Bethesda e Nintendo vanno davvero d’accordo: a dimostrarlo, la sequela di tripla A che sono stati rilasciati per la console ibrida. Dopo aver visto la luce The Elder Scrolls V: Skyrim (ormai uscito per tutte piattaforme possibili) e Doom, Wolfenstein II segna definitivamente una partnership di alto livello, che Nintendo non vedeva dal GameCube. A studiarne e attuarne la trasposizione da versione originale a portatile è stata Panic Button, software house del Texas, che ha compiuto il miracolo, avvicinandosi di molto al titolo originale, attuando compromessi tecnici che hanno favorito il gioco, più che il contrario.
Rinfreschiamoci la memoria
Abbiamo già giocato Wolfenstein II su PlayStation 4, ma per sicurezza rinfreschiamoci la memoria: riprenderemo i panni di B.J. Blazkowicz, rinominato dai nazisti come Terror Billy. L’intrigante trama ci porterà a scoprire cosa è successo esattamente dopo il primo capitolo, reboot della serie uscito a cavallo tra vecchia e nuova generazione, che purtroppo non è arrivato su Nintendo Switch. Nonostante la leggerezza intrapresa per trattare i temi del nazismo e del totalitarismo, l’intrattenimento regalato dal susseguirsi degli eventi risulterà piacevolmente comprensibile e divertente da vivere sulla propria console portatile.
L’esperienza di gioco sarà praticamente la stessa vissuta sulle altre piattaforme, senza perdere nessuna parte del contenuto proposto. Panic Button ha così creato una versione del gioco che sì, sicuramente perde tutto ciò che lo rendeva un titolo d’alto livello qualitativo in termini tecnici, ma nonostante tutto riesce a farci immergere in un fil rouge action che ci costringerà a concludere il gioco il più velocemente possibile, per riuscire a scoprire come prosegue la storia e cosa questi nazisti pazzi si inventeranno per sconfiggere Terror Billy.
Controlli e problemi
In termini pratici, i controlli su Joy-Con non sono sempre perfetti, anzi. E’ rinomato come i controller di Switch abbiano creato un compromesso, diminuendo l’ergonomia in cambio di una dimensione ridotta. Questa problematica si presenta prepotentemente su Wolfenstein II, perché la freneticità del gioco richiederà una velocità di reazione maggiore di quella concessa dai Joy-Con. Naturalmente il Pro Controller arriva come sempre a salvare la situazione, riducendo tutte le problematiche a zero. Carina l’idea inoltre di sfruttare i sistemi di puntamento con giroscopio dei Joy-Con, nonostante rimanga soltanto un piccolo plus, più che un’esperienza di gioco diversa. Come tutti i giochi per Nintendo Switch, soprattutto se parliamo di porting, il comparto tecnico si riduce di un po’ per la versione portatile, ma perde molto (soprattutto in termini di risoluzione) sulla versione docked. Pregio e terrore di Wolfenstein II si trova insito nell’idea che forse, con l’avventura di Blazkowicz, ci troviamo davanti il più alto punto tecnico raggiungibile dalla console. Se questo dà molto vanto al titolo in questione, esalta troppo i limiti massimi di una console con soli 2 anni di vita. Nonostante tutto, Wolfenstein II riesce a raggiungere a stento i 720p (scendendo alcune volte a 576p, soprattutto in fasi belle intense), ma in compenso si blocca con gli fps a 30, scendendo raramente sotto di essi.
Più portatile per tutti
Wolfenstein II in realtà porta con sé un grande fardello: l’idea di trasporre titoli per la console Nintendo, nonostante il livello hardware non al pari delle sue competitor, diventa un obbligo ormai per molte aziende, soprattutto per la sua base installata. Molti porting, però, perdono l’anima che avevano per favorire delle feature che in primis non interessano ai possessori di console, e che in secondo luogo risultano secondarie a quello che un gioco dovrebbe davvero portare: gameplay.
Bethesda, Panic Button e Wolfenstein II sono un trittico che, partendo dall’idea, passando per l’esecuzione fino alla produzione finale, mostra come siano altri gli elementi da ridurre. Alla fine, Wolfenstein II su Switch perde di grafica, risoluzione, ha delle luci meno curate, texture poco dettagliate e vari problemi di pop-up: eppure è uno dei migliori giochi usciti per la console Nintendo perché nella parte giocata, vero cuore di un videogioco, riesce a consegnare lo stesso messaggio della produzione originale. Insomma, non sempre è importante la forma, quanto il contenuto.