Le storie d’amore travagliate rappresentano da sempre uno dei carburanti maggiori del cinema. Che si tratti di cinema di riflessione, che si tratti di cinema d’intrattenimento, queste, nei secoli, sono da sempre state trattate, interpretate e scritte, per cercare di analizzare e ragionare non soltanto sulla condizione della coppia, ma sulla condizione umana vera e propria, sul suo posto all’interno dell’esistenza, sul suo legame e nonché rapporto col prossimo, seguito da tutte le dovute implicazioni del caso. Nella nostra recensione di Blackout Love vogliamo specificare che questo film, attualmente presente nel catalogo di Amazon Prime Video, non è affatto da meno, anche se molti dei suoi sviluppi potrebbero essere facilmente letti come fin troppo semplici o prevedibili, in alcuni frangenti, risultandone a discorso compiuto come un altro tassello molto simile ad altri, che sì intrattengono, ma che al tempo stesso non arrivano mai ad osare veramente in termini di trama.
Al centro di essa troviamo Valeria (Anna Foglietta), un personaggio estremamente classico nel suo porsi, una donna che in seguito a una grande sofferenza in amore riempie la sua vita di momenti di sesso passeggeri, imbastendo intorno a sé un’apparente armatura impenetrabile che al suo interno cela ancora una fragilità con una voce chiara, ma comunque soffocata. In una recensione di Blackout Love, ovviamente, non si può non parlare delle implicazioni psicologiche di un personaggio che gioca tutta se stessa proprio in questo settore. Anche perché Valeria, pur risultando fin dalla primissima sequenza una donna forte e indipendente, in realtà cela una complessità emotiva dentro di sé che verrà snocciolata, molto lentamente, nel corso dell’intera pellicola, mettendo in mostra più lati di sé e caratteristiche di quanto non ci si aspetti.
Nel momento in cui facciamo la sua conoscenza è lei a presentarsi, in un certo qual modo, celando quella che è ogni realtà effettiva della sua vita e percezione emotiva. Tutto cambia quando si ritrova dentro casa Marco (Alessandro Tedeschi), il grande ex, colui che lasciandola l’ha resa quello che è, il fautore principale della sua “evoluzione nera”, del suo attuale rapporto “usa e getta” con gli uomini. Con Marco arrivano tutte le turbe del caso, e quest’ultimo non è minimamente consapevole del fatto che da un anno i due si sono lasciati e non si sono parlati. Il Blackout del titolo è in parte anche questo, gioca, si evolve e ruota intorno al fatto che questo ragazzo ha avuto un incidente dimenticando gli eventi intorno alla separazione con Valeria.
Questo è il pretesto narrativo principale di Blackout Love. Valentina, seguendo il consiglio di un medico, dovrà a malincuore fingere di stare nuovamente con questo ex in attesa che riacquisti la memoria, onde evitargli un crollo psicotico importante. Sarà, almeno per lei, la perfetta occasione per tentare di riscrivere il proprio passato come vuole lei, vendicandosi magari di ciò che Marco le fece passare.
Struttura oscillante
Definire a livello di genere Blackout Love non è facilissimo, anche perché nel corso dell’intera narrazione oscilla continuamente tra il dramma psicologico, la commedia, e il sentimentale. Il pretesto narrativo della memoria svanita offre vari spunti ben adoperati non soltanto con finalità d’intrattenimento, ma soprattutto come approfondimento dei vari personaggi, Alleggerendo di molto alcuni pretesti anche soggettivi, senza però perdere mai di vista la scrittura di ognuno a livello di coerenza, anche se con qualche sbavatura specialmente verso la fine.
Il merito maggiore del film è forse proprio questo, quello di adoperare una serie di strumenti narrativi non soltanto per portare avanti ciò che avviene su schermo, ma per parlare anche dei protagonisti stessi che si mostrano pian piano, senza troppo correre, vivendo alcune fasi culminanti poi nel finale. Nel suo insieme il lavoro tematico non è neanche male, merito soprattutto della performance attoriale della Foglietta (Attrice che si distinse anche l’anno scorso vincendo ai Nastri d’Argento 2020 il premio come miglior attrice in un film commedia), la quale trascina letteralmente avanti la narrazione con una verve emotiva che cancella qualsivoglia altra piccolezza del caso, gettando le basi di una protagonista credibilissima, problematica, fragile e al tempo stesso umana, imperfetta, rotta in due. Il termine Blackout si lega anche e forse principalmente al suo personaggio e a tutto ciò che vivrà nel corso della storia.
Dal punto di vista formale Francesca Marino, la regista, fa un buon lavoro, alternando momenti pregni di un intimismo figurativo importanti, concentrando quindi la macchina da presa principalmente sugli attori, sui loro volti, sui loro corpi e sulle emozioni che li attraversano, muovendosi al contempo attraverso alcuni campi lungi geometricamente eloquenti e puliti, ad altri piuttosto distaccati, studiati e abbastanza classici nella loro composizione. Ne fuoriesce nel suo complesso un film non esageratamente originale, ma comunque interessante per alcuni suoi spunti, una piccola epopea umana ed emotiva che forse avrebbe avuto bisogno di qualche follia in più, riuscendo comunque a sorreggersi sulle sue gambe fino alla fine. Un agglomerato di immagini che prende il passato e il presente di questa coppia e ci gioca un minino, ispirando riflessioni importanti, con anche un certo tipo di rimando ad un cinema della memoria e dei ricordi d’amore.