La fine del viaggio può essere costellata di problemi. Nonostante gli svariati successi e i risultati portati a casa, ci sarà sempre qualcosa che non va nel gran finale di un’epopea, come se l’animo umano non potesse vivere senza lamentarsi. Non si vive di assoluti, quindi è costruttivo discutere di problematiche persino di produzioni davvero ben realizzate, non perfette, ma di alta qualità. Eppure talvolta sarebbe importante abbandonare quell’anima empirica e abbracciare, almeno per qualche secondo, quell’istinto fatto di emozioni e sensazioni. Visto che tutto il mare del web è pieno di filippiche che elogiano o lamentano caratteristiche di Avengers: Endgame, sarebbe interessante capire bene cosa ha fatto di bello, oltre ai numeri d’incasso e ai traguardi tecnici, l’ultima pellicola del Marvel Cinematic Universe e dei fratelli Russo. Piccolo disclaimer: naturalmente in questo articolo ci saranno fiumi di spoiler, quindi se non avete ancora visto il film vi consigliamo di non proseguire la lettura.
Partiamo dalle basi: il film è un grande successo al botteghino, ma i risultati economici non definiscono un bel film, che è sì un blockbuster, ma non una pellicola impegnata e nemmeno tenta di esserlo: paragonarlo a pellicole ricercate, profonde, intrise di concetti filosofici sarebbe come lamentarsi dicendo che un bicchiere di Coca Cola non ha i sapori di un Sassicala del 2015 (miglior vino rosso del 2018). Evitiamo di sparare demenziali teorie complottistiche sullo strapotere USA all’interno del film o sulla vittoria tramite annichilimento del nemico. Avengers: Infinity War, nonostante fosse più “leggero” (e parlo anche del carico di hype, oltre alla durata effettiva), non rende di certo Endgame inferiore, il quale non solo sta ottenendo dei risultati stratosferici al botteghino, ma spinge molte persone a una seconda o terza visione. Il numero di spettatori della “seconda volta” sono aumentati dell’85% rispetto a Infinity War (fonte: Fandango). Perché la gente decide di spendere ulteriori soldi per rivedere un film di ben 3 ore? Le motivazioni sono due, una più pragmatica e una sentimentale. La prima è abbastanza intuitiva: Endgame è la chiusura di un arco narrativo durato 11 anni. Nelle serie TV le puntate più viste sono sempre quelle dalla profonda importanza significativa, specialmente per lo status quo dei personaggi. In effetti, Avengers: Endgame stravolge completamente lo status quo dell’universo, preparando una Fase 4 completamente diversa (i salti tra le varie Fasi precedentemente erano stati più indolore). Quindi ci sta che, nonostante la bellezza di Infinity War, la gente preferisca vedere Endgame e emozionarsi con la conclusione di un progetto durato 11 anni. Robert Downey Jr., attore che ha interpretato Tony Stark/Iron Man in questi 11 anni, ha affermato il grande affetto che prova per i suoi colleghi, persone che difficilmente avrebbe visto così spesso se avesse partecipato ad un film standalone.
