L’Uomo che Uccise Don Chisciotte – Recensione del film diretto da Terry Gilliam

Gianluigi Crescenzi
Di Gianluigi Crescenzi - Deputy Editor Recensioni Lettura da 6 minuti
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L'Uomo che Uccise Don Chisciotte

In molti hanno definito L’Uomo che Uccise Don Chisciotte come la pellicola maledetta di Terry Gilliam, con i suoi oltre vent’anni di cambiamenti e stravolgimenti della sceneggiatura, un film che deve “avere un suo luogo e un suo tempo”. Finalmente quel momento è arrivato, e la chimera si è trasformata in un film emotivamente forte che induce alla riflessione sulla sottile linea tra la realtà e la fantasia. Fin dal 1989 il regista di Minneapolis aveva iniziato a lavorare sul progetto, affascinato dal romanzo seicentesco spagnolo di Miguel de Cervantes. L’eccentrico e simpatico Terry ha creato una sorta di equilibrio tra le emozioni, sfruttando a pieno regime le capacità del variegato e talentuoso cast a disposizione, mescolando momenti di pura e divertente follia a scene tragicomicamente emozionanti. Affidando la propria troupe ai più sperduti paesaggi che Spagna, Portogallo e Isole Canarie potessero offrire, il risultato finale del film è ottimo, un limbo dove il simbolismo funge da catalizzatore tra senno e follia che per tutta la durata della pellicola continuano ad intersecarsi. Forti di questo dualismo sono anche i due interpreti principali del film, Adam Driver (nel ruolo del protagonista) e il superbo Jonathan Pryce.

L'uomo che uccise don chisciotte

Don Chisciotte della Mancia, tra ferro e cavalleria

Toby (Adam Driver), un regista cinico che ha “sacrificato la sua arte” al consumismo iniziando ad occuparsi negli anni di spot televisivi. Oltre al suo estro creativo, sembra che il ragazzo che era abbia perso anche la sua umanità, cosa che forse inconsciamente sta cercando di riacquistare a tutti i costi. Il suo più grande successo, dieci anni prima, fu una piccola rivisitazione ambientata in spagna delle avventure del cavaliere dall’eterna giovinezza del romanzo di Cervantes, film che egli intitolò “L’uomo che Uccise Don Chisciotte”. Tornato per lavoro nelle terre brulle vicino allo sperduto villaggio in cui lo ambientò, Toby viene avvicinato dal Deus Ex Machina del film, un gitano (Oscar Jaenada) che è in possesso proprio di una copia del suo vecchio film. In seguito a quelle che possono (e non possono) sembrare casualità, il regista si ritrova nel pittoresco luogo delle sue vecchie riprese… che per quanto possa essere rimasto lo stesso, trova qualcosa di molto diverso. Da qui l’incontro con Javier (Jonathan Pryce), il vecchio ciabattino che impersonò il cavaliere dieci anni prima, e che a quanto pare non è più uscito dal personaggio, arrivando a convincersi di essere davvero Don Chisciotte della Mancia.

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Da questo momento inizia una stramba, divertente e surreale avventura alla ricerca della bella Dulcinea, dove Don – in sella al suo destriero Ronzinante – è convinto di essere accompagnato dal suo fedele “scudiscio” Sancho Panza. Il duo protagonista funziona in modo egregio, simboleggiando il forte dualismo citato in apertura, ma che scopriremo andrà a  dirci qualcosa di più. Le peripezie che li colpiranno saranno molte, dividendosi tra duelli, ricerche e battaglie coi giganti, ma con un “rallentamento” del ritmo della narrazione nella parte centrale della pellicola. Chiaramente a muovere la macchina c’è molto di più, come la pressione del capo di Toby, interpretato da Stellan Skarsgård, di sua moglie (Olga Kurylenko) e la figura sempre presente della purezza che si rispecchia in Angelica (la portoghese Joana Ribeiro), la figlia del taverniere del villaggio che negli anni passati ebbe una piccola parte nel suo film. Saltando tra realtà e momenti in cui “l’incantatore”, nemesi di Don Chisciotte, fa valere la propria magia oscura si arriverà a delle battute finali che metteranno in dubbio anche le vostre più concrete convinzioni.

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Cavalli e mulini a vento

Anche se il film non gode dell’incredibile budget che era previsto più di dieci anni fa, prima che il progetto fosse rallentato e stravolto, il grande risultato ottenuto è frutto non solo degli attori, ma anche di tutti coloro che li hanno circondati. L’impegno è stato massimo, e l’unione di una colonna sonora dai leggeri tratti esotici ad una splendida scelta delle sperdute ambientazioni ha portato a creare una sorta di sintonia tra attore e spettatore. Buono il lavoro del montaggio e della scenografia, indispensabili per creare quelle fasi “crossover” che faranno da anello di congiunzione tra i due “filoni”. Impossibile non citare inoltre l’egregio il lavoro dell’italiano Nicola Pecorini, scelto per dirigere la fotografia del film. Sintonia, ma anche empatia, che nelle affascinanti terre iberiche riesce a coglierci impreparati, mettendo in dubbio anche il nostro senso della realtà. Al fronte dei 132′ di durata, il film risulta scorrevole e impegnato, con qualche rallentamento (dovuto) circa sul finire della prima ora.

Il lavoro di Gilliam e del Cast, scelto ad hoc dal regista nel corso degli anni, si è rivelato ottimo, puntando più “sull’essere adatto” che sulla bacheca alle loro spalle. Emozione, empatia, dualismo, follia, realtà, sono tutte parole e concetti che una volta usciti dalla sala vi ronzeranno in testa, lasciandovi molto su cui riflettere. Se c’è un marchio di fabbrica dei film di Terry che si presta indelebile alla causa, è proprio questa sua filosofia di vita, dove il tempo trascende dal corpo, le consapevolezze diventano tutt’uno con la fantasia, e si rimane bambini per sempre.

L'Uomo che Uccise Don Chisciotte
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Voto 8
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Deputy Editor
Classe 90, invecchia bene tanto quanto il vino, anche se preferisce un buon Whisky. Ama l'introspezione, l'interpretazione e l'investigazione, e a volte tende a scavare molto più del necessario. Inguaribile romantico, amante della musica e cantante in erba, si destreggia tra hack n'slash, soulslike, punta e clicca e... praticamente qualsiasi altro tipo di gioco.