Siamo a poco più di due anni dalla conclusione della serie madre, l’amatissima La Casa di Carta che è diventata un vero e proprio fenomeno di costume, nonché una delle serie più popolari della storia di Netflix. Ebbene, alla fine dello scorso anno la piattaforma streaming ha rilasciato la prima – e per il momento unica – stagione del suo spin-off, Berlino.
Questa è ovviamente come da titolo incentrata sull’ omonimo personaggio, uno dei rapinatori più amati della banda protagonista della serie originale. Questo, che trova la sua fine nelle battute conclusive della seconda stagione, era poi ritornato in vari flashback nelle stagioni successive. Ora lo ritroviamo a Parigi, diversi anni prima, insieme a una nuova banda e pronto a mettere a frutto un nuovo colpo. Le complicazioni saranno parecchie, e le più pericolose saranno di natura sentimentale.
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Una storia diversa
Bisogna precisare subito una cosa: chi si aspetta di ritrovare un tipo di narrazione simile a quello della serie principale, potrebbe rimanere deluso. Certo, lo stile del creatore Àlex Pina si riconosce in più punti, dall’incrocio tra ironia e suspense a piccoli dettagli come l’uso frequente della musica intradiegetica. Tuttavia, per stessa ammissione del creatore, il nuovo show vuole avere un tono diverso dall’originale: meno cupo e claustrofobico, più solare e leggero. Niente sparatorie, niente morti strappalacrime. I sentimenti, che nella serie originale accompagnavano sullo sfondo le varie vicende, qui entrano prepotentemente in primo piano.
Più che la storia di una rapina, questa é una storia d’amore, vista attraverso gli occhi, sempre diversi, dei vari componenti della banda. Ma questo non é necessariamente un male. Anzi, gli autori stanno bene attenti a non entrare nell’ambito del melenso e a non lasciarsi andare a facili sentimentalismi. Di storie d’ amore, nelle serie tv, ce ne sono state di tutti i tipi, ma quella fra un rapinatore edonista, narcisista, romantico e semi psicopatico come Berlino, e la moglie della sua vittima, sicuramente non é qualcosa che si vede tutti i giorni.
E anche per gli altri rapinatori, a cui viene dedicato uno spazio non indifferente, le cose saranno tutt’altro che banali. Storie di amori tristi, tormentati, a volte divertenti, ma che riescono a non annoiare e a non sembrare mai fuori posto.
In tutto questo la parte action non viene svalutata: suspense, inseguimenti, nascondigli, piani geniali non vengono lasciati in secondo piano, ma anzi si intrecciano bene con le varie storie sentimentali creando un puzzle di sicura efficacia. Non stiamo parlando di un capolavoro, non ci sono momenti particolarmente profondi o geniali, ma di sicuro si tratta di un lavoro ben fatto e piacevole, più della media seriale.
Per gli amanti della serie originale, non mancheranno i riferimenti: a questo proposito, un altro punto a favore della serie é il non piegarsi al fan service, posizionando solo dei riferimenti credibili e con il giusto “dosaggio”. Il più importante, ovviamente, l’ apparizione delle ispettrici di polizia Raquel Murillo e Alicia Sierra, personaggi di primaria importanza all’interno de La Casa di carta.
Un colpo da maestro?
Proprio sulla presenza di questi due personaggi c’é da fare un appunto: la loro presenza é effettivamente risicata. Sarebbe stato interessante vederle fronteggiare i rapinatori più a lungo e mettere in mostra le loro abilità poliziesche, tuttavia nonostante sia gradevole, il loro esserci finisce per non avere quasi nessun effetto impattante sulla trama.
Un altro difetto da segnalare riguarda gli altri rapinatori: la loro caratterizzazione risente inevitabilmente del paragone con la serie originale, e questa “nuova guardia” ne esce pesantemente sconfitta. Se ne La Casa di Carta i vari membri della banda mostravano le lor luci e le loro ombre attraverso fini tratti di caratterizzazione psicologica, questi “nuovi” ladri finiscono invece per avere una caratterizzazione piuttosto vuota, e suscitare scarsa empatia nel pubblico.
In questo non aiuta il fatto che gli interpreti, a parte la brava Michelle Jenner alias Keila, non sono particolarmente espressivi (altra differenza fondamentale con l’ottimo cast della serie madre). A tenere in piedi il tutto, naturalmente, é proprio lui: il bravissimo Pedro Alonso, alias Berlino. Esplorando nuovi lati del personaggio, ma senza incongruenze con quanto abbiamo visto in precedenza, l’attore regala una performance eccezionale e variegata, capace di reggere da sola l’intera serie, aiutata anche dall’eccellente doppiaggio di Alessandro Quarta.
Infine un doveroso appunto su una mastodontica incongruenza: dato che il nome “Berlino” viene scelto solo nel primo episodio della serie originale, é una palese incongruenza che il protagonista si faccia chiamare così in questo spin-off (che abbiano già utilizzato nomi delle città in passato senza dircelo?).