Dopo essersi visto chiudere la porta in faccia da Capcom a causa della sfortunata ed improvvisa cancellazione di Mega Man Legends 3, il caro e buon Keiji Inafume, per orgoglio e per rispetto verso la propria community, tre anni fa sorprese il mondo annunciando il progetto Mighty No.9, con conseguente campagna di crownfounding. Da lì fino ai giorni nostri ne abbiamo viste di cotte e di crude, sebbene grazie a ciò il team di sviluppo abbia raccolto la bellezza di oltre quattro milioni di dollari, il titolo è stato rinviato più e più volte… il tutto associato ad una grande insicurezza di riuscita, evidenziata in primis da una sterile campagna di marketing ed in generale da un’aura di negatività complessiva. Tra le varie versioni messe in commercio, abbiamo avuto modo di poter spolpare ed analizzare Mighty No.9 in salsa PlayStation 4; sarà davvero l’erede spirituale del celebre Mega Man? Avrà fatto breccia tra i cuori dei puristi del genere e non? Scopriamolo assieme!
Mighty Numbers
Da Rockman (nome Giapponese di Mega Man) a Beck, nuovo nome del protagonista principale del titolo, i pericoli e le insidie non mancano e dunque, anche in questo reboot del genere, ci troveremo ad affrontare una nuova e terribile minaccia. Il nostro piccolo ed eroico robot, che richiama fedelmente il buon Mega Man anche grazie al suo cannone robotico, è il nono elemento della linea di robot multiuso sviluppati dal Dr. White. Ad un certo punto tutti i robot degli Stati Uniti sono improvvisamente impazziti, vittime di un non meglio precisato “virus” che li sta costringendo a mettere a ferro e fuoco qualunque cosa gli capiti a tiro; oltre che i vari robot di bassa lega anche e (purtroppo) gli altri “Mighty Numbers” creati prima di Beck non sono riusciti a scampare al contagio e dunque ricopriranno il ruolo di Boss di fine livello degli otto stage principali del gioco.
Ci troveremo di fronte dunque ad una trama scheletrica ed alquanto banale, in linea diciamo col genere, ma che comunque non soddisfa. Oltre che al basso livello narrativo, i vari livelli sono decisamente brevi e ripetitivi a causa di un level design abbastanza scialbo. Proprio come accadeva di consueto nel celebre platform di Mega Man, anche qui la parte iniziale del gioco è basata principalmente da una struttura completamente libera, con una serie di stage da selezionare liberamente e portare a compimento nell’ordine che preferiamo. Pur non dovendo necessariamente seguire un percorso predefinito, ad ogni modo, sarà sempre preferibile scegliere con cura l’ordine in cui affrontarli rovinando (a mio avviso) l’esperienza di gioco.
Dash, gioie e dolori
Se da una parte l’esile longevità dei livelli farà storcere il naso alla stragrande maggioranza degli acquirenti, dall’altra essa potrà mutare a seconda del modo ed anche della bravura in cui il giocatore affronterà lo stage. I canonici 10-15 minuti massimo di run a livello potranno divenire ore per i neofiti del genere e non solo. Ci troviamo di fronte ad un classico platform 2D anni ’80 sotto questo aspetto; sebbene le meccaniche di gioco risulteranno quasi subito di facile apprendimento il rapporto con i vari nemici e sopratutto la “ripetitività” di determinati azioni e/o scelte errate del team di sviluppo potranno portare il giocatore a riprovare per ore la stessa cosa.
Beck avrà a disposizione tre vite, con annessi checkpoint distribuiti per bene durante lo stage, ma se (e non lo auguro a nessuno) le vite dovessero esaurirsi purtroppo bisognerà ricominciare il livello da capo. Tale scelta potrà far odiare ancora di più il gioco o magari chissà amare, resta il fatto che rendere un gioco a tratti esasperante senza però un gameplay solido o per lo meno accattivante rende il tutto alquanto inutile.
Il problema di fondo è la sensazione di “piattume” che imperversa durante le fasi in game, fondamentalmente il Dash (scatto) porta poche gioie e tanti dolori. L’unico elemento “innovativo” del gameplay e del dash è rappresentato dal nuovo sistema di assorbimento dei poteri; ciascun nemico infatti sarà in grado di fornirci una determinata tipologia di potenziamento, da assorbire effettuando uno scatto verso di esso dopo averlo temporaneamente “paralizzato”. Grazie a questi potenziamenti saremo in grado di aumentare temporaneamente velocità di movimento e potenza di fuoco del protagonista. Ovviamente, come da tradizione vuole, il dash servirà anche a spostarsi più velocemente e/o aggirare fastidiosi ostacoli come delle barriere elettriche o dei cunicoli decisamente stretti.
Cali di frame rate, cali di frame rate ovunque…
Mighty No.9 mostra in molti aspetti come un titolo, se voluto fortemente, deve per lo meno essere sviluppato con inventiva e sopratutto logica. Il team di Inafune ci presenta un titolo che, a livello grafico, sembra essere rimasto al livello delle prime generazioni anni 2000 delle console; citiamo ormai il già criticato effetto del fuoco ma anche e soprattutto la scarsa interazione con l’ambiente e la fisica pressocchè assente; cito ad esempio i massi che cadono dal tetto durante la prima Boss battle.
In un titolo già di suo complesso, dove anche il timing è essenziale al fine di oltrepassare turbine o pareti elettriche mortali, è inammissibile riscontrare costantemente fenomeni di cali di frame rate. Ci sono almeno 2-3 livelli con sequenze disastrose, in cui il numero di fotogrammi al secondo continua a fluttuare senza alcun motivo apparente; per assurdo il titolo scatta non quando siamo di fronte a costanti esplosioni/moltitudini di nemici o comunque situazioni di caos bensì senza un reale motivo; indice di uno sviluppo approssimativo e mediocre. Ci troviamo di fronte ad uno, se non il peggiore, titolo prodotto recentemente con l’Unreal Engine.
Anche il comparto sonoro del gioco risulta anonimo, andando dunque di pari livello con quello grafico. Ci troviamo di fronte ad una colonna sonora priva di appeal, con una gestione del sonoro in game pessima corredata anche da delle cutscene fastidiose ed inutili. Vi lasciamo infine con un filmato del gioco, buona visione: