La saga di Dragon Quest: storia ed evoluzione di un mito

Giuseppe Salzano
Di Giuseppe Salzano GL Originals Lettura da 11 minuti

Quando in Occidente si pensa ai giochi di ruolo, il primo nome che viene in mente è quello della saga di Final Fantasy. Questa serie, nata ormai trent’anni fa, ha il merito di aver dato una decisiva spinta al successo dei GDR in stile giapponese, grazie soprattutto al successo del leggendario Final Fantasy VII, uscito sulla prima PlayStation. Da lì in poi, i giochi di ruolo giapponesi sono usciti pian piano dalla nicchia dei titoli per pochi appassionati, diventando un genere sempre più amato dal grande pubblico. Nonostante la fama della saga di Final Fantasy sia enorme anche nella sua patria d’origine, se chiedete a un giapponese quale sia il primo JRPG che gli viene in mente, probabilmente vi risponderà Dragon Quest. La saga, nata originariamente grazie a Enix e pronta per tornare nella sua undicesima incarnazione, è infatti entrata nel cuore dei nipponici come la saga RPG per eccellenza.

Dragon QuestLa saga di Dragon Quest nacque dalla mente di Yūji Horii, che vinse un concorso indotto da Enix per giovani sviluppatori nel 1982. Il premio era un viaggio in America, dove Horii scoprì Wizardry e Ultima, due famosi titoli che lo ispirarono per la sua opera originale. Horii coinvolse poi nel progetto il compositore Koichi Sugiyama e il mangaka Akira Toriyama, padre di Dragon Ball. Da allora questo trio ha curato ogni capitolo principale della serie. Il primo Dragon Quest uscì nel 1986 per il Nintendo Famicom e l’MSX, e nei due anni successivi uscirono il secondo e il terzo capitolo, facendo entrare l’opera di Yūji Horii nell’Olimpo dei titoli più venduti e amati in Giappone. In Occidente la serie arrivò per la prima volta nel 1989, ma soltanto in America e, per problemi di copyright con l’omonimo gioco di ruolo cartaceo, con il titolo cambiato in Dragon Warrior. Il ritardo di tre anni fu fatale per il suo successo. La grafica e le meccaniche di gioco risultarono obsolete, e il titolo dovette affrontare la pressione della concorrenza di giochi più recenti, fra cui il primo Final Fantasy. Stessa sorte subirono i successivi capitoli, arrivati troppo tardi sul mercato, con il terzo e il quarto approdati già nell’epoca dei 16 bit. L’insuccesso in Occidente arrestò la serie al quarto capitolo e si dovette aspettare l’arrivo del settimo su PSX per rivederlo nuovamente sul suolo americano. In Europa la situazione si rivelò persino peggiore. Il primo titolo di Dragon Quest arrivato ufficialmente fu l’ottavo capitolo su PlayStation 2, tra il 2005 e il 2006.

Dragon QuestFortunatamente, la situazione oggi è cambiata. Attualmente è possibile recuperare tutti i capitoli originali della saga: dal 2014 si possono giocare sullo smartphone i primi storici tre capitoli con grafica migliorata, mentre su DS sono usciti i remake del quarto, quinto e sesto capitolo, con diverse aggiunte e correzioni. Il settimo capitolo è invece arrivato di recente nella sua nuova versione per 3DS, insieme anche all’ottavo, mentre il nono è uscito originariamente su DS. Soltanto Dragon Quest X latita da queste parti, dato che è un MMORPG uscito, almeno in Giappone, per WiiWii U e PC e che esula dalla linea narrativa e dalle meccaniche classiche degli altri episodi, un po’ come avvenne coi capitoli XI e XIV di Final Fantasy.

Dragon QuestLa differenza principale fra la saga creata da Yūji Horii e quella di Hironobu Sakaguchi si può dedurre dando un’occhiata agli ultimi capitoli di entrambe. Se guardiamo al quindicesimo capitolo di Final Fantasy possiamo notare un’evoluzione enorme in termini di gameplay, tanto che sono pochi i punti in comune fra il primo e l’ultimo titolo uscito. Guardando invece all’imminente undicesimo capitolo di Dragon Quest, vediamo subito, dalla caratterizzazione del mondo di gioco e dei personaggi, quanto questa saga abbia mantenuto invariate alcune caratteristiche sin dal primo episodio. Per fare un esempio, il protagonista di ogni capitolo è sempre stato muto e privo di un nome ufficiale, in modo tale da far immedesimare il giocatore nell’eroe di turno. I mostri, tutti disegnati da Toriyama con il suo inimitabile stile, sono entrati nell’immaginario comune giapponese, a cominciare dagli Slime: mostriciattoli blu simili a una gelatina che rappresentano da sempre il primo nemico che incontriamo nel gioco, da sempre una sorta di mascotte ufficiale della saga. Anche il gameplay, negli anni, non ha mai subito grosse modifiche. La base è quella di un RPG vecchia scuola, con una vasta mappa liberamente esplorabile ed un sistema di combattimento a turni.

