Non è mai facile parlare delle atrocità scaturite dall’Olocausto e della macchina dell’orrore ideata e messa in moto dai nazisti, della vita nei campi di concentramenti e della deumanizzazione sistematica di milioni di vittime. Ciononostante, raccontare quanto accaduto è una necessità oggi come sempre, per educarsi ed educare alla diversità, all’accoglienza e, soprattutto, all’umanità. Il regista ucraino Vadim Perelman si è preposto come obiettivo proprio l’evidenziare che siamo tutti esseri umani nel suo ultimo film Lezioni di persiano, ispirato a una storia vera, selezionato al 70° Berlinale e in uscita nelle sale italiane il 5 novembre.
Quando la disperazione porta a risultati incredibili
Siamo nella Francia occupata del 1942, dove migliaia di ebrei sono stati catturati e deportati dalle SS. Su un carro, il giovane Gilles scambia il suo panino (forse per opportunismo, forse per sincera curiosità) con un antico libro scritto in farsi (la lingua parlata in Persia) e dedicato a un tale Reza Joom. Proprio questo libro concede a Gilles di salvarsi la vita poco dopo, quando le guardie evitano di fucilarlo perché il giovane dice di essere persiano e non ebreo. Tuttavia, la clemenza delle guardie ha ben poco di nobile: infatti, Gilles è portato immediatamente dall’ufficiale nazista Koch, il responsabile delle cucine di un campo di concentramento col desiderio di imparare il farsi per potersi trasferire a Teheran e aprire un ristorante dopo la fine della guerra. Il povero Gilles, che prende il nome di quell’ignoto Reza a cui è stato dedicato il libro, si trova davanti a una scelta fatale: arrendersi ai nazisti o continuare la farsa e fingersi persiano per insegnargli il farsi pur non conoscendolo?
Pur di salvarsi, Reza finge di conoscere alla perfezione il farsi, insegnandolo giorno dopo giorno a Koch, che memorizza un numero sempre più grande di parole che in realtà di persiano hanno ben poco. Con l’avanzare dei giorni, Reza inizia ad avere serie difficoltà a inventare nuove parole per le lezioni, il che lo spinge a trovare uno stratagemma per facilitarsi il lavoro: utilizzare i nomi dei deportati nel campo per creare il lessico di una lingua che non esiste. Così, Lezioni di persiano, ispirato al racconto di una storia vera, Invenzione di una lingua (Erfindung einer Sprache) di Wolfgang Kohlhaase, lega il tema della vita nei campi di concentramento a quello della memoria. Nonostante i deportati non fossero niente più di un numero per i registri dei nazisti, per Gilles/Reza i nomi di tutti i prigionieri continuano a risuonare nelle parole della lingua che ha inventato, associando ogni vocabolo al nome e cognome di una vittima. In più, questo persiano inventato diventa la lingua dell’indicibile, grazie alla quale Koch rivela emozioni e aspirazioni che un ufficiale nazista non può esternare. Come sottolineato dal regista in un’intervista, quando parla il “farsi” con Reza, Koch non si presenta come Capitano, bensì come Klaus, abbattendo le distanze tra militare e prigioniero nella libertà di una lingua che gli permette di dimenticarsi dei tabù.
Conversazioni fittizie
L’aspetto linguistico del film è decisamente encomiabile: vedere Gilles e Koch conversare in un persiano fittizio con disinvoltura è al contempo strano e toccante, mentre nel resto del film si alternano francese e tedesco. Per questo motivo, Lezioni di persiano può risultare difficile da seguire, ma è anche vero che il doppiaggio non renderebbe al meglio l’autenticità dell’atmosfera del lungometraggio. La performance del protagonista, interpretato da Nahuel Pérez Biscayart (Sick, Sick, Sick, Ci rivediamo lassù, 120 battiti al minuto) è sicuramente quella che risalta di più: tra una molteplicità di lingue parlate, e un ruolo carico di conflitto e di drammaticità, Biscayart è la perfetta cassa di risonanza delle emozioni comunicate in Lezioni di persiano.
Supportato da una splendida fotografia ricca di note cupe, Lezioni di persiano, tuttavia presenta qualche carenza dal punto di vista narrativo. Nonostante una regia molto incline all’indugio e uno storytelling piuttosto lento, il film inizia in modo fin troppo repentino, lasciando ben poco tempo allo spettatore per comprendere appieno l’ambientazione in cui ci si trova e, più importante, di entrare in sintonia col protagonista. In più, la trama secondaria del lungometraggio, che narra di intrighi e gelosie tra ufficiali nazisti, non riesce a essere convincente nonostante le premesse di Perelman.
Per il regista, infatti, l’umanizzazione di tutti personaggi è stato un punto chiave dello sviluppo di Lezioni di persiano, evidenziando che anche i nazisti avevano sogni, sentimenti e desideri oltre la loro divisa. Ciononostante, la trama narrante le vicende di Max, Elsa e Jana risulta poco organica rispetto alla storia principale, apparendo molto meno efficace ed emozionante se comparata con l’esperienza di Klaus Koch, interpretato da Lars Eidinger (Dumbo, High Life, Sense8) che trova in un prigioniero prima un collaboratore, poi un insegnante e infine un amico fidato.