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Trofei e obiettivi: il modo in cui ci hanno cambiato come videogiocatori

E’ sempre affascinante riflettere sul modo in cui determinati elementi appartenenti all’ambito del consumo, o comunque sia del commercio, riescano in un certo qual modo ad elevarsi, arrivando a rappresentare un qualcosa di totalmente differente dalle loro origini. Partendo proprio dall’attitudine comune di proiettare le proprie emozioni e sentimenti sugli oggetti, si originano tutta una serie di riflessioni e ragionamenti sulle possibilità interpretative dell’essere umano, il quale riesce – attraverso la propria individualità – a tradurre qualsiasi cosa reinterpretandola a livello etimologico. Tutto ciò avviene anche con i videogiochi, ovviamente, e curiosamente anche con i loro elementi caratteristici, come i trofei e gli obiettivi. Questi, nel corso degli anni, sono diventati un elemento imprescindibile della fruizione generale, arrivando anche a trasformarsi da aspetto aggiuntivo a vera e propria definizione identitaria, non soltanto del medium ma di una precisa tipologia di giocatore.

Trofei

Fin dalla loro comparsa con PlayStation 3 e Xbox 360, i trofei e gli obiettivi hanno immediatamente trasformato la concezione generale di completismo, trascinandolo in nuove radure, fino ad allora forse ancora inesplorate. La volontà di completare un titolo al 100% ed oltre, ovviamente, non era affatto un qualcosa di inedito all’epoca o di mai visto. Moltissimi appassionati, da sempre, si prodigano in imprese del genere. Basti infatti pensare, ad esempio, alle interminabili ore spese su videogiochi come Spyro o Crash Bandicoot, a raccogliere gemme per sbloccare percorsi o interi livelli bonus, oppure ad approcci in stile Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, in cui il giocatore aveva la possibilità, una volta scoperto, di raccogliere tutte le targhette identificative dei vari nemici; per il semplice gusto del collezionismo. Come non citare poi il terzo capitolo dell’omonima saga, nel quale bisognava scovare le celeberrime ed odiatissime Kerotan, simpatiche ranocchie giocattolo sparse in tutto il gioco, anche nei momenti di trama più impensabili, da colpire per ottenere alcuni premi unici.

L’evoluzione dei Trofei, dai segreti alle speedrun

Se un tempo si lottava per i punteggi più alti e irrealizzabili, successivamente l’attenzione si è sempre più spostata verso i segreti e le sfide impossibili, fino alle percentuali di completamento complesse. I videogiochi, da sempre, si basano sulla competitività e sulla voglia di esplorare, di imparare. Ecco che partendo da tutto ciò, forse proprio in seguito a uno studio sociologico in merito a queste attitudini già esistenti, sono stati introdotti i trofei. Questi da un lato hanno condotto a una reinterpretazione della fruizione stessa del medium, con un incremento dell’impegno generale, e dall’altra ad attitudini che trascendono i limiti della dimensione privata, approdando in sviluppi sociali affascinanti.

Esistono varie tipologie di trofei, o di obiettivi, da svolgere per giungere al premio finale (con Playstation si tratta del celeberrimo platino). Ci sono titoli, ad esempio, che richiedono più run, ovvero la necessità di ricominciare daccapo a determinate difficoltà per determinati obiettivi, ma si parla anche dei collezionabili, oggetti sparsi in tutto il gioco, magari posizionati in luoghi segreti nascosti ed impensabili, difficili da raggiungere o vedere (questo è uno degli elementi più classici del medium, presente anche in titoli più anziani, funzionale a prolungarne la fruizione temporale). Non mancano poi le speedrun, ovvero delle partite dove ogni millisecondo conta, in quanto specifici trofei richiedono delle tempistiche di completamento per i vari obiettivi particolarmente serrate. Ci sono infine le sfide che richiedono il multiplayer obbligatorio, con una gigantesca incognita: gli altri giocatori, e ad aggiungere un po’ di pepe troviamo anche i cosiddetti trofei segreti, scovabili con la pazienza e la curiosità, o tramite l’utilizzo di guide appositamente realizzate.

