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The Dark Pictures Anthology: House of Ashes – Recensione, benvenuti all’inferno

La volontà è una bussola che gira nei recessi dell’ignoto. Questa è una delle frasi con cui ci accoglierà Il Curatore nei primi minuti di gioco, e già da sola riesce a rendere ben chiara la situazione. La recensione che vi proponiamo oggi è quella di The Dark Pictures Anthology: House of Ashes, terzo titolo della collana di avventure grafiche interattive a tinte horror sviluppato da Supermassive Games e pubblicato da Bandai Namco. Dopo un traballante Man of Medan, e un più convincente Little Hope, stavolta ci spostiamo  più ad est sulla cartina geografica, in particolare nel territorio mesopotamico che nella storia ha fatto da culla a diverse civiltà. Come tutti titoli della Dark Pictures Anthology infatti, anche House of Ashes prende ispirazione da fatti o luoghi realmente esistiti, e che stavolta hanno radici molto più nel passato, radici profonde… in tutti i sensi.

Il mito sumero

La Mesopotamia è stato uno dei territori più ricchi del mondo antico, che tra due fiumi garantiva alle varie civiltà sia collegamenti, sia fertilità. In questi territori, dove si trova l’odierno Iraq, hanno vissuto seimila anni fa popolazioni importantissime dal punto di vista storico, tra cui i Sumeri. Il luogo sotterraneo dove si svolgerà gran parte delle vicende narrate è un tempio, che stando al mito è sprofondato nel sottosuolo come punizione divina verso l’impero di Akkad e il suo sovrano Naram-Sin (come vi abbiamo spiegato nel dettaglio durante il gameplay reveal), figura storica esistita circa 2250 anni Avanti Cristo. Tutto ciò che però si nasconde all’interno del tempio è ben diverso da quello che ci si può aspettare in principio… e l’avventura dei cinque personaggi che guideremo sarà una lunga discesa verso l’inferno.

Il nemico del mio nemico

Questa volta la trama del gioco ha un anno di svolgimento ben preciso, ovvero il 2003 al termine della guerra in Iraq. Dopo un breve prologo ambientato nel passato durante l’impero di Naram-Sin, verremo quindi catapultati ai giorni nostri, dove l’esercito degli Stati Uniti e la CIA hanno occupato un edificio a ridosso del territorio nemico che fungerà da base per le operazioni. Come ci è stato già anticipato dai vari trailer, lo scopo della missione è quello di individuare ed assaltare un deposito di armi chimiche di Saddam situato nel sottosuolo. Nei primi minuti di gioco andremo quindi a fare la conoscenza dei nostri personaggi, ancora ignari della piega disastrosa che prenderanno gli eventi. Senza entrare troppo nei dettagli per evitare eventuali spoiler sulla trama, sappiate che non c’è nulla da dare per scontato, partendo dall’entità della minaccia che incontreremo nel sottosuolo, fino alle scelte che potremo/dovremo fare per collaborare e salvare la pelle.

Uno dei temi principali trattati dalla trama di House of Ashes, e che fa da fulcro alla recensione, è senza dubbio il concetto di “amico e nemico”, concetto che in situazioni estreme è a dir poco delicato, con alleanze improbabili pronte a formarsi e a rimanere salde, o altre già esistenti che possono sgretolarsi come terreno instabile. È per questo che ad avere un ruolo centrale non saranno solo i soldati americani, ma anche i personaggi secondari e comprimari che per la prima volta potrebbero cambiare le vicende in modo pesante.

I personaggi di cui prenderemo il controllo saranno il Tenente Colonnello Eric King, a capo delle operazioni, Jason Kolchek e Nick Kay, due marine estremamente addestrati che ricoprono rispettivamente i gradi di Tenente ricognitore e Sergente ricognitore, Salim Othman, Tenente Iracheno, e Rachel King, Agente operativo della CIA interpretato dalla guest star Ashley Tisdale alla sua prima performance in un videogioco.

Va da sé che al concetto di nemico e amico venga quindi affiancata una situazione socio politica particolare, con accenni sia all’attentato dell’11 settembre, sia ad altre situazioni di tensione che la guerra può portare a vivere, anche dal punto di vista di un soldato addestrato. Temi amorosi? Anche questi non mancano, e nonostante abbiano comunque una certa rilevanza, sono stati resi nella narrazione in modo verosimile, e soprattutto adattati alla situazione senza forzature.

C’è davvero tanto altro, tantissimo in realtà, che vogliamo scopriate da soli durante la vostra gita nell’oscurità: colpi di scena, una storia intrigante, e fasi d’azione ben assestate.

“Non guardi i film horror?”

A farci da guida, ancora una volta e come per tutte le fasi della Dark Pictures Anthology, c’è niente meno che il Curatore, il custode dei racconti che col suo fare colto, poetico e a tratti inquietante, ci trasporterà in un’atmosfera d’ansia, cercando talvolta di indicarci la via, o quanto meno darci una visione di insieme. Una delle cose che purtroppo è rimasta invariata rispetto ai due precedenti capitoli, è che anche House of Ashes non riesce a terrorizzare il giocatore, anzi, neanche ad inquietarlo. Se togliamo le scene un pochino più splatter e la quantità di sangue che in alcuni casi si mostrerà su schermo, c’è davvero poco che può essere riconducibile all’horror puro, spostando la lancetta drasticamente verso il thriller.

