The Warrior: The Iron Claw è un film complesso: girato dal quarantaduenne statunitense Sean Durkin (The Nest – L’inganno) e basato su una storia vera che coinvolge una famiglia americana. Il film è uno di quelli che probabilmente guarderete una sola volta nella vita, sebbene è giusto sottolinearne l’importanza storica, che arriva quasi al bio-picture per i temi trattati: la rilevanza della famiglia Von Erich. Scoprirete tutto ora nella nostra recensione senza spoiler.
The Iron Family
La storia di The Iron Claw (l’artiglio di ferro) parte verso la fine degli anni cinquanta, dove Fritz Von Erich (Holt McCallany) conduce la vita del wrestler in leghe minori, puntando al titolo mondiale e cercando di “svoltare” la sua vita. Di colpo ci troviamo venti anni dopo, a cavallo tra il 1979 dove i figli di Fritz stanno cercando di ricalcare le orme del padre.
Il protagonista di questa storia è senza dubbio Kevin Von Erich (Zack Efron), il maggiore dei quattro fratelli, ciascuno impegnato a costruire una sua carriera, che sia quella dell’atleta professionista attendete alle olimpiadi, al cantante, e ovviamente calcando il ring del wrestling. Kevin sembra il più promettente dei Von Erich sebbene abbia non poche problematiche relazionali date dall’impostazione familiare.
Senza andar oltre i confini della trama, vi diciamo che tutto ruota attorno alla famiglia Von Erich ed al rapporto disfunzionale che i 4 fratelli hanno con con i genitori: nulla di troppo articolato o mai visto prima, per carità, ma va sottolineato come fossero la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, un’epoca di eccessi dove droga e alcol potevano essere strumenti facilmente reperibili.
Dentro e fuori il ring
The Iron Claw è un film su una famiglia impegnata attivamente nella crescita dello sport che è “il più duro di tutti” (o così vogliono farci sembrare), ovvero il wrestling: ambientato in Texas, presso lo Stato della Stella Solitaria, va detto che incarna tutti i valori di quella terra che noi europei immaginiamo: grandi famiglie, grandi spazi, un ranch con animali e molto spazio per la famiglia di cui parliamo.
Esteticamente Sean Durkin ci regala un film pulitissimo, con scene perfette ed una fotografia che non lascia spazio all’interpretazione, perfino quando si tratta di riprendere scene di lotta sul ring, in un contesto dove la luce non era certo quella di oggi.
Zack Efron è quasi irriconoscibile, ed altrettanto immenso in termini di recitazione: sembra un body builder in età avanzata, indubbiamente entrato a pieno titolo nel personaggio, sebbene abbia probabilmente esagerato con gli anabolizzanti. Efron, al pari del suo personaggio, dimostra una crescita attoriale fenomenale, ed è probabilmente la sua migliore interpretazione di sempre.
L’interpretazione di Efron porta avanti tutto lo show anche quando non parla molto, ma esprime con gli occhi quello che il suo personaggio prova: The Iron Claw è un film capace di entrarti dentro, di stringerti nella morsa di questo artiglio di ferro che non ti lascia andare e che, probabilmente, ti condurrà all’oblio. Sul ring si vive la gloria e il divertimento, fuori da quelle quattro corde elastiche c’è l’avversario più duro: la vita e i rapporti umani che ne conseguono.
Vincere o perdere
In The Iron Claw di Sean Durkin si vince anche quando si perde. Come sappiamo, il film è tratto da una storia vera, come è vera la famiglia Von Erich e il fatto che sia entrata nel 2009 di diritto nella Hall of Fame del Wrestling per aver di fatto contribuito in maniera significativa alla crescita di questo sport che mobilita milioni di persone (e di denaro ovviamente).
È un film molto americano, con tutti gli stilemi del caso, sia per il modo in cui la famiglia Von Erich gestisce i propri rapporti e le dinamiche familiari, sia per il concetto di “vittoria”, che per alcuni è una cosa materiale come una cintura del campionato mondiale, per altri è una grande famiglia unita.
“Un uomo non piange”: è con questa premessa che Kevin Von Erich conduce la sua vita fino ai 40 anni quando, in un discorso con i suoi figli, cambia completamente punto di vista, rendendosi conto che gli insegnamenti che gli sono stati impartiti erano sì giusti, ma non sempre.