Questa cosa dell’universo condiviso è davvero unica, intrigante, replicando l’attaccamento che lo staff e il cast hanno dentro produzioni televisive (dove girano praticamente ogni giorno per mesi, ogni anno), ma in un ambiente più grande. Quindi ci sta il voler vedere la conclusione, aggiungendo che ormai personaggi come Tony, Cap, Thor e tutti gli altri sono diventati come dei compagni di viaggio, con cui trascorrere del tempo almeno una volta l’anno quasi fossero vecchi amici. La cosa che però affascina di più è la potenza emotiva: lasciamo da parte per un momento ogni possibile tecnicismo, dettaglio, e concentriamoci sull’importanza delle emozioni. Tony Stark ha una moglie fantastica e una figlia, ha tutto ciò che potrebbe volere nella vita, eppure quel risultato positivo per il viaggio nel tempo lo tormenta. Nemmeno Pepper lo ferma, sapendo che se può, deve aiutare i sopravvissuti. Stark mette da parte tutto per aiutarli, conscio dei rischi, perché alla fine quel bimbo ragno lo aveva davvero toccato nel profondo, prendendolo come mentore. Per questo, per quello che è stato costruito su Homecoming e poi su Infinity War (e un po’ anche su Civil War) l’abbraccio quando si rivedono è commovente. E invece, la scena in cui Steve vede Peggy Carter dopo molti anni? Quell’amore indimenticabile, indelebile, lo ha davanti e basterebbe aprire la porta per averlo per sempre. Ma non lo fa, complice quella morale che l’ha sempre contraddistinto. Non può mancare infine quel Thor disdegnato dai molti: ha più spessore emotivo questo “Thoroski” che tanti altri personaggi di presunte pellicole “profonde”. Un Dio del Tuono caduto in disgrazia per un fallimento, con un corpo che rispecchia il suo stato d’animo spezzato, ma con un viaggio che lo porterà – complice l’incontro con la madre – a ritrovare se stesso: ma attenzione, non si parla di favolette della Disney dove tutto torna come prima. Thor, anche quando avrà in mano il Mjolnir e Stormbreaker, non tornerà alla forma fisica scultorea e a barba e capelli curati: al contrario, adatterà il suo corpo, simbolo di mille cicatrici, ad un io ritrovato e pronto a combattere.Potremmo parlare all’infinito di queste scene decisamente ben studiate: la flebile voce di Sam nell’auricolare di Captain America prima della battaglia, simbolo di rinnovata speranza, oppure la morte della Vedova Nera (con quel combattimento atipico dove l’obiettivo non era uccidere l’altro, ma se stesso) e il suo funerale che tanti definiscono assente (penso ci sia più valore in 6 familiari che piangono una persona su una banchina che in 40 persone vestite per bene su un lago).
La parte decisamente più toccante riguarda però il caro, vecchio Tony Stark: partito come lo sbruffone pieno di soldi e tecnologia, alla fine è colui che compie l’ultimo sacrificio, ripetendo quelle parole che stavolta hanno un significato ben diverso: perché “Io Sono Iron Man” detto davanti ad una marea di giornalisti può significare essere sbruffoni e vantarsi, ma dirlo davanti ad un Titano con in mano la soluzione a tutti i mali, capace però di portarlo a morte certa, è una presa di coscienza. Rhodey, Peter e Pepper, le ultime tre persone che lo salutano: il rispetto del primo, l’ammirazione del secondo e la frase della terza, che stacca quel peso massiccio di responsabilità dicendo che “lei e Morgan staranno bene”. Queste parti sono cose che non puoi costruire in un film standalone: non puoi far affezionare in questo modo delle persone ad un personaggio. Servono molti anni e molti film: ora ditemi se questo non è un risultato. Il cinema dovrebbe essere sempre un luogo dove emozionarsi, scoprire storie fantastiche e non semplicemente portare avanti una gara di bravura nel saper scovare un “buco di trama” o stupidaggini simili. Il Marvel Cinematic Universe è una grande orchestra: ogni strumento tocca delle corde che non tutti possono apprezzare. Tony che incontra il padre è una delle scene più toccanti del film, sebbene su alcuni non abbia sortito alcun effetto. Come questa, ve ne sono a dozzine: dalla sequenza all’insegna del “girl-power” contro Thanos al coraggio dei Wakandiani, solo per citarne alcune. Se tutto è quindi iniziato 11 anni fa, con un playboy milionario e filantropo, possiamo ora dire di aver concluso il giro di boa. Quale miglior modo di farlo, se non portare il personaggio “egoista” a sacrificare la sua vita perfetta per il bene del mondo? Anche solo per questo, c’è da dire grazie a un film come Endgame.