TrofeiTutto ciò ha inevitabilmente impattato sui giocatori, sugli appassionati, non soltanto dal punto di vista del videogiocare in sé, anche perché non si tratta di un qualcosa di obbligatorio, ma da un punto di vista puramente sociale. Ad incrementare questo fenomeno, ovviamente, ha contribuito l’evolversi dell’ambito comunicativo in generale, con i vari social network. Attraverso questi, gli appassionati hanno cominciato a confrontarsi, a paragonare i propri risultati, ingigantendo le tipiche dinamiche che alle origini restavano imbrigliate nel contesto delle sale giochi. Ecco che i trofei sono diventati qualcos’altro, il concetto stesso è tornato nei territori della fruizione primordiale del medium, approfondendola, rielaborandola e rendendola iconografica. La riconcettualizzazione dei trofei e degli obiettivi ha quindi portato a nuove costruzioni sociali, a concezioni inedite del significato della parola videogiocatore, spingendo alla nascita di una vera e propria categoria a parte, che ha molto in comune con i primissimi pionieri del medium.

Il percorso verso la perfezione

Non è difficile trovare sul web gruppi di appassionati di queste dinamiche, i cosiddetti “cacciatori di trofei, che concentrano tutte le loro forze ed orgoglio proprio in questa ricerca della perfezione numerica (legata anche al vedere evolversi il proprio profilo personale sulle varie console, o PC), adesso connessa anche a terminologie lessicologiche precise come “Platinare. Il collezionare i cosiddetti platini, i trofei finali risultato della raccolta di tutti gli altri trofei, è l’esempio più tipico del fenomeno, con persone che hanno elevato questa particolare terminologia trasformandola in verbo, in un vero e proprio status simbol. Il numero di platini definisce inevitabilmente e immediatamente che tipo di giocatore sei, anche se il valore sociale cambia di gioco in gioco, di sfida in sfida.

Alcuni platini in specifiche community, ad esempio, da soli valgono l’ammirazione di tutti gli altri appassionati. In quella di Bloodborne, per citarne uno su tutti, si parla spesso del platino legato al titolo e del premio legato allo stesso. Ottenendo tutti i trofei del gioco il giocatore può richiedere un tema speciale a testimonianza dei suoi sforzi e del suo valore, che ha acquisito nel tempo un valore che trascende il semplice concetto di completismo. Sono questo genere di espedienti a impattare sulla concezione di queste dinamiche, partendo magari da obiettivi completamente differenti da parte degli sviluppatori. Resta il giocatore stesso a legarsi, in un certo qual modo, a questi particolari, attribuendo loro dei significati che trasformano e reinterpretano, conducendo anche alla genesi di vere e proprie “storie” personali – poi condivise sul web – oppure di gruppi che si organizzano finalizzando tutti i loro sforzi verso il loro ottenimento, deviandone ancora una volta il senso originario e conducendo ad atteggiamenti sociali inediti.

Trofei

In questi giorni si è tornati a parlare proprio dei trofei in relazione ad alcuni leak non ufficiali che vedrebbero, su Playstation 5, una mutazione dei trofei stessi e del loro peso. Alcune speculazioni suggerirebbero che dalla prossima generazione questi non soltanto verranno sbloccati secondo parametri nuovi, ma che il loro ottenimento condurrà a dei premi particolari, forse anche in-game. Certamente tutto resta vago, ma le risposte generali degli appassionati, e le loro paure, soprattutto nei confronti di alcune potenziali scelte che potrebbero essere prese (obbligo di grinding, o di affrontare alcune sfide), restano affascinanti. Si tratta del risultato tangibile di un cambiamento iniziale all’interno del medium, ora vissuto quale dinamica indelebile, ma comunque sempre legata alla dimensione della possibilità non obbligatoria.

Cosa bisognerà aspettarsi, dunque, dal futuro? Quali cambiamenti ulteriori potremmo vedere applicati al medium? Le potenzialità mutative dei videogiochi, e del loro mercato, restano molteplici, e con loro anche le possibilità responsive degli appassionati che sicuramente si troveranno a dover affrontare qualcosa di nuovo, che sia con questa nuova generazione o con le prossime. Restano quindi questi ultimi il reale “fil rouge” che collega ogni cosa, portando alla genesi di una vera e propria cultura commerciale che nel corso degli anni ha saputo reinventarsi sotto vari aspetti. La sua identità originaria non è però mai svanita, quasi fosse una voce che delicatamente riecheggia in ogni sviluppo, in ogni passo avanti, un marchio di fabbrica che definisce non soltanto noi, ma anche il mercato stesso. É il mercato a muoversi conseguentemente al giocatore e alle sue esigenze.

Nicholas Massa
Adora i videogiochi e il cinema fin dalla più tenera età e a volte si ritrova a rifletterci su... Forse anche troppo. La scrittura resta un'altra costante della sua vita. Ha pubblicato due romanzi (a vent'anni e venti quattro) cominciando a lavorare sul web con varie realtà editoriali (siti, blog, testate giornalistiche), relazionandosi con un mondo che non ha più abbandonato.

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