Alla fine, tutte le storie sono “sempre la stessa”, l’importanza è nei dettagli: questo almeno si evince da romanzi, film, serie tv e videogiochi. Tutte informazioni che Christopher Vogler ha inserito nel suo “Il Viaggio dell’Eroe”, e che ritroviamo ormai nella maggior parte delle opere di invenzione recenti (e non). Non per questo però tutto è male: lo si nota anche in Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin, nuovo videogioco di Square Enix che abbiamo spolpato in sede di recensione e che ci ha deliziato con il suo fare un po’ sbruffone, un po’ coraggioso.
Ne “Il Viaggio dell’Eroe“, il percorso fatto dal protagonista è di base volto all’autorealizzazione, e per farlo il personaggio deve compiere necessariamente degli step. Ovviamente, per arrivare alla fine, dovrà sconfiggere il Drago, salvare la Fanciulla, impadronirsi del Tesoro o edificare il Regno: tutto questo potrebbe sembrarvi approssimativo, ma in fin dei conti il Drago può essere un qualunque nemico, persino un grande combattente devoto al male o il male stesso, la sua personificazione.
Da accostare però all’archetipo in questione c’è chiaramente il retelling, una pratica molto diffusa in letteratura che prende i classici e li ripropone in modo particolare: non è impossibile quindi trovare magari un libro che, partendo da La Bella e la Bestia, racconta qualcosa di simile ma con ambientazione e caratterizzazioni diverse. La particolarità del retelling è la capacità di mantenere alcuni status che possono trarre in inganno il lettore, facendogli venire dubbi che poi si tramutano, all’interno della rete, in teorie. Per questo non è impossibile vedere un retelling collegarsi poi alla trama principale diventando uno spin-off, oppure proporre un racconto che poi va a sostituire quello originale (e se ci mettiamo che il primo Final Fantasy gioca anche con la ciclicità della storia…). Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin parte dal concetto di retelling, e lo fa con quello che a tutti gli effetti è un classico dei videogiochi, ovvero il primo Final Fantasy.
Riscrivere la storia
Non vi rovineremo eventuali colpi di scena o parti del gioco intrise di trama, perciò diciamo tutto quello che possiamo dire. Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin segue lo schema del retelling e lo fa in modo congeniale, adattando il tutto ad un mondo Dark Fantasy molto avanzato tecnologicamente. Dimenticatevi quindi maghi nel senso stretto del termine, ma più che altro abituatevi all’idea di avere quattro personaggi usciti da una sorta di Hollywood Giapponese, pronti a combattere per sconfiggere Caos.
Con il dark fantasy e con la modernità però cambiano i dettagli, e questo è uno dei motivi che rendono Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin un bel gioco (come spiegheremo meglio durante la recensione). Ogni singolo dettaglio risulta coerente con l’ambientazione, cosa che non avrebbe sicuramente funzionato nell’originale ma che qui trova uno spazio comodo. Certo, i dialoghi non brillano di originalità e la trama sembra quasi (volutamente) lanciata sul tavolo, ma chi conosce il classico sicuramente troverà molti punti di contatto.
Un grande vanto va quindi fatto al modo in cui il gioco cambia ambientazione, in modo geniale: certamente avere dei dialoghi più freschi, una costruzione di sceneggiatura e di ritmo migliori e una caratterizzazione dei personaggi più curata avrebbero reso meglio nel generale, ma se c’è una cosa che riesce a parlare bene quanto la trama di questo gioco, è il combat system. Altra cosa che va evidenziata è la leggerezza – ma in questo caso negativa – che l’intreccio propone in alcuni casi: delle scene nascono davvero in modo casuale, ricalcando la semplicità dei videogiochi del 1987 senza però tenere conto che 35 anni dopo il pubblico ormai è smaliziato.
Final Souls
Paragonare questo Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin a un soulslike è un esercizio difficile: il gioco ha tante differenze, ma i punti di contatto ci sono e vanno evidenziati. Il sistema di combattimento penalizza di meno la stamina, che alla fine è importante ma non vi lascerà mai impotenti, e prende a piene mani più il panorama Action RPG che soulslike.
Geniale invece il sistema di classi (jobs), una cosa importata direttamente dal gioco originale che in Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin trova nuova linfa vitale (e che ha colorato l’esperienza di creazione della build in sede di recensione). Nel corso del gioco infatti Jack (il protagonista) potrà sbloccare molte armi, e a seconda di quale userà, avrà delle classi: due saranno equipaggiabili e intercambiabili tramite un tasto, le altre potranno essere scelte ad ogni Prisma (l’equivalente dei falò nei Souls ndr).
Se quindi i compagni di Jack avranno delle classi prestabilite (che poi potranno cambiare, ma di base sono quelle), Jack stesso potrà scegliere tra molte e, a seconda di quale prenderà, avrà un albero delle abilità e uno stile preciso. Nel corso del gioco, potenziando l’albero, il giocatore potrà sbloccare skill che verranno posizionate nel menù (che potranno essere scelte durante le combo), così come sbloccare altre classi (nate dall’incrocio di due potenziate quanto si deve).
Le classi disponibili sono davvero tante, e avanzando le due scelte potranno creare una sorta di build – visto che le classi potranno sbloccare anche skill da attivare, equipaggiabili a prescindere – dando quel tocco personalizzato a Jack utile per un Action RPG. Interessante anche il modo in cui Team Ninja ha creato vari modi di resistere agli attacchi, partendo dai classici schivata e parata, avanzando fino allo scudo spirituale (che in alcuni casi potrà assorbire addirittura skill e comunque vi caricherà i PM) e ha predisposto varie abilità offensive che potrebbero salvarvi durante le fasi più concitate.
La difficoltà dei cristalli
Come dicevamo all’inizio della recensione, Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin non è proprio un soulslike e la difficoltà lo evidenzia: la modalità intermedia infatti propone un’esperienza di gioco digeribile, mentre solo la più difficile tende ad avvicinarsi ai classici di Miyazaki. Nonostante tutto, avanzando nel gioco la difficoltà vacillerà mostrando uno squilibrio non troppo pesante, ma quanto basta da infastidire durante il gioco. Alla fine però le tre difficoltà differenti riescono a mettere d’accordo tutti, sia chi vuole seguire solo la trama, sia chi vuole giocare spensierato, sia chi vuole un’esperienza davvero dura da superare.
La profondità del gameplay poi si mostra fin da subito, e riuscirà a dare la libertà al giocatore di scegliere il proprio stile: come nell’originale, anche in questo caso avere un party eterogeneo aiuta, ma di base la possibilità di potenziare le classi ad ogni Prisma, e di cambiarle anche durante la missione, rende il tutto molto rapido.
Il gioco propone anche una possibilità di farming per nulla sciocca: se infatti le missioni principali saranno sparse per la mappa di gioco e selezionabili dal menù, una volta completata la missione principale, potrete dedicarvi a quella secondaria e facoltativa di quella zona. In quel caso, potrete vedere la ricompensa prima di iniziare, così da scegliere se lanciarvi o meno.
Tutto il gioco propone il sistema a dungeon, riducendo le fasi d’esplorazione al semplice avanzamento – molto lineare – fino al boss di turno. Niente fasi puramente esplorative quindi, quelle saranno ridotte a dialoghi sparsi nel corso del gioco. Per il resto, i nemici che incontrerete nella vostra avventura – seppur spinti verso scelte più sci-fi che fantasy – saranno davvero interessanti da combattere (visto e considerato che sono ripresi dalla mitologia di Final Fantasy) e le mosse finali che potrà fare Jack ogni volta che stremerà uno di loro, saranno a dir poco entusiasmanti. Peccato che molti di questi nemici alla lunga diventano ripetitivi, senza avere una collocazione troppo sensata in termini di trama, ma messi li giusto per inserire una sfida.