Però c’è un “però” grande quanto un macigno: la qualità della narrazione, i miglioramenti del gameplay, e l’interesse che si crea con l’avanzare del gioco (che ammettiamo sulle prime era leggermente basso), rendono questa “mancanza” di horror meno pesante. Non fraintendete, è lecito aspettarsi terrore da un gioco che anche nominalmente viene definito horror, e di certo si tratta di un’assenza recriminabile, ma in questo caso assolutamente accettabile se siete pronti al compromesso. Non dimentichiamo che in ogni caso sono presenti un paio di jumpscare ben assestati, che come da nuova linea non sono stati utilizzati tanto da abusarne.

Semper Fidelis

Non c’è molto da dire sulle modalità di gioco che già non sia noto: si riconfermano vincenti le scelte di Supermassive Games di far vivere l’esperienza ai giocatori nel modo che preferiscono.

Saremo noi infatti a scegliere se giocare in solitaria e decidere il destino di tutti i personaggi con le nostre scelte, oppure se non giocare da soli e farlo in compagnia degli amici (da 2 a 5 giocatori totali) potendo controllare ognuno personaggi diversi, e chiaramente se giocare online con un amico in Storia Condivisa, dove le scene si divideranno e ognuno giocherà dal suo punto di vista, vivendo anche delle scene inedite nella semplice modalità single player.

C’è da dire però che se le modalità sono a noi già ben note, il team per House of Ashes ha fatto in modo che di migliorie sul piano del gameplay dopo Little Hope (qui la recensione) ce ne fossero molte. Le meccaniche di base sono invariate, con fasi di dialogo e video che si alternano a fasi giocate di investigazione esplorativa; tuttavia l’inserimento di una telecamera in terza persona a 360 gradi ha aiutato molto nell’orientarsi, rendendo più fluide le ricerche negli spazi aperti, ma decisamente poco confortevoli quelle negli spazi più stretti. Questa feature però ha permesso anche di implementare un apposito comando per la torcia, che ora potremo puntare in giro a nostro piacimento illuminando proprio ciò che ci serve.

house of ashes recensione

I dilemmi morali, le scelte, le conseguenze, tutto è sempre dannatamente coinvolgente, e stavolta è offerto con un ritmo più scandito, passando più spesso la palla tra un protagonista e l’altro in intervalli più brevi. Rimangono sempreverdi chiaramente le premonizioni da cercare per le varie scene e i 50 collezionabili sparsi nei vari capitoli, i così detti “Segreti“, che vi aiuteranno in modo determinante a capire tutte le vicende del gioco.

La novità assoluta inoltre sta nella scelta della difficoltà: per la prima volta infatti, sarà possibile impostare a proprio piacimento il livello di sfida dei QTE, così che le persone meno avvezze a questo tipo di titoli riescano a godersi la storia – quasi – senza rischi, e i veterani possano pagare le conseguenze di ogni singolo errore.

Ritrovare la luce

Nonostante la nostra build (testata su PlayStation 5) fosse pre-patch del day one, sono stati davvero pochi i problemi tecnici con cui ci siamo dovuti confrontare, come leggeri cali di framerate o un paio di bug grafici minori. Un po’ più pesante magari è risultato invece lo stacco qualitativo tra degli scorci mozzafiato e il colpo d’occhio grafico di alcune scene, comparato con alcune animazioni di movimento o addirittura intere zone visitate che non raggiungevano lo stesso livello di dettaglio (forse complice anche la diversa quantità di luci nelle zone). Ricordiamo comunque anche in recensione che House of Ashes per le versioni next-gen supporta riflessi in ray-tracing, una risoluzione 4K nativa, la scelta tra la modalità prestazioni o quella qualità, una migliore risoluzione e la velocità dei caricamenti praticamente azzerata.

Teniamo a dire che sul piano della sceneggiatura e della costruzione delle scene, House of Ashes si conferma estremamente cinematografico, e il ritmo migliorato di cui sopra va a rafforzare questa caratteristica, in combo a un’apprezzabile interpretazione dei vari attori. C’è però da dire che, come purtroppo spesso accade per i videogiochi, alcune linee di testo doppiate nella nostra lingua si sono palesate con tonalità e intensità quasi fuori contesto, a testimoniare che forse i nostri doppiatori hanno dovuto regolarsi purtroppo solamente con le voci originali in inglese (alle quali comunque vi consiglio di dare una possibilità, anche attivando i sottotitoli ndr).

The Dark Pictures Anthology: House of Ashes

8.8

House of Ashes è senza dubbio la più intrattenente delle tre opere della Dark Pictures Anthology uscite fin ora. Nonostante non riesca neanche lei a terrorizzare il giocatore (quello che ci è andato più vicino per ora è senza dubbio Little Hope), si afferma comunque come un enorme passo in avanti per le novità inserite nel gameplay, per gli intervalli tra un giocatore e l'altro che si sono decisamente ridotti, e per lo sfruttamento delle qualità delle nuove console. Di certo non il più pauroso dei drammi interattivi, ma un più che discreto intrattenimento, che tiene alta anche l'asticella dell'interesse anche in campo rigiocabilità, per scoprire tutti i possibili risvolti della storia. A dir poco coinvolgente.

Gianluigi Crescenzi
Classe 90, invecchia bene tanto quanto il vino, anche se preferisce un buon Whisky. Ama l'introspezione, l'interpretazione e l'investigazione, e a volte tende a scavare molto più del necessario. Inguaribile romantico, amante della musica e cantante in erba, si destreggia tra hack n'slash, soulslike, punta e clicca e... praticamente qualsiasi altro tipo di gioco.

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