Sin dall’annuncio di Assassin’s Creed Mirage, di cui vi parliamo in questa recensione, è stata da subito chiara la volontà di Ubisoft di proporre un capitolo classico, che tornasse agli albori della saga. Dopotutto, nonostante il livello qualitativo fosse comunque molto alto, con la cosiddetta “trilogia open world” composta da Assassin’s Creed Odyssey, Origins e Valhalla, la serie aveva deviato e non poco dai suoi binari originali, proponendo dei giochi fin troppo vasti e che mettevano seriamente da parte tutto il lato stealth e parkour che aveva contraddistinto i primi capitoli.
La svolta impressa da Ubisoft favoriva infatti l’esplorazione, ma sacrificava giocoforza il gameplay prevalentemente stealth, andando quindi ad abbracciare una formula RPG che non tutti hanno apprezzato. Con Assassin’s Creed Mirage il publisher francese ha deciso di tornare indietro nel tempo, per la gioia di chi ancora oggi rimpiange Altair ed Ezio Auditore.
La trama del nuovo gioco ci mette nei panni di Basim Ibn Ishaq, vent’anni dopo le vicende narrate in Valhalla. Tra le mani avremo una storia di origini per un personaggio che i giocatori hanno già avuto modo di conoscere di sfuggita all’interno dell’organizzazione degli Occulti, precursori dei ben più noti Assassini.
Basim è ancora giovane e inesperto, visto che cerca ancora di sbarcare il lunario con piccoli furti tra i vicoli della Baghdad del IX secolo. Una volta incontrati gli Occulti, il ragazzo decide di lanciarsi in una nuova e pericolosa avventura, nonostante la sua più grande amica d’infanzia gli sconsigli vivamente di accostarsi a quei loschi figuri. La sua decisione si rivela infatti infelice, visto che facendo ciò il giovane mette a rischio tutti i suoi affetti più cari. L’unica cosa che resta da fare a Basim sarà quindi entrare a far parte proprio della confraternita degli Occulti, sotto la guida attenta della mentore nota come Roshan, con l’obiettivo di per mettere fine all’avanzamento di una seconda e misteriosa setta che ha come intento quello di impadronirsi di tutto il Medio Oriente.
Bentornati in Medio Oriente
Assassin’s Creed Mirage ha quindi una storia semplice, che punta quasi tutto sul fascino dell’ambientazione. Se il plot dei vecchi capitoli si reggeva grazie a oltre 30/40 ore di gioco, qui il tutto si risolve in 15 ore circa, visto che le avventure di Basim riescono a catturare l’interesse del giocatore senza diluirsi inutilmente. Ciò è apprezzabile anche e soprattutto per la grande attenzione riposta nei dettagli, specie per quanto riguarda la storia reale della città di Baghdad.
Anche lato gameplay, Mirage abbraccia il vecchio con orgoglio: il parkour e la necessità di colpire il nemico nascosti nell’ombra sono nuovamente punti focali dell’esperienza. Basim, proprio come Altair ed Ezio, è in grado di commettere assassinii uno dietro l’altro, sebbene a volte si ha come l’impressione che Ubisoft abbia deciso di renderlo fin troppo forte, nonostante il suo status di apprendista. Nonostante ciò e le poche novità introdotte da questo capitolo, il gioco va ad accostarsi anche ad Assassin’s Creed Syndicate per la presenza di bombe fumogene, dardi soporiferi e coltelli da lancio.
Tra i vicoli di Baghdad
Anche la ritrovata possibilità di confondersi tra la folla per passare inosservati, oltre a poter corrompere mercenari per fare il lavoro sporco al posto nostro, sono graditi ritorni, sebbene a sparire siano stati il sistema di crescita del personaggio e la gestione dell’inventario. L’Occhio dell’aquila, anche questo grande classico dei capitoli madre, permette di avere una visione d’insieme, sebbene il rapace di Basim (chiamato Enkidu) abbia quasi solo ed esclusivamente la capacità di marcare gli avversari, piuttosto che veri punti di interesse nella mappa.
Dal versante tecnico e artistico, una Baghdad riprodotta fedelmente nonché piena di vita fatica però a nascondere un motore grafico visibilmente “vecchio” e con qualche problemino a livello di colpo d’occhio (si è scelto infatti di utilizzare Anvil, il motore di gioco che muoveva anche Valhalla e Immortals Fenyx Rising). Non sono un problema le ridotte dimensioni del califfato esplorabile rispetto alle precedenti iterazioni della saga Ubisoft, sebbene la sensazione di déjà vu sia comunque ravvisabile sin dal primo minuto. Promosso infine il doppiaggio italiano, tra cui spiccano le voci di Pietro Ubaldi e Claudio Moneta, così come ottima è la colonna sonora di Brendan Angelides/Eskmo.