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Ebenezer and the Invisible World – Recensione di un seguito inatteso

Ebenezer and the Invisible World è un metroidvania ispirato, senza dubbio un po’ a sorpresa rispetto a quello che ci offre il panorama moderno. Infatti nei panni del vecchio Scrooge diventeremo degli improbabili eroi del domani, pronti a risolvere i problemi delle persone, e non solo. Certo è difficile immaginare Ebenizer Scrooge nelle vesti di un eroe ma si sa, le persone tendono sempre a pensare alla redenzione. Indossate il vostro cappotto, farà freddo in questa recensione.

Una forza del bene

Ebenezer Scrooge è stato un ricco e avaro uomo d’affari, e nella storia de Il Canto di Natale, le vicende che lo investono sono ormai leggenda: l’uomo ha ricevuto la visita di tre fantasmi del Natale, nello specifico del passato, del presente e del futuro. Essendosi ravveduto dopo tale incontro, Ebenizer Scrooge decide di cambiare vita, di elargire alle persone parte della sua fortuna e di condividere con loro un futuro diverso da quello che era altrimenti prefissato.

Arriviamo ad oggi, e in Ebenezer and the Invisible World troviamo il nostro eroe che, alla vigilia di natale, riceve l’ennesima visita del fantasma di Eric Fellows, suo vecchio amico che lo informa di quanto la cittadina in cui vivono se la stia passando male, peggio che mai potremmo dire, e la colpa è dovuta anche ai fantasmi che imperversano in giro.

Il compito di Ebenizer in questa trama semplice ma soddisfacente, è quello di sconfiggere il male che si cela dietro al comportamento malsano dei fantasmi, ristabilendo l’ordine naturale delle cose prima dell’arrivo del Natale. Al netto di una trama lineare, lo spunto di scegliere Ebenizer come eroe di questo metroidvania ci è piaciuto moltissimo: l’atmosfera che regala è pressoché unica nel suo genere.

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Imparare a combattere

Ebenezer, da buon uomo d’affari di inizio 900, conosce benissimo l’arte della spada, e infatti porta con sé il suo fidato Bastone Animato: un’arma molto comune all’epoca che consentiva alle persone di disporre di un oggetto di classe, ma che allo stesso tempo consentisse anche di difendersi, grazie alla spada contenuta al suo interno.

Per affrontare la sfida che gli si para davanti, tuttavia, il nostro eroe non potrà ricorrere solo ad armi tradizionali: infatti, grazie alla sua spiccata personalità e ormai comprovata conoscenza del mondo occulto, Ebenezer sarà in grado di sfruttare il potere di diversi fantasmi che si avvicenderanno nel corso dell’avventura, che impegnerà il giocatore per una trentina d’ore circa per raggiungere il completamento.

Probabilmente il punto più a sfavore del gioco risiede nella mappa: questa non è infatti contestualizzata, realizzata solo da caselle rettangolari o quadrate e senza dei veri punti di riferimento intrinsechi. Aggiungete a questo una vastità smodata dei livelli, l’assenza quasi totale di fast-travel o di punti di teletrasporto, e l’impossibilità di effettuare degli upgrade sulla velocità del protagonista, vi farà capire quanto possa essere frustrante l’approccio al gioco, vissuto momento per momento.

Per potenziare il potere dei fantasmi che abbiamo con noi ci basterà sconfiggere orde di nemici mentre avremo quello specifico fantasma equipaggiato: ad ogni potenziamento corrisponderà un aumento di danno o di difesa, ad esempio, oltre alla visione di diversi elementi a schermo che possono ampliare l’area d’effetto di queste abilità.

Il problema sostanziale risiede nel fatto che le differenti armi che il gioco propone non servono sostanzialmente a nulla, eccetto cambiare l’area di attacco del nostro eroe. Ebenezer può equipaggiare la frusta, l’ascia o altro ma non cambierà mai il danno che infligge, e anzi, l’animazione in genere risulterà più lenta e meno performante del bastone che invece resterà la vostra arma preferita fino alla fine del gioco.

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Occasione mancata

Ebenezer and the Invisible World è stata un’occasione sprecata: da un lato il team di sviluppo aveva il potenziale di esplorare il seguito di una storia mai scritta, forti di una grafica davvero bella, con elementi disegnati in maniera eccellente. Il colpo d’occhio è stato più che soddisfatto, dall’inizio alla fine dell’avventura con scenari intriganti, nemici ben caratterizzati e il nostro eroe sempre impeccabile.

Dall’altro lato il gioco cade nelle banali problematiche citate: è inammissibile che in un metroidvania manchino certi elementi al giorno d’oggi, come il viaggio rapido, la possibilità di velocizzare il protagonista, e il fattore di varietà su forza, danno e reazione dell’arma, che per linea logica dovrebbe far cambiare non solo l’approccio in-game, ma anche il feedback del nemico quando viene colpito con qualcosa di differente (cosa che come già detto non accade).

La sensazione generale è che in Ebenezer and the Invisible World abbiano prestato più attenzione alla presenza scenica degli elementi a schermo (ricca per carità) e meno alla sostanza di quello che si vive nemico dopo nemico o azione dopo azione. Sostanzialmente dopo sei o sette ore vi sarete già annoiati a morte, e potrebbe venire meno la voglia di riavviare il gioco. Un fallimento che lascia l’amaro in bocca a tutti gli appassionati del genere.

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Ebenezer and the Invisible World

4.5

Ebenezer and the Invisible World pone il protagonista di una delle storie più famose di sempre nei panni di un eroe che di certo non ci si aspetta, alle prese con spiriti e nemici di ogni genere. Il gioco è stato stupefacente a livello visivo, meno a livello di gioco che si riassume come noioso sulla lunga e poco accattivante nel breve periodo. La vastità immotivata degli scenari (curati artisticamente ma poco ottimizzati), l'assenza di teleport e l'inutilità delle armi secondarie gettano serie ombre sulla riuscita della produzione.

PRO
  • Narrativamente riesce nell'intento
  • Graficamente ricco e curato
CONTRO
  • Mancanza di elementi fondamentali per un Metroidvania
  • Level design inutilmente vasto
  • Può venire a noia ben prima dei titoli di coda
Tiziano Sbrozzi
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.

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