Dragon QuestIl combat system si ispira al modello di Wizardry, storica serie di RPG legata a una particolare visuale in prima persona. Questo sistema è rimasto inalterato fino al settimo capitolo, quando si cominciano a vedere per la prima volta i nostri personaggi in azione. Fino al quinto capitolo non era neppure possibile controllare direttamente tutti i propri personaggi. Altra scelta curiosa era la possibilità di non poter selezionare il nemico da attaccare direttamente in ogni situazione: se in battaglia fossero comparsi tre Slime e un altro mostro, potevamo decidere di attaccare o il mostro singolo o i tre Slime, considerati quest’ultimi come un unico bersaglio. In questo secondo caso, l’attacco è indirizzato verso uno dei tre Slime in maniera casuale, senza la possibilità di sceglierne uno in particolare.

Dragon QuestDragon Quest è anche considerato uno degli RPG più difficili da giocare, soprattutto nelle versioni originali dei primi capitoli. In origine, gli unici punti in cui era possibile salvare erano chiese e castelli, e ogni nuovo dungeon rappresentava un enorme rischio per il party, considerando anche l’alto tasso di incontri casuali presenti, per non parlare delle impegnative boss battle. L’opzione di fuga da uno scontro raramente funzionava coi mostri di pari o maggior livello: se la fuga non fosse andata in porto avremmo subito un turno extra di attacchi nemici. Alla morte di un personaggio, questo diventava una bara e bisognava portarlo in una chiesa per farlo resuscitare, spendendo inoltre un bel gruzzolo di soldi. Gli oggetti curativi più potenti scarseggiavano, mentre in caso di morte di tutto il party non c’era il game over ma resuscitavamo nella chiesa più vicina con metà dei soldi accumulati. Per questo motivo esistevano le banche, in modo da avere sempre qualche soldo da parte in casi particolarmente disperati. Dragon Quest non faceva sconti a nessuno e questo lato hardcore contribuì a donargli un fascino particolare.

Dragon QuestOvviamente, uno dei punti più importanti in un RPG è anche la storia. Dragon Quest ha saputo donarci vicende e personaggi citati ancora oggi nel mondo dei videogiochi. Dal punto di vista dello storytelling è probabilmente inferiore a quanto visto in Final Fantasy e in altri JRPG, forti di una narrativa complessa, profonda e ricca di colpi di scena. Il gioco di Yūji Horii è sempre rimasto legato ai canoni del fantasy classico, come, ad esempio, la storia del primissimo titolo, dove troviamo l’eroe che deve salvare la principessa da un drago. Nonostante si sia alquanto ripetuto il modello narrativo dell’eroe destinato a salvare il mondo da una minaccia demoniaca, va detto che Dragon Quest ha diversi meriti per quanto concerne la stesura della trama, anticipando di anni tanti altri giochi dello stesso genere.

Dragon QuestNel terzo capitolo il prologo cambiava a seconda di alcune risposte date all’inizio, conferendo al nostro eroe statistiche diverse. Inoltre, una volta raggiunto il livello 20, era possibile cambiare la classe ai personaggi; questa caratteristica sarebbe tornata anche nei successivi capitoli. Il quarto, invece, era diviso in episodi. In ogni frammento della narrazione avremmo controllato un personaggio diverso. Uno di questi, Torneko, era un mercante, con la possibilità di vivere proprio come uno dei negozianti che vediamo sempre in ogni RPG. Nel quinto capitolo seguiamo tutta la vita del nostro eroe, potendo scegliere la nostra sposa fra diverse fanciulle e successivamente utilizzare la nostra prole nel proseguimento dell’avventura. Altra interessante aggiunta del gioco era la possibilità di usare i mostri nel nostro party, in una sorta di sistema antenato dei Pokémon; questa possibilità divenne popolare e fu riproposta in altri capitoli, tanto da dar vita anche a uno spin-off chiamato Dragon Quest Monsters. Inoltre, al contrario di Final Fantasy, alcuni episodi della saga sono legati fra loro, soprattutto i primi tre, conosciuti dai fan come la trilogia di Roto (Erdrik nella versione occidentale). Il IV, il V e il VI sono conosciuti come la trilogia di Zenithia, un castello sospeso in aria e presente in tutti e tre episodi. In realtà, per stessa ammissione di Horii, narrativamente questi tre capitoli sono slegati tra loro, ma i fan hanno voluto immaginare un particolare legame sostenuto dalla magica presenza del castello fluttuante.

Dragon QuestMa l’elemento che probabilmente ha reso Dragon Quest la serie JRPG più amata in Giappone è la fantasia. In un tempo in cui l’aspetto grafico era ancora estremamente limitato dalla tecnologia, i giocatori dovevano compensare quanto non vedevano sullo schermo con la loro immaginazione, trovandosi a vivere epiche avventure in un mondo fantasy ampio e ben realizzato, dove non giocavano per conoscere la storia, ma la vivevano da protagonisti. Quest’esperienza cognitiva al limite dell’immaginifico tra opera videoludica e giocatore, stimolata da tanti espedienti come i meravigliosi disegni di Toriyama presenti nei manuali, hanno fatto innamorare milioni di giocatori, rendendo Dragon Quest il JRPG più venduto di tutti i tempi nel Sol Levante. In Occidente, data la differenza culturale, abbiamo faticato a capire la bellezza di questa saga, ma ben presto approderà da noi anche l’atteso Dragon Quest XI, che speriamo possa diventare il capitolo che consacrerà Dragon Quest anche in questa parte del mondo.

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