Neanche il tempo di digerire i pandori e torroni del periodo natalizio, durante il quale il Teatro Sistina di Roma ci ha allietati con una magistrale Mary Poppins (con le repliche milanesi che sono state tristemente annullate in questi ultimi giorni), che lo stesso iconico teatro della capitale ci accoglie con una nuova produzione con alla regia Federico Bellone. Si tratta di Ghost – Il Musical, chiaramente ispirato dall’opera originale in lingua inglese con la sceneggiatura di Bruce Joel Rubin, colui che vi lavorò anche per l’omonimo film cult del 1990. Patrick Swayze, Demi Moore e Whoopi Goldberg furono gli interpreti di quello che fu uno dei film più belli e influenti degli anni 90, un talentuoso trio che contribuì a diffonderne la fama in tutto il mondo.
Il musical dedicato, che vide la sua prima mondiale nel 2011, non fu particolarmente apprezzato da spettatori e critica, tanto che fu a dir poco stroncato. Tuttavia questo non ha fermato il pubblico italiano, che tra ospiti e celebrità della TV e del teatro, è accorso alla prima di Roma pieno di entusiasmo. Fin dall’entrata, si è respirata forte aria di curiosità ed emozione, una sensazione evanescente in pieno tema con lo spettacolo. La produzione, con l’etichetta di Show Bees, si fa portabandiera del romanticismo, con l’obiettivo di scaldare il cuore degli appassionati durante tutta la durata delle repliche.
Purtroppo o per fortuna, sul piano della trama i colpi di scena sono stati pressoché nulli, data ormai l’estrema cultura e conoscenza del film cult. Quello di cui però possiamo parlare molto sono le interpretazioni dei protagonisti, le scelte registiche e le scenografie adottate: nonostante alcune evidenti difficoltà dovute al continuo dinamismo, o alcune piccole incertezze sul piano pratico, il cast (quasi) nella sua interezza ha saputo reggere la pressione dello storico palco in un’occasione così importante. Senza infamia e senza lode, nella sua totalità Ghost – Il Musical ha saputo intrattenere il pubblico, senza però far gridare al miracolo. Anche se lo spettacolo ha fatto sorgere qualche dubbio durante le prime battute, man mano gli interpreti hanno saputo prendere coraggio e sopperire ad alcune imprecisioni che si erano palesate. Se il piatto della bilancia viene arricchito con alcune gradite scoperte, come l’esordiente Gloria Enchill nel ruolo dell’esuberante Oda Mae che ha retto il palco in modo encomiabile, sono molti i punti forti su cui indubbiamente si può mettere l’accento. Oltre alla sua comicità travolgente infatti, un buon ritmo e un grande affiatamento si traducono nelle performance di Mirko Ranù e Giulia Sol, rispettivamente nei panni dei protagonisti Sam e Molly, mettendosi alla prova in ruoli dove l’espressività è tutto (soprattutto se pensiamo che a dover essere espresso è il sentimento dell’amore, dove lo sguardo e l’intensione possono addirittura far diventare le parole solo un mero contorno). Decisamente convincente anche Thomas Santu, che nel ruolo di Carl ha saputo colorare la propria parte con tinte doppio-gioco, ma col retrogusto appreso che in alcuni casi si sia trattenuto per la paura di “esagerare”.
Impossibile poi non lasciare una menzione d’onore per il cantante, compositore e musicista Ronnie Jones, ottantaduenne statunitense che sul palco sembra ringiovanito di almeno trent’anni, e che sa divertirsi a modo suo. Poco male se durante le sue parti cantate l’accento inglese sia risultato troppo marcato, magari minando la comprensione del testo, perché la sua contagiosa allegria lo ha fatto amare dall’intera platea… e non è detto che nel prossimo periodo non riesca ad abituarsi al nostro idioma. Tuttavia, essendo figli di una cultura linguistica certosina e di un retroscena musicale d’eccellenza, è molta l’importanza che nel nostro paese va data sia all’interpretazione vocale, sia alla chiarezza di quanto cantato, e da questo punto di vista un pizzico di rammarico è innegabilmente nato.
Molte delle scelte sul piano registico sono state a dir poco coraggiose, con un coefficiente di difficoltà per alcuni particolari momenti dello show in cui sia il millimetro, sia il centesimo di secondo erano fondamentali. Senza entrare troppo nel dettaglio, qualora aveste in programma di sedervi in poltrona a teatro, sappiate che in un paio di casi rimarrete a bocca aperta, con occhio e mente troppo lenti per capire nell’immediato cosa è realmente accaduto. Alcuni degli splendidi effetti creati on the stage sono stati purtroppo però vanificati da alcune sbavature individuali, che nonostante l’incredibile sforzo hanno in parte rotto “la magia” della scena.
La magia, quella è comunque forte, e questo termine non è usato a caso. La magia che inganna gli occhi, ma anche come la magia dei silenzi ai quali sono seguite le toccanti note di Unchained Melody, sempre splendida e sempre così maledettamente in linea con l’iconica scena del vaso. Quello che invece forse è mancato un po’ troppo è il senso di empatia, il respiro, il coinvolgimento emotivo. Questo però si ricollega molto alle varie scene del film che abbiamo ancora negli occhi, difficili da replicare, e alle quali in un certo senso ci siamo anche (troppo) abituati. Eppure, mettetela come volete, ma l’emozione sul palco era quella vera. Quella che conta.
La coreografia, sotto gli attenti occhi e gestione di Chiara Vecchi, ha saputo regalare importanti spunti, amalgamandosi molto bene all’intera scenografia, e sfruttando in modo intelligente alcuni passaggi dell’opera per i cambi di scena con un sapiente mix di dinamiche e/o oggetti della scenografia. Fa sorridere, in senso buono, quanto trasudi dall’opera la pulsante vena corale, che evidenzia come il lavoro svolto da tutti, partendo da dietro le quinte fino al palco, sia stato di squadra. Proprio con questa forza come punto di partenza, siamo certi che anche le imperfezioni riscontrate durante la prima saranno spazzate via come le anime malvagie dello show.
Indubbiamente non ci troviamo di fronte ad uno spettacolo di Broadway, e non parliamo di uno show che gode di una storia fortunata, ma il ritorno dei teatri di Sam e Molly è un evento che vi consigliamo caldamente di vivere, anche per l’indiscutibile talento di coloro che vi sono alle spalle.