Tutte le storie drammatiche hanno un epilogo crudele. Non poteva andare diversamente per i protagonisti di “Gomorra – La Serie” (trasmessa su Sky Atlantic e NOW), Ciro di Marzio (Marco D’Amore) e Gennaro Savastano (Salvatore d’Esposito), che arrivano a completare – dopo 7 anni – il loro cammino insieme con la stagione 5 (che abbiamo visto al completo per la recensione), legati fino all’ultimo da un destino maledetto: vivere una vita con solo il male dentro, una vita senza luce. Due antieroi capaci di conquistare il pubblico nonostante la crescente malvagità che incarnano, tanto da poter essere ormai considerati, anche per il loro rapporto a dir poco contrastante, il Walter White (Bryan Cranston) e il Jesse Pinkman (Aaron Paul) – stelle della serie cult americana “Breaking Bad” di Vince Gilligan – del red carpet italiano.
In parte li ricordano e ciò non può che essere un sincero complimento al talento dei due mattatori napoletani, così “cattivi” davanti la cinepresa, quanto positivi e divertenti al di fuori. Ma in scena hanno perfettamente rappresentato due facce della stessa medaglia, quella medaglia è la Napoli più “nera”, la Napoli da conquistare a tutti i costi. E così in questo finale si ripartirà da dove tutto era cominciato: Secondigliano. Sembrerà di tornare indietro nel tempo alla prima stagione: Genny era un erede ancora “incapace” di comandare, Ciro un fedelissimo soldato di Don Pietro Savastano. Nel corso della serie diventeranno killer spietati, scaltri comandanti di veri e propri eserciti, l’esatta conseguenza delle loro stesse azioni, quelle azioni che li porteranno inevitabilmente a scontrarsi fino alla fine. Chi sopravvivrà? In questa recensione di Gomorra 5, ovviamente, non lo sveleremo.
Ma ciò che sembra chiaro è che le loro figure saranno totalizzanti in tutta la stagione. Nei primi episodi verranno introdotti “personaggi secondari” – schierati nella fazione “comandata” da Genny, come il già anticipato O’ Maestrale (Mimmo Borrelli), fedele soldato in stile Malammore, e O’Munaciello, furbo e arrivista boss dei quartieri popolari. Entrambi avranno un ruolo importante nello sviluppo delle vicende, che non vi riveleremo.
Nella seconda parte, sempre innescati dalla scia di sangue imposta dai Savastano, entrano in gioco nuovi “nemici”- oltre a ciò che resta della famiglia Levante – impersonati soprattutto dall’oscura e temibile Donna Luciana (Tania Garribba), moglie del boss e uomo d’onore O’Galantommo (Antonio Ferrante), cresciuto in un mondo criminale dove la parola data resta sempre inviolabile. Tutti i personaggi introdotti sono magistralmente interpretati da attori di talento, ma non hanno un background tale da suscitare “effetto nostalgia” agli spettatori. Forse abbiamo perso troppo presto qualche co-protagonista chiave. Anche per questo tornano personaggi “storici” come Pitbull (Vincenzo Fabricino), amico di Ciro Di Marzio.
Ma in tutti questi casi, l’aspetto della conquista del potere diventerà presto secondario e crollerà come un castello di carta, lasciando non solo spazio a una ineluttabile ruota che gira, ma anche all’importanza dei propri affetti più importanti. Il senso del tutto sarà proprio questo: la criminalità porta solo a un susseguirsi senza tregua di sofferenza, sangue, morte. Ma c’è sempre un briciolo di speranza che resta, di azioni mosse semplicemente dall’amore per i propri cari, che per Genny non sono altro che il figlio Pietro e la moglie Azzurra (Ivana Lotito). Questa stagione sarà anche questo e metterà a nudo le debolezze più grandi di personaggi duri, freddi, apparentemente invincibili.
Tutti, in un modo o nell’altro, conosceranno il loro destino, segnato per sempre da comportamenti criminosi che arriveranno a provocare rimorsi persino a chi, nella propria esistenza, ha potuto conoscere solo il male. Lo spin-off “L’immortale” aveva riportato in vita un Ciro profondamente cambiato, ma ancora legato a doppio filo al suo passato e desideroso soprattutto di scusarsi con Sangue Blu (Arturo Muselli), che aveva di riflesso tradito per coprire Genny.
Quest’ultimo lo scopriremo deluso e arrabbiato per essere stato “abbandonato” da un “fratello”, con conseguenze decisive nel futuro della loro amicizia. Non ci resta che lascarci trasportare dall’azione sapendo che si tratta pur sempre di una serie televisiva che nella sua crudezza, drammaticità, è pur sempre uno spettacolo. Avevamo quasi paura di vedere il finale tutto convogliato in un solo episodio, il decimo, ma siamo soddisfatti di come è stato strutturato. Gli autori (Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli coadiuvati da Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, che firmano anche il soggetto di serie con Roberto Saviano) hanno saputo dare un senso significativo, simbolico, che vi lascerà quella sensazione di amarezza interiore, che è poi il leimotiv di tutta “Gomorra – La Serie”. Il messaggio che ne resta non lascia spazio a interpretazioni.
Il cerchio, in un modo o nell’altro si è chiuso con Gomorra 5, e non ci rimane che ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a realizzare una vera perla della serialità italiana concludendo con questa recensione. Nel 2021 è stato uno dei pochi show non in lingua inglese così popolare da essere stato selezionato dai critici del New York Times per le classifiche “il meglio di”, occupando la quinta posizione assoluta della graduatoria (e negli Usa sono ancora alla quarta stagione). Parliamo di una serie già diventata culto, paragonata dai critici d’oltreoceano a “I Soprano”, anche per questo possiamo considerarla davvero “immortale”.