Con la seconda stagione di Gen V, spin-off diretto del successo mondiale The Boys, Prime Video continua ad arricchire un universo narrativo che ha saputo distinguersi per la sua capacità di coniugare spettacolo, violenza e satira sociale. La serie, che prende avvio subito dopo gli eventi della quarta stagione di The Boys, mette al centro i giovani super e la loro crescita personale, soffermandosi sulle scelte che prendono in relazione al mondo degli adulti sempre più marcio e compromesso. Raccontando una storia che va ben oltre la crescita adolescenziale: Gen V è il ritratto di una società malata, manipolata e sempre più vicina al baratro.
Dove eravamo rimasti?
Fin dai primi episodi, la serie mostra come gli avvenimenti della quarta stagione siano stati insabbiati e distorti dalla Vought, il colosso mediatico che continua a riscrivere la verità a proprio vantaggio. Gli spettatori si trovano immersi in un contesto in cui è difficile distinguere realtà e finzione, con una narrazione che ricalca in modo inquietante il clima politico e sociale dell’America contemporanea. Non è un caso che la serie insista tanto sul tema della manipolazione dell’informazione: il villain della stagione, oscuro e potente, diventa incarnazione perfetta di un potere che controlla le masse muovendosi nell’ombra.

Una storia di resistenza
Al centro della storia troviamo Marie, una giovane fuggitiva alla disperata ricerca della sorella, che diventa il simbolo di un’intera generazione di supereroi cresciuti sotto il peso delle menzogne orchestrate dalla Vought. La sua parabola personale non è solo una lotta individuale, ma rappresenta la condizione di chi, pur dotato di poteri straordinari, rimane intrappolato in una rete di manipolazioni, segreti e colpe ereditate. A supportare la nostra protagonista abbiamo il gruppo di super già visti nella prima stagione, ciascuno di loro porta addosso ferite psicologiche profonde, che li rendono fragili e instabili tanto quanto determinati. L’assenza di André, uno dei personaggi più importanti nella prima stagione, uscito di scena off screen a causa della prematura scomparsa del suo interprete, pesa come un macigno per i ragazzi. Non si tratta solo di un espediente narrativo, ma di una decisione che amplifica il tono drammatico della serie: la morte di un amico diventa il catalizzatore del senso di colpa, della rabbia e della voglia di rivalsa che muove i protagonisti e che farà sì che il nostro gruppo di eroi si unisca per combattere contro il comune nemico.
Il dolore, anziché dividerli, si trasforma in un collante emotivo, costringendoli a guardarsi dentro e a scegliere se arrendersi o reagire. Questo aspetto conferisce alla serie una dimensione più intima e umana: dietro i poteri, le esplosioni di violenza e le manipolazioni della Vought, si nasconde una riflessione sul lutto, sull’elaborazione delle perdite e sulla capacità di trasformare la sofferenza in resistenza. In questo senso, Gen V non è solo un racconto di supereroi, ma un dramma corale che parla di crescita e di resilienza, e che rende i suoi protagonisti più reali e vicini al pubblico.
Realtà o rappresentazione dell’America odierna?
Uno dei punti di forza di Gen V è proprio il modo in cui riesce a intrecciare la dimensione personale dei personaggi con quella sociale. Le ferite interiori dei protagonisti diventano metafora delle cicatrici di un Paese che non riesce a fare i conti con la verità, preferendo nascondere le proprie contraddizioni sotto una coltre di propaganda. In questo senso, la serie riesce a funzionare come specchio dell’America odierna, in cui odio e divisioni vengono fomentati ad arte per mantenere il controllo. La progressiva radicalizzazione dei giovani super contro gli esseri umani non è solo un espediente narrativo, ma un parallelismo diretto con la realtà politica, in cui le nuove generazioni vengono spinte verso posizioni estreme.

La lore di The Boys si espande sempre più
Pur avendo un forte legame con la serie madre, Gen V si ritaglia uno spazio autonomo, arricchendo la lore dell’universo di The Boys senza risultare una semplice appendice. I frequenti cameo dei personaggi principali rafforzano il collegamento con la saga, ma non soffocano la nuova generazione di protagonisti, che hanno comunque modo di emergere con le loro complessità. Tuttavia, rispetto alla stagione precedente, questa aggiunge poco in termini di novità: la sensazione è che, per quanto appassionante, la trama si limiti ad ampliare scenari già visti, piuttosto che a introdurre elementi davvero dirompenti. Dal punto di vista tecnico, la serie mantiene gli standard qualitativi ai quali The Boys ci ha abituato: scene d’azione crude, effetti speciali di alto livello e una colonna sonora sempre azzeccata contribuiscono a mantenere alta l’attenzione. Ma è soprattutto la scrittura a convincere, capace di alternare momenti di pura violenza a riflessioni più intime e politiche, senza mai perdere il ritmo. Il risultato finale è una serie che intrattiene e allo stesso tempo mette a disagio, che diverte con la sua irriverenza ma obbliga anche lo spettatore a riflettere su quanto la finzione sia vicina alla realtà. Gen V dimostra come l’universo di The Boys sia ormai uno dei più importanti laboratori narrativi della serialità contemporanea, capace di raccontare il presente con il linguaggio del supereroismo decostruito.
