C’è aria nuova nel cinema italiano. Ormai da diversi anni ci sono piccoli registi diventati grandi registi che, in veste di produttori, continuano ad investire su un nuovo tipo di cinema italiano – fatto di storie comuni e non – che raccontano il presente, senza sfuggirlo, con toni poco convenzionali rispetto ai prodotti visti fino ad un decennio fa. Era ora che si respirasse questa ventata di aria fresca, questo ottimismo contagioso nel sapere che usciranno ciclicamente dei titoli accattivanti, piccole e grandi produzioni che non sfigureranno con i tanto decantati “americani”. Credere fortemente che riusciranno puntualmente a svicolare i luoghi comuni e le convenzioni del nostro cinema. Ora sembra realtà. In poche parole: Riporteranno il pubblico a credere nel cinema italiano. Fautori di questa “Nouvelle Vague all’italiana” sono Matteo Rovere e Sydney Sibilia – due registi ormai affermati, con titoli che vanno da Il Primo Re a Smetto Quando Voglio – si sono uniti, creando una produzione appositamente per scoprire nuovi talenti, raccontando sempre più storie di genere o commedie brillanti e poco convenzionali. Questa volta è il turno di Leonardo D’agostini e il suo film “Il Campione”, continuando a tracciare questo percorso che sembrerebbe non arrestarsi mai. Opera prima dalla profondità invidiabile, tutt’altro che banale (seppure non del tutto inedita nel panorama italiano).
“Abbiamo lavorato a questo film per molto tempo, cercando di aiutare Leonardo a realizzare una pellicola che assomigli a quello che vorremmo tanto il nostro cinema ci regalasse sempre di più”.
Questo affermano i due produttori che, come la gran parte del pubblico italico, gridano a gran voce di innestare nuova linfa alle produzioni nostrane, mescolando le carte e giocando sapientemente con generi.
Come accennavamo prima, Il Campione non è certamente una storia sui generis: Strizza l’occhio a WIll Hunting, ma a noi fa piacere pensare che gli autori si siano ispirati ad “Acqua e Sapone“, dove un magistrale Carlo Verdone interpretava uno scalcinato professore che millantava di essere un teologo presbiteriano pur di avere l’ambizioso lavoro di fare da precettore alla modella Sandy Walsh. Anche lei, come il protagonista calciatore di questo film è viziata, indolente e circondata da persone che sfruttano la sua notorietà. Il Campione è una sorta di Acqua e Sapone ma più ambizioso negli intenti, più orientato verso la parabola del vip e del calciatore ammantato dalla notorietà con il suo pesante fardello, ma senza dimenticare quell’ironia tipicamente romana che strappa applausi sistematici. La passione e la bravura con cui il regista e i due produttori (senza dimenticare le due ottime sceneggiatrici) flirtano con le convenzioni e i luoghi comuni raccontandoci una storia in un modo così inconsueto per il nostro cinema, ci lascia piacevolmente favorevoli.
Mentore e Allievo
Il Campione è un racconto di formazione che alterna registri comici a registri emotivi. Centrale è l’incontro fra due mondi agli antipodi ma uniti (loro ancora non lo sanno) da aspetti comuni. Christian Ferro è un ragazzo ventenne, ricco e affermato calciatore, arrogante e privo di punti di riferimento, attorniato da una pletora di opportunisti pronti a succhiargli ogni cosa ma dandogli in cambio noncuranza e totale indifferenza per le sue esigenze umane e sentimentali. Qui entra in gioco Valerio Fioretti (Stefano Accorsi) un cinquantenne colto, ex professore ormai ai margini, con un pesante passato che lo affligge quotidianamente e impossibilitato di vivere ed agire. È molto bello come Leonardo D’agostini fa incontrare questi due mondi apparentemente pronti a scontrarsi. Le due personalità non solo vengono da ambienti completamente diversi, ma parlano anche un linguaggio completamente diverso: uno è professore colto che non conosce minimamente l’ambiente calcistico e quello che ruota intorno ad esso, l’altro è un giovane calciatore idolo delle folle che conosce solo il linguaggio della strada da cui proviene, l’effimero e la materialità delle cose. Questo non impedirà di trovare una chiave di volta per comunicare tra loro e aiutarsi vicendevolmente imparando dalle loro problematiche di vita e fragilità comuni.
La storia viene raccontata con una delicatezza ineccepibile, senza sfociare nella retorica più scontata, andando a sfiorare ogni corda emotiva dei due protagonisti e facendoli incontrare sul piano umano senza forzature. Stefano Accorsi fa un lavoro magistrale e dopo “Veloce come il Vento” torna nelle sapienti mani di Matteo Rovere (qui in veste di uno dei due produttori) per interpretare nuovamente un altro grande ruolo. Il suo Valerio Fioretti è tutto nel suo sguardo amaro, fragile, dolente, che nonostante le mazzate della vita ha ancora voglia di provare a rimettersi in gioco. Andrea Carpenzano non è da meno. Giovane attore appena ventitreenne con già all’attivo vari film importanti come “Il Permesso”, “La Terra Dell’Abbastanza” e la serie “Immaturi“, qui conferma la sua bravura non comune. Il suo Christian Ferro è un arcobaleno di emozioni con varie sfumature di colore: arrogante, presuntuoso, collerico, malinconico, romantico. Carpenzano ci mostra tutte queste emozioni recitando un romanesco ruvido, biascicato, un ragazzo del popolo a cui è piovuto addosso un destino da Re Mida, accerchiato da una Corte dei miracoli composta da persone che non si curano minamene del suo stato d’animo e che avidamente lo inquadrano solo come un bancomat vivente. Il regista Leonardo D’agostini spiega in conferenza stampa che insieme alle sceneggiatrici hanno saccheggiato e studiato le biografie più interessanti dei vari calciatori che si sono distinti per una vita di eccessi, ma cercando di non ispirarsi mai a qualcuno in particolare. Non a caso, la sceneggiatrice ringrazia in modo particolare un giornalista sportivo che ha aiutato la produzione facendo da consulente, raccontando storie e aneddoti particolari che hanno ispirato ancora di più le situazioni riportate nella pellicola. La sceneggiatrice Giulia Steingerwalt rivela una curiosità: La pellicola è stata mostrata in privato a Francesco Totti, che si è lasciato scappare un conciso ma alquanto arguto “È tutto vero… è così che spesso succede in questi ambienti”.