di certo un ottimo modo per spingere verso il terzo capitolo della serie. Anche questo piccolo aspetto non è da sottovalutare, perché – soprattutto dopo i pessimi DLC che hanno minato il buon nome di Wolfenstein 2 – la cosa più importante per il futuro sarà chiudere in bellezza la trilogia di Blazkowicz.

Wolfenstein: Youngblood

8

Con un Gunplay estremamente curato e un level design da capogiro, Wolfenstein: Youngblood si rivela un titolo validissimo, soprattutto in cooperativa. Il riscaldamento perfetto attendendo che la trilogia dedicata a Blazkowicz volga al termine con il prossimo titolo in sviluppo. Tuttavia a minare un'esperienza davvero ottima, arrivano un'IA deficitaria se si gioca in single player, e una longevità generale scarsa, che si aggira intorno alle 7 ore di gioco.

Simone Lelli
Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.

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