Blues, jazz, pop, folk, rock e heavy metal; generi che nel bene e nel male hanno segnato la storia della musica internazionale. Con le loro note, le loro vibrazioni, i loro interpreti e il loro fuoco, ma soprattutto con i propri sentimenti. Anche se ben diversi nell’interpretazione e nell’esposizione, stravolte ed evolute nel tempo, è sempre stato noto che essi hanno in comune la più pura delle caratteristiche: il sentimento. Questi generi hanno sempre mostrato quel quid in più, perché la musica così intesa nasceva come sfogo, come rivoluzione, una vera e propria guerra contro il mondo e contro se stessi.
Ma come siamo arrivati fino ad oggi? Perché alcune sonorità hanno indubbiamente qualcosa che va oltre la concezione “europea” della musica? Con la risposta già nel titolo, Catherine Bainbridge e Alfonso Maiorana illustrano con questo documentario, Rumble: Il grande spirito del rock (Rumble: The Indians Who Rocked the World il titolo originale), quale sia stato il ruolo dei nativi americani nell’evoluzione e nella storia di questo tipo di musica. Scavando a fondo infatti, ci si rende conto di quanto queste popolazioni e i loro discendenti abbiano segnato in maniera indelebile la storia.
I gremiti 120 minuti della pellicola permettono di compiere un viaggio coast to coast di tutti gli Stati Uniti d’America, scoprendo la storia di interpreti dai nomi eccelsi dal sangue nativo. La pellicola parte sul finire degli anni 50, quando i nativi americani erano ancora vittime di un razzismo così umiliante da spingerli a nascondere le proprie origini, come nel caso di Link Wray, che con Rumble (traccia musicale che dona il nome al documentario) inizia una vera e propria ascesa. Il brano fu censurato perché istigante alla violenza di strada; cosa c’è di strano? E’ un brano strumentale! Gli artisti che hanno segnato le generazioni a venire sono stati innumerevoli, e pian piano si fa la loro conoscenza, come per il bluesman Charlie Patton, passando per Mildred Bayley, ma anche Jimi Hendrix e il suo sangue nativo preso dalla nonna, Robbie Robertson, fino ad arrivare al mitico Jesse Ed Davis, ai Redbone, Buffy Sainte-Marie (presente anche con diverse tracce e interviste), Stevie Salas, Taboo dei Black Eyed Peas e Randy Castillo, il grande batterista di Ozzy Osborne. Il documentario ricalca fedelmente le loro vite, descrivendo accuratamente la cultura nativa – e non – diffusa nel periodo di ogni singolo interprete, dalle rive del Mississipi fino ai campi di cotone coi classici canti da lavoro. La bellezza sta nei particolari, e il documentario canadese ne è la piena testimonianza, dove risulta genuino e spontaneo entrare in contatto con tutti coloro che ne fanno parte.
Sii orgoglioso di essere un indiano, ma fai attenzione a chi lo dici.
Non solo nomi forti per quanto riguarda gli indiani, ma moltissimi anche i cantanti e musicisti di livello internazionale che hanno rilasciato le loro testimonianze sugli interpreti in questione: solo per citarne alcuni, prendono parte al carosello personalità come il regista Martin Scorsese, Iggy Pop, Slash (Guns n’ Roses), Phil Soussan (Ozzy Osbourne), Tony Bennett, Taylor Hawkins (Foo Fighters), Steven Tyler (Aerosmith), Robert Trujillo (Metallica), Rickey Medlocke (Lynyrd Skynyrd) e John Trudell, deceduto nel 2015 alla memoria del quale è dedicata l’opera. Anche analisti, discografici ed esperti del settore hanno dato il loro contributo ed il loro volto per realizzare questo documentario.
Rumble: Il grande spirito del rock uscirà il 19 marzo distribuito da I Wonder Pictures.