The Lodge – Recensione, tra morte, follia e cliché

Quando Grace resta bloccata in una tempesta di neve, il suo passato tornerà a tormentarla, più vivo che mai. Ecco la nostra recensione di The Lodge

Andrea Manca
Di Andrea Manca Recensioni Lettura da 6 minuti
4.5
The Lodge

Il duo di registi Severin Fiala e Veronika Franz, che ha impressionato la critica con Goodnight Mommy, torna con un nuovo horror/thriller psicologico incentrato questa volta sulla fede, la follia e la morte, concentrandosi su tre soli personaggi nello spazio di una casa e sulla loro convivenza forzata. Ripetendo lo stesso ciclo nel quale due ragazzi si scontrano con un adulto, il duo cerca di raggiungere nuovamente il successo della precedente pellicola, la quale vedeva una madre “affrontare” i propri figli gemelli; questa volta la figura da attaccare, per i figli, sarà però la nuova compagna del padre. Rischiando di rendersi monotoni, i due registi hanno quindi deciso di lanciare la loro scommessa nella speranza di avere la meglio. Noi di GameLegends siamo andati a vederlo in anteprima per capire se sono riusciti nell’impresa o meno.

Un passato che non vuole andarsene

Dopo la morte dell’ex moglie (Alicia Silverstone), Richard (Richard Armitage) organizza un weekend in montagna con i figli (Jack Martell e Lia McHugh) e la nuova compagna (Riley Keough), unica sopravvissuta di una setta religiosa. Nonostante i due la odino apertamente, le ostilità tra i familiari passeranno in secondo piano quando verranno sorpresi da una tempesta di neve, mentre il passato di lei tornerà a tormentarla ed un’oscura presenza si farà strada all’interno della casa.

Alla seconda collaborazione, Fiala e Franz cercano di riprendere il successo del loro primo lavoro con un risultato non proprio soddisfacente; la trama, infatti, è basilare e indirizzata verso un unico filo logico che non permette allo spettatore il dubbio sullo svolgimento futuro del film, cosa che un prodotto incentrato sul fattore psicologico come questo dovrebbe quanto meno provare a fare. Tutto ciò a cui assistiamo da l’impressione di essere un qualcosa di già visto o già affrontato in altre pellicole; colpi di scena, ambientazioni e tecnicismi di macchina ricadono in cliché usati più e più volte nell’ambito horror, lasciando poco spazio al fattore thriller se non giusto in quelle fasi in cui non si poteva fare altrimenti. Filtri freddi e spenti cambiano tonalità di blu dall’interno all’esterno della casa come da manuale con le piccole eccezioni dei momenti in cui il film ti avverte che sta per succedere qualcosa aggiungendo una tonalità grigia totalmente superflua. La fotografia non si sbilancia né rischia rimanendo fedele al concetto d’horror psicologico con riprese strette su dettagli o zoom lenti incalzati dal crescendo della colonna sonora, anch’essa piuttosto ovvia, con violini distorti sempre incentrati sul crescendo con quasi totale assenza di un basso d’appoggio.

Silenzi eloquenti

Punto forte del prodotto sono gli attori, interpretazioni d’eccezione che spingono molto il film. Tra semplici sguardi e con i dovuti silenzi riescono ad empatizzare con il pubblico, rivelandosi capaci di trasmettere ogni tipo di sensazione ed emozione con una semplicità disarmante; unica pecca la traduzione italiana che va a sfumare l’importanza di determinati dialoghi – già molto pochi – con frasi dette con estrema superficialità o, al contrario, con gravosità fuori da un contesto specifico. Con il passare dei minuti, nella pellicola vanno configurandosi personaggi caratterizzati particolarmente bene, sopratutto quello di Grace e la sua ricaduta in un passato ormai, a suo dire, dimenticato. Nel film non mancano di certo i riferimenti, come quello della setta menzionata in precedenza, rappresentante infatti un richiamo alla celebre Heaven’s Gate, setta realmente esistita nel 1997, nella quale avvenne uno dei più grandi suicidi di massa della storia, con ben 39 persone che si tolsero la vita per la loro fede.

Un horror/thriller psicologico come tanti altri, insomma, non eccezionale ma nemmeno molto sotto la media. Merita sicuramente una seconda visione non tecnica per recepire meglio le varie sfaccettature della psicologia intrinseca che cerca di rivolgere allo spettatore, che con non poche difficoltà riuscirà a capire. Le premesse dei due registi sono sotto molti punti di vista buone ed altrettanto valide, con qualche accorgimento al comparto operativo, in quanto quello tecnico e già dì per sé molto avanzato; sicuramente con un budget più sostanzioso sarebbero in grado di dar vita a qualcosa di estremamente inusuale ed interessante, senza dimenticare che sono alla seconda collaborazione e al secondo lungometraggio. Sono sicuramente da tenere d’occhio e da seguire, sempre che riescano a deviare dal filone “ragazzi contro adulti”, che alla lunga potrebbe iniziare a risultare stantio; si aspetta molto volentieri e con non poca curiosità il loro prossimo lavoro.

The Lodge
4.5
Voto 4